"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini
Considerazioni sul voto di domenica scorsa in Trentino riprese da https://pontidivista.wordpress.com/
1 – Niente panico! Il sole è sorto anche questa mattina e – a meno di clamorosi imprevisti, nonostante la giornata insolitamente calda per la fine di ottobre – sorgerà anche domani. La storia non finisce.
2 – Magari fosse un “cigno nero”. Ci permetterebbe di sembrare onestamente sorpresi. Davvero le premesse – e non solo nei mesi successivi al 4 marzo – non erano state colte? Qualcuno immaginava un finale diverso? Solo le proporzioni sono forse più ampie del previsto, ma la caduta era difficilmente evitabile, date le condizioni.
3 – Mi chiedo da chi sia composto quel 15% che ha votato alle Politiche ma non si è preso la stessa briga per le elezioni di massima prossimità per il territorio che abita tutti i giorni. Ho un sospetto sul M5S (quanto possono durare ancora dentro l’ambiguità che li caratterizza?) e sui delusi più marginali (quelli veri, quelli che non incrociamo proprio, mai…).
4 – La coalizione di centrosinistra non ha perso ieri ma quando non ha compreso la radicalità del cambiamento che era necessario mettere in atto, nella sostanza più che nella forma. Oltre la legittima, ma insufficiente, difesa dell’ordinaria amministrazione e con l’ambizione di accompagnare la propria comunità dentro un’ambiziosa e articolata proposta politica di lungo periodo. Una mancanza che prende le mosse qualche anno fa, e ancora non risolta. Non lo ha capito certamente il PD (è ancora un partito utile?). Non lo ha capito del tutto Futura 2018 (il suo risultato va letto in maniera approfondita e non banale. Quante persone ha ri-attivato davvero? Quante ne ha solo “ri-posizionate”? Quale può essere il suo ruolo ora oltre la “resistenza”?). Non lo ha capito minimamente l’UPT, realtà che non poteva avere alcun altro destino se non la definitiva scomparsa viste le recenti involuzioni del suo percorso.
5 - Va riconosciuto a Ugo Rossi, che lo ha dimostrato sul campo (e nell’urna), di non essere IL problema della coalizione e di possedere un reale collegamento con il territorio e con la comunità. Più di 30.000 voti sono tanta roba. Non sta a me giudicare – ora – che forma assuma questo collegamento, un misto di identità e consociativismo anch’esso parte del problema della fu coalizione. Chi è partito da lui – e dalla sua sostituzione – per aprire la discontinuità con il passato deve fare i conti con un errore di valutazione di non poco conto. La soluzione non era la semplice somma di una serie di soggetti ma una vera e profonda riflessione sul passato, il presente e il futuro di una coalizione che era arrivata alla fine di ciclo e doveva trovare il modo di rigenerarsi – come ho già scritto, sperimentando e rilanciando il proprio ruolo – radicalmente e non in ottica conservativa e difensiva.
6 – Vergognarsi di chi ha scelto Fugatti (di uno su due dei propri vicini di casa, dei genitori degli amici dei nostri figli, delle persone che ci circondano ogni giorno sull’autobus o al supermercato) e che probabilmente in precedenza – visto la sovrapponibilità quasi perfetta delle percentuali di votanti delle elezioni 2008 e 2013 – ha scelto Dellai e Rossi, non è il modo migliore per cominciare a riflettere su una nuova prospettiva politica (e culturale, nella sua accezione più vasta) che tenti di contendere il consenso alla Lega e di riconnettere quei pezzi di società che oggi faticano anche solo a confrontarsi sul domani che – insieme – li aspetta e che – insieme – dovrebbero tentare di costruire.
