"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Editoriali

Il paese è altrove, finiamola con le geremiadi
Apocalisse culturale. Banksi

Sono andati in pezzi i modi in cui si sono formate tutte le nostre categorie politiche, le identità, dalla destra alla sinistra. Una riflessione dell'amico Marco Revelli (pubblicata oggi da "il manifesto") con la quale spero nei prossimi giorni di poter interloquire.

di Marco Revelli

(23 maggio 2018) Da oggi, come si suol dire, «le chiacchiere stanno a zero». Nel senso che le nostre parole (da sole) non ci basteranno più. D’ora in poi dovremo metterci in gioco più direttamente, più “di persona”: imparare a fare le guide alpine al Monginevro, i passeur sui sentieri di Biamonti nell’entroterra di Ventimiglia, ad accogliere e rifocillare persone in fuga da paura e fame, a presidiare campi rom minacciati dalle ruspe. Perché saranno loro, soprattutto loro – non gli ultimi, quelli che stanno sotto gli ultimi – le prime e vere vittime di questo governo che (forse) nasce.

Dovremmo anche piantarla con le geremiadi su quanto siano sporchi brutti e cattivi i nuovi padroni che battono a palazzo. Quanto “di destra”. O “sovranisti”. Forse fascisti. O all’opposto “neo-liberisti”. Troppo anti-europeisti. O viceversa troppo poco, o solo fintamente. Intanto perché nessuno di noi (noi delle vecchie sinistre), è legittimato a lanciare fatwe, nel senso che nessuno è innocente rispetto a questo esito che viene alla fine di una lunga catena di errori, incapacità di capire, pigrizie, furbizie, abbandoni che l’hanno preparato. E poi perché parleremmo solo a noi stessi (e forse non ci convinceremmo nemmeno tanto). Il resto del Paese guarda e vede in altro modo. Sta già altrove rispetto a noi.

Primo maggio. Le parole oltre la musica
La primavera di Praga

«Tempi interessanti» (80)

Primo maggio 1968. Primo maggio 2018. Mezzo secolo, nel quale sono scorse le nostre vite, fra aspettative che ti toglievano il fiato, trasformazioni importanti delle quali ci siamo sentiti protagonisti, ma anche disincanto e sconfitte.

Con il coraggio delle proprie idee che ti portavano a navigare controcorrente, la fatica forse ancora maggiore di abitare spazi più ampi nei quali cercare di dare cittadinanza ad un pensiero laterale quando la politica diventava strumento per l'affermazione personale, il senso di solitudine quando ci si è resi conto che quel modo di intendere la politica faceva breccia anche fra chi non aveva nulla o quasi da difendere. Perché la povertà non è santa.

Siamo caduti in un pozzo. Rimaniamoci per un attimo per tornare a vedere il sole e la luna… [prima parte]
dal blog Ponti di vista

di Federico Zappini *

«La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più nè sole nè luna, c’è la verità»

Leonardo Sciascia

 

(8 marzo 2018) Leggo attorno a me spaesamento e frustrazione, stupore e delusione. Voglia di fuggire. Chissà dove poi, come esistesse un altrove perfetto e privo di spigoli nel quale abbandonarsi ad una vita senza alti e bassi, senza conflitti da affrontare, senza complessità da sbrogliare. Leggo il bisogno di capire cosa è successo e cosa succederà. E la voglia di un abbraccio, in attesa di un ragionamento politico risolutivo che tarda a venire a galla. Leggo anche – dopo un primo momento di giusto silenzio, utile a mettere ordine, a razionalizzare – commenti che tendono a fotografare la situazione politica dentro gli schemi precedenti al voto di domenica. Già essere arrivati fin lì con quegli schemi è stato evidentemente un errore. Perseverare è – come sappiamo – diabolico. Eppure è la scelta più semplice, tra chi sottolinea l’ignoranza generalizzata dell’elettorato e chi denuncia la mancanza di una proposta di “vera” sinistra capace di intercettare un bisogno che – a conti fatti – sembra invece essere semplicemente migrato altrove, cambiando di forma (anche radicalmente) o riconoscendo parole d’ordine di proprio interesse dentro programmi e visioni altre.

Siamo caduti in un pozzo. Finalmente. E ci siamo caduti (parlo ovviamente anche per me, che pure qualche avvisaglia mi ero permesso di segnalarla negli ultimi mesi) senza averne la piena consapevolezza, almeno fino a quando non abbiamo sentito il terreno mancare sotto i piedi e iniziare, inevitabile, la caduta. Un caduta per fortuna non troppo rovinosa, almeno dal mio punto di vista, e forse addirittura salutare e, se ben interpretata, potenzialmente generativa.

