"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Mercoledì 1 dicembre alle ore 10.00 Michele Nardelli, sullo sfondo del libro fotografico di Luigi Ottani e Roberta Biagiarelli lungo la rotta balcanica (AA.VV. Dal libro dell'esodo - Piemme, 2016), ci propone un'altra storia dell'Europa intitolata "Incontri di civiltà" che fonda le proprie radici nel Mediterraneo, in quel "Movimento delle traduzioni" che da Damasco e Baghdad giunse in Andalusia, diventando una delle fonti più fertili del rinascimento europeo.
I "salotti in città" sono promossi dall'Associazione Trentina Sclerosi Multipla – Centro Franca Martini, Café de la Paix, Circolo Arci e la Portineria de la Paix.
La crisi in Bosnia Erzegovina si è definitivamente internazionalizzata. Tutti gli attori internazionali sono coinvolti: spesso abituati a usare il paese come il cortile di periferia delle proprie dispute globali ma senza mai concretizzare i propri proclami, sono chiamati ora a battere un colpo
di Alfredo Sasso *
(17 novembre 2021) Nel suo rapporto per il Consiglio di Sicurezza per l’ONU, Christian Schmidt è stato esplicito: la Bosnia Erzegovina “corre un pericolo imminente” di dissoluzione, e c’è una “reale possibilità di nuove divisioni e conflitti”. Il documento di Schmidt, ex-ministro tedesco, in carica dal luglio 2021 come Alto Rappresentante (il supervisore degli accordi di pace, in rappresentanza dei 55 paesi coinvolti nella loro applicazione) non era pubblico, ma è stato filtrato dal Guardian lo scorso 2 novembre. È allora che la notizia della crisi politica in Bosnia Erzegovina, che già occupava l’attenzione della regione post-jugoslava, è improvvisamente rimbalzata nelle agenzie di stampa di tutto il mondo.
La crisi è iniziata, ricordiamo, alla fine del luglio scorso, con il boicottaggio - e la conseguente paralisi - delle istituzioni statali da parte del partito di Milorad Dodik. Dodik è, dal 2018, il membro serbo della presidenza statale e, dal 2006, leader assoluto de facto della Republika Srpska (RS, una delle due entità della Bosnia Erzegovina). Il casus belli del boicottaggio è stato la legge, introdotta dal predecessore di Schmidt ad Alto Rappresentante Valentin Inzko, che creava il reato di negazionismo per crimini di guerra e genocidio.
Dodik ha poi rilanciato, annunciando a metà ottobre la creazione, entro la fine dell’anno, di varie istituzioni autonome a livello dell’entità: un’agenzia sanitaria, un’agenzia di imposte indirette, una struttura giudiziaria e, infine, l’esercito, che riassumerebbe quindi le funzioni dell’Armata della Republika Srpska (VRS), responsabile di diversi crimini di guerra nel 1992-95 e definitivamente disciolta nelle Forze armate bosniache unificate nel 2005.
La costituzione della Bosnia Erzegovina non è più complessa di altre, i suoi problemi politici - scrive Jospeph Marko - non risiedono tanto in essa quanto nel suo essere "un sistema politico etnocratico, ostaggio dei partiti etno-nazionali" (da www.balcanicaucaso.org)
di Joseph Marko
(17 dicembre 2021) Volendo parafrasare uno slogan della campagna elettorale di Bill Clinton, sembra che quasi tutti siano d’accordo con l’affermazione: “È la costituzione, stupido!” che spiegherebbe il motivo per cui la Bosnia Erzegovina, dopo venticinque anni di implementazione dell’Accordo di pace di Dayton, è ancora uno stato disfunzionale dal punto di vista politico. Anche molti giuristi e politici, non solo in Bosnia Erzegovina, vi diranno che l’Accordo di Dayton è un sistema costituzionale “unico” e/o “complesso” e che proprio per questo motivo non può contribuire al bene comune del popolo (al singolare!).
Tuttavia, anche tra gli stati membri dell’Unione europea ci sono alcuni paesi suddivisi al loro interno su base etnica, come ad esempio il Belgio oppure, nel caso dell’Italia, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, le cui istituzioni e i meccanismi, che affondano le loro radici nella costituzione, prevedono alcuni strumenti concepiti in chiave etnica per la rappresentanza e la partecipazione dei gruppi etnici al processo decisionale.