7 – L’incrocio tra risultato altoatesino e trentino con condizione nazionale può rivelarsi un allineamento di pianeti (con la Lega ad agire come filo rosso, ahinoi!) fino a pochi mesi fa neppure lontanamente prevedibile. Un salto di schema che può incidere anche nel futuro del dibattito sulle autonomie locali, speciali o che desidererebbero diventarlo. Lombardia e Veneto sono vicine, così come guardando verso nord l’Austria del premier Kurz. Gli impatti possibili non li approfondisco qui ma vale la pena non sottovalutali, sia dal punto di vista istituzionale che politico.
8 – Non regge nemmeno la città, se quella poteva essere una potenziale consolazione. Eppure dalla città (ma non solo dalla città e per la città) si può ripartire, mettendo a valore le minoranze attive e progettuali che ogni giorno immaginano e realizzano pezzi di politiche avanzate per caleidoscopio di questioni (cultura, welfare, innovazione, ambiente, ecc.) incrociando bisogni emergenti con competenze diffuse. Non è detto che le elezioni comunali della città di Trento non si avvicinino rispetto alla naturale scadenza del 2020 e che insieme alle elezioni europee di maggio 2019 non possa aprirsi un generativo spazio laboratoriale. Io ci starei convintamente, a condizione che la sfida venga accettata al massimo livello, senza scorciatoie da imboccare o primati da affermare. C’è poco da salvare, scrivevo in un precedente pezzo. Confermo quell’impressione.
9 – La speranza è quella che (pur disponendo di 22 o 23 consiglieri su 35 in Consiglio Provinciale) la frammentaria e disorganica composizione dell’alleanza che sostiene Maurizio Fugatti – unita alla velocizzazione dei cicli politici, fenomeno che riguarderà anche Matteo Salvini – possa favorire un’imperfetta sedimentazione sociale e culturale della proposta che da oggi detiene la maggioranza del consenso in Trentino. Ma non basta sperare nelle difficoltà altrui così come si è fatto fin qui o nella volatilità dell’elettorato, sperando che una folata di vento lo riporti sulla strada giusta. Serve uno scarto deciso. Un’intuizione di pensiero che sappia essere collettiva e una pluralità di corpi che si faccia progetto concreto.
10 – Cinquant’anni fa, proprio in questi giorni, Dick Fosbury mostrava al mondo un modo completamente diverso di eseguire l’esercizio del salto in alto. Dalla transizione ventrale, fina ad allora utilizzata, passò a un movimento rivoluzionario con l’asticella approcciata di schiena, dopo una rincorsa arrotondata invece che lineare. Un cambio che permise di migliorare notevolmente le prestazioni, alzando l’asticella della sfida sportiva.
Serve introdurre un metodo Fosbury anche nel campo della politica. Per saltare in una volta sola sia l’onda nazionalista e regressiva che monta sia l’idea che non esista un’alternativa credibile al modello economico e politico (quello capitalista) che fin qui a dominato il mondo. Per un altro mondo possibile.
10bis [punto polemico, ma necessario] – I banchi dell’opposizione sono stretti e scomodi. A occuparli sarà una piccola pattuglia, disabituata al ruolo, chiamata ad agire da controcanto al Governo. Potrebbe essere un contesto generativo se diventasse luogo di elaborazione di un modo inedito di esercitare l’azione politica e – allargando il campo – di pensare l’Autonomia. Ecco che allora gli assessori e consiglieri uscenti (e quegli eletti e quelle elette che avrebbero diritto a un nuovo giro in giostra, nonostante l’età anagrafica e politica avanzata) darebbero il buon esempio lasciando spazio in una fase di transizione come questa ad altri che possano mettersi alla prova, imparando le dinamiche consiliari e assumendosi il compito di relazionarsi con ciò che necessariamente dovrà darsi forma fuori dal Palazzo, oltre i contorni angusti e insufficienti dei contenitori politici esistenti e partendo dalle fondamenta (i valori, i linguaggi, le pratiche, gli obiettivi) di una nuova casa comune, tutta da costruire.
* https://youtu.be/bzok8ebxyt8
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