Il fascismo non è morto
Olocausto rom

«Tempi interessanti» (76)

(11 febbraio 2018) Il dovere di far tesoro del passato affinché possiamo imparare dalla storia ha un nemico forse ancora più subdolo del “negazionismo”: l'ipocrisia e la retorica. Per questo non amo le celebrazioni e tanto meno le “giornate internazionali” della memoria. ... L'olocausto, le leggi razziali, i sistemi concentrazionari non sono stati un incidente della storia, sono invece l'esito di culture e di politiche (oltre che di interessi) che hanno profondamente segnato il Novecento, quel tempo degli assassini che – contrariamente a quel che afferma il ministro Minniti – non è affatto morto e nemmeno adeguatamente elaborato...

Oggi è sabato, domani è domenica *
Inverno

di Michele Nardelli

(3 marzo 2018) Le previsioni del tempo indicano che lunedì prossimo ci sarà ancora pioggia e neve sopra gli ottocento metri. Insomma non potremo rifugiarci in una bella giornata di sole. Ma non preoccupiamoci più di tanto, malgrado l'esito elettorale avremo a che fare con lo stesso paese del giorno precedente.

Sarà ancora notte quando le prime proiezioni elettorali sullo spoglio ci forniranno una fotografia di questo paese, delle sue paure e del suo smarrimento. Del resto, per mesi gli istituti demoscopici hanno indicato le tendenze di voto degli italiani e non penso che l'esito si discosterà in fondo più di tanto, salvo forse per il risultato di qualche partito minore che potrà rappresentare una qualche sorpresa.

Tutto invece si giocherà sull'avvicinarsi o meno alla soglia del 40% da parte della coalizione di destra (non ho mai pensato a Berlusconi come ad un uomo di centro) o del Movimento 5 Stelle, tanto che Salvini si è augurato negli ultimi giorni della campagna elettorale che il PD non vada sotto il 22% perché questo potrebbe significare un forte spostamento di quell'elettorato verso i pentastellati.

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Il crepuscolo di un sistema
Crepuscolo. Porto Marghera

In dialogo con l'idea di un “inedito inizio” proposta da Federico Zappini

di Michele Nardelli

(7 febbraio 2018) Ho vissuto in prima persona il passaggio dalla “prima” alla “seconda Repubblica”, quando – era l'inizio degli anni '90 – andava in frantumi il quadro politico sul quale si era retto questo paese dalla fine della seconda guerra mondiale. Anni bui. Manette ai polsi dei potenti, partiti storici che si polverizzavano, poteri oscuri che seminavano terrore, istrioni che scendevano in campo. In un suo celebre discorso sulla transizione italiana, Giuseppe Dossetti ebbe a chiedersi, riprendendo il libro di Isaia, «Sentinella, quanto resta della notte?»1.

Eppure anche in quella “notte” non mancarono lampi di luce, la stagione dell'Ulivo ad esempio, forse il primo e significativo tentativo di costruire una nuova sintesi delle migliori culture politiche precedenti. Presenti al nostro tempo, in questa terra vivemmo quel passaggio senza smarrirci, dando il là – nonostante rancorosi conservatorismi – ad una stagione che fece del Trentino un'anomalia politica in tutto l'arco alpino. Ci aiutò un tessuto culturale e sociale dalle radici profonde che faceva da cornice alla sperimentazione politica.

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Autonomia, quel cambio di sguardo che serve all'Europa
L'Europa delle Regioni

di Michele Nardelli e Federico Zappini

La questione catalana sembra essersi incagliata nella storia del Novecento. Se non sapremo proporre un approccio diverso, indicare nuovi scenari, immaginare paradigmi inediti, sarà ben difficile disincagliarla. E se l'orizzonte di ciascuna delle parti (ma anche dell'Europa e a ben vedere di ognuno di noi) rimane ancorato ai concetti di sovranità da un lato e di autodeterminazione dall'altro, sarà difficile venirne a capo. Può infatti sembrare paradossale, ma nella contrapposizione sulla Catalunya i principali protagonisti la pensano sostanzialmente allo stesso modo.

La situazione non è poi così diversa da ciò che avvenne nel 1999 nella crisi del Kosovo, oggi silenziata ma non per questo risolta, tanto è vero che per il diritto internazionale il Kosovo è ancora una regione della Serbia nonostante la sua indipendenza sia stata riconosciuta da 114 Paesi.