È in corso in Bosnia Erzegovina l’ennesima crisi istituzionale. Ciò che tuttavia la differenzia dalle precedenti crisi sono i tentativi di minare le stesse fondamenta degli Accordi di Dayton. E riemerge il fantasma del conflitto
Elvira Jukic-Mujkic, Sarajevo *
(2 novembre 2021) Separatismo e concreti sforzi finalizzati alla secessione della Republika Srpska dalla Bosnia Erzegovina. Queste le accuse mosse a Milorad Dodik, membro serbo della Presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina e leader dell’Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), che ormai da settimane porta avanti diverse iniziative volte ad aumentare i poteri della Republika Srpska (una delle due entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina) a scapito di quelli delle istituzioni centrali.
La polemica scaturita da queste iniziative politiche, in cui non mancano ipotesi di un nuovo conflitto, distoglie l’attenzione dell’opinione pubblica dai numerosi scandali di corruzione, dalla pessima situazione economica in cui versa il paese e dall’intensificarsi del fenomeno dell’emigrazione dei cittadini bosniaco-erzegovesi all’estero.
Al contempo, sui mezzi di informazione e sui social media viene ulteriormente surriscaldata un’atmosfera guerrafondaia che - in un paese dove, pur essendo trascorsi ventisei anni dalla fine della guerra, non ha mai conosciuto una vera pace interna – fa rabbrividire, richiamando alla mente quanto accaduto all’inizio degli anni Novanta.
Allargamento sì ma non ancora. Si conclude così il summit UE dedicato ai Balcani occidentali del 5 e 6 ottobre in Slovenia, nel castello di Brdo pri Kranju. I 27 non offrono alcuna data concreta. Un segnale debole mitigato solo dal sostanzioso pacchetto di investimenti promesso.
di Tomas Miglierina *
(7 ottobre 2021) Il compromesso è arrivato lunedì 4 ottobre, all’ultima riunione del Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti che è – nei fatti - il cuore del potere dell’Unione europea. È li che finalmente la parola proibita, “allargamento”, ha ritrovato diritto di cittadinanza nella bozza definitiva di dichiarazione del vertice di Brdo sui Balcani occidentali. Ma in una frase assortita di distinguo. Una frase lunga, contorta e infarcita di ripetizioni, che tradisce i numerosi rimaneggiamenti da cui è stata partorita. Eccola, nella nostra traduzione dall’originale inglese:
“L’UE riafferma il suo sostegno senza equivoci per la prospettiva europea dei Balcani occidentali e saluta l’impegno dei partner nei Balcani occidentali per una prospettiva europea, che è nel nostro interesse strategico reciproco e rimane la nostra scelta strategica. L’UE conferma il suo impegno nel processo di allargamento e le decisioni prese a riguardo, basato su riforme credibili dei partner, condizionalità corretta e rigorosa e il principio [per cui ciascuno va valutato] secondo i propri meriti”.
Vi segnalo l'evento di mercoledì 1 settembre. alle ore 20.30
Est Ovest Country Club al parco Marconi - Merano
LA PRINCIPESSA RAPITA
Dal Mediterraneo all'Irlanda, dal Danubio alle Alpi, un viaggio in musica e parole attorno all'idea di Europa.
Letture accompagnate dalle canzoni di Battiato, De Andrè, Capossela e altri... con incursioni nella musica francese e nella leggenda dei Beatles.
Mauro Cereghini, letture
Francesca Schir, chitarra e voce
Lucia Suchanska, violoncello
di Simone Casalini *
(1 settembre 2021) Nella segmentata rivoluzione tunisina il 25 luglio 2021 s’iscrive come l’ennesimo sbalzo di un cammino non lineare. La rivoluzione, intesa come trasformazione radicale e destrutturazione dello status quo, si ciba di contraddizioni, di profonde lacerazioni, di umori incerti. Kaïs Saïed ha creduto di interpretarli, forse, sospendendo il parlamento e congedando il governo (contestato) guidato da Hichem Mechichi.
Il presidente della repubblica, il costituzionalista conservatore il cui sottile sibilo meccanico gli è valso l’etichetta ilare di “Robocop”, ora ha in mano il destino di un popolo e di una transizione – inedita e osservata speciale nel mondo arabo – avviata dalle fiamme che hanno avvolto il corpo di Mohamed Bouazizi il 17 dicembre 2010 e incenerito il regime di Ben Ali, almeno nelle sue geometrie apicali.
Hamadi Redissi, professore di Scienze politiche all’università di Tunisi, co-fondatore dell’Osservatorio tunisino sulla transizione democratica che decifra ogni passaggio della primavera sbocciata per le strade della periferica Sidi Bouzid, è uno degli intellettuali più conosciuti e impegnati nel processo che ha superato i dieci anni di vita. Nelle sue parole non c’è una verità, ma la rappresentazione di una transizione complessa e aperta ad ogni esito che ricalibra anche riconnettendo la Tunisia con la sua storia, anello di congiunzione spesso derubricato nell’emotività dell’analisi occidentale.