"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini
(27 maggio 2019) Nelle settimane scorse mi è mancato il tempo, e la lucidità, per mettere insieme un ragionamento pre-voto. In realtà una traccia l'avevo abbozzata, sulla base di un percorso - non solo mio - lungo qualche anno che trova nel risultato elettorale odierno, tanto europeo quanto locale, una sedimentazione, una certa conferma.
La mia riflessione iniziava da Andrea Zanzotto e dal suo "progresso scorsoio, nel quale non so più se sono ingoiato o se ingoio". Aforisma perfetto per descrivere il vicolo cieco - economico e antropologico - nel quale si è infilato l'intero Occidente, e in particolare l'Europa. Uno senso di spaesamento che con maggiore nitidezza sanno interpretare i poeti, capaci di riconoscere ciò che tra le righe della realtà si sedimenta e non solamente ciò che agli occhi appare evidente, lampante.
di Federico Zappini *
Un mattino di primavera. Il sole che taglia in due la stanza. Un tappeto sbattuto che rilascia un pulviscolo infinitesimale. Correnti invisibili che ne determinano andamenti confusi. Un movimento caotico di particelle.
Questo è lo stato dell’arte del mondo che ci circonda. Il tappeto è la società così come la conoscevamo, scossa da una serie di crisi che ne minano le certezze, mescolano le caratteristiche fondanti, disarticolano la composizione. La polvere siamo noi, cittadini/elettori spaesati. Le spinte che frullano questa realtà a grana sottilissima sono i fattori che generano l’entropia contenuta in quel limbo che Antonio Gramsci poneva tra ciò che non è più e ciò che non è ancora. Disintermediazione e comunicazione iper-accellerata. Frammentazione delle relazioni e apparente impossibilità di dare forma a ipotesi credibili per futuri desiderabili.
La sinistra attualmente sembra incapace di parlare a strati ampi dell'opinione pubblica. Un interessante commento del saggista Mauro Magatti
di Mauro Magatti *
In tutto il mondo si assiste a una crisi verticale dei partiti di sinistra. In fondo, i successi della nuova destra, in Italia come all’estero, sono dovuti più all’inconsistenza degli avversari che non ai reali meriti dei nuovi protagonisti. Se non altro i partiti populisti, nelle loro diverse manifestazioni, hanno preso atto che il tempo storico è cambiato. E che sia perciò necessario cercare di trovare nuove vie. Giuste o sbagliate che siano. La cosa sorprendente è che i partiti di sinistra — che negli ultimi decenni si sono autoproclamati «progressisti» — non sembrano in grado di comprendere le trasformazioni in atto. Con risultato che oggi la destra si afferma perché riesce a coagulare il malcontento che serpeggia tra ceti medi e popolari.
di Roberto Spagnoli *
Il 10 febbraio si celebra il “Giorno del ricordo” istituito nel 2004 per conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra, e della più complessa vicenda del confine orientale».
Purtroppo ogni anno il 10 febbraio viene preso in ostaggio da forze politiche a cui non interessa rinnovare la memoria della complessa vicenda del confine orientale ma solo usare in maniera strumentale la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo. Del resto una sorta di “peccato originale” è insito nella stessa legge che ha istituito questa solennità dove si parla “dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre”. Quelle terre, tuttavia, non erano soltanto loro.
Un passaggio obbligato per interpretare il futuro
di Giorgio Cavallo
L’autonomia differenziata colpisce un nervo scoperto
Come è possibile che una semplice applicazione di una previsione costituzionale che nel 2001 venne proposta ed approvata dalla sinistra e dal voto popolare, con una destra che riteneva tale previsione poco federalista, venga oggi vista come una mina pronta ad esplodere e a far saltare l’unità dello Stato italiano?
Non entro nel merito degli aspetti tecnici della questione, dei particolari applicativi e di quelli finanziari e del complesso delle modalità di trasferimento delle materie, ma vorrei centrare la vicenda sugli aspetti politici che si stanno palesando. Non ritengo peraltro che le posizioni emergenti dagli oppositori né quelle dei, più o meno vivaci, proponenti sia unicamente determinata da interessi elettorali e dal loro posizionamento geografico. Lo scontro è realmente politico.
Molta acqua è passata sotto i ponti dal decennio di fine secolo scorso quando il dibattito sul federalismo era un tema su cui “tutti” si confrontavano, magari anche per impedire il secessionismo dichiarato, ma mai praticato, della Lega Nord di Bossi. Il federalismo era considerata una medicina per curare le difficoltà di uno Stato uscito a malapena da “tangentopoli” ma che esprimeva comunque una vitalità soprattutto a partire dai suoi corpi intermedi, organizzati e spontanei.
«Tempi interessanti» (89)
«Ho la sensazione che in molti a sinistra o nei mondi dell'impegno sociale, qui come altrove, pensino che se la destra vince questo sia l'esito di un errore da parte degli elettori, come si trattasse di fiducia mal riposta, oppure di una forma di protesta rispetto ad un contesto di crescente preoccupazione e di paura verso il futuro, oppure ancora di un difetto di comunicazione a fronte di grandi apparati mediatici che promuovono leader inguardabili che sanno interpretare gli umori del popolo. In questa nota provo a dire che non è affatto così, che gli elettori sanno bene per chi votano ...»
«Tempi interessanti» (88)
Fino ad oggi avevamo immaginato gli effetti dei cambiamenti climatici con un andamento lineare che poco a poco avrebbe eroso coste e ghiacciai, desertificato aree prima coltivabili... e che avrebbe riguardato le generazioni a venire. E invece ci siamo immersi.
Gli eventi eccezionali, penso alla quantità d'acqua caduta fra il 28 e il 29 ottobre o al vento a duecentoventi all'ora, sono inediti, quindi escono dalla norma. Ma come non vedere che la straordinarietà diventa normalità? O come non vedere che molto di quello che chiamiamo “emergenza” è l'esito di fattori di tipo strutturale, dell'esplicarsi di interessi globali o di cambiamenti connessi ai nostri comportamenti e ai nostri approcci culturali?