"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (86)
di Michele Nardelli
Domenica prossima 21 ottobre si vota per il rinnovo del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento e del Consiglio della Regione del Trentino Alto Adige / Süd Tirol. Sarà un passaggio molto delicato per questa nostra terra perché, stando alle previsioni, il Trentino potrebbe finire nelle mani dei partiti della paura e dell'egoismo sociale.
Spero che ciò non accada, ma non mi strapperò le vesti. Perché dobbiamo dirci lealmente e severamente che se l'anomalia trentina – il fatto che per venticinque anni questa terra sia stata l'unica regione dell'arco alpino a non divenire preda del berlusconismo e del leghismo – finirà in questo modo, sarà in primo luogo una nostra responsabilità.
Per la verità l'anomalia è finita da tempo. E non è solo l'esito di questa disgraziata legislatura, che pure ci ha messo del suo a partire da quel carico da novanta che è stato l'affossamento delle Comunità di Valle, il disegno strategico di spostamento dei poteri dalla PAT verso il territorio, scelta che avrebbe ben meritato l'aprirsi di una crisi politica nel centrosinistra autonomista.
L'anomalia trentina è stata minata da una crisi della politica ben più profonda, che è crisi dei corpi intermedi come di un'intera classe dirigente, nell'incapacità di interpretare i cambiamenti e di dar vita ad un nuovo disegno nel tempo della complessità improntato al fare meglio con meno e, insieme, l'esito dello sfarinarsi di un blocco sociale del quale l'anomalia era nel bene e nel male espressione.
Ed invece inadeguatezza del pensiero e dirigismo, insieme alla convinzione che la catena del consenso basata sul collateralismo di sindaci e poteri locali, della cooperazione e delle organizzazioni di categoria fosse inossidabile, hanno fatto smarrire la visione d'insieme, reso fragile la coesione sociale, marginalizzato lo spirito critico.
Anche le cose migliori realizzate nel corso delle passate legislature si sono infrante nell'incapacità di far crescere e rendere consapevole la nostra comunità. Così persino una pianificazione urbanistica attenta al territorio è stata vissuta come un'intrusione verso il dispiegarsi del libero mercato, la nascita delle Comunità di Valle (e la contestuale eliminazione dei Comprensori) come un'impalcatura burocratica che toglieva potere ai Comuni, l'autonomia scolastica come l'assunzione di eccessive responsabilità. Persino un inedito progetto di integrazione fra lavoro e ambiente come il “Progettone”, che ha permesso di accompagnare fin dalla seconda metà degli anni '80 migliaia di lavoratori in età avanzata espulsi dall'industria verso la pensione, è stato spesso gestito – e dunque vissuto – come un umiliante parcheggio di natura assistenzialistica.
Malgrado io stesso non mi rendessi conto a pieno della gravità di questa crisi, avevo posto per tempo la questione di un rilancio culturale prima ancora che politico della coalizione di governo (ne fanno testo le riflessioni su questo blog e i miei interventi in Consiglio Provinciale durante la XIV legislatura), rimanendo però sostanzialmente inascoltato.
Crisi di visione, dunque. La necessità era quella di un cambio dei paradigmi di riferimento e di conseguenza di una politica che mettesse al centro la cultura del limite, nel riconsiderare i risultati dell'autonomia in un quadro più ampio di responsabilità a partire dalla nostra impronta ecologica, ben più pesante di quanto potremmo permetterci anche in Trentino. Un'insostenibilità che avrebbe richiesto uno scarto culturale della nostra comunità, fin dentro la vita quotidiana delle persone. Credo che il nodo abiti proprio qui. Perché è stata proprio l'avversione a questo cambio a far sì che l'incertezza verso il futuro si trasformasse nel prima noi.
E crisi di visionari, laddove la politica ha smesso di pensare e tutto è stato ridotto al proprio destino personale, rincorrendo un'agenda più attenta al consenso (e alle emergenze) piuttosto che alle sfide del tempo. Un'inadeguatezza diffusa perché di fronte a scenari nuovi occorreva una classe dirigente all'altezza, servivano luoghi formativi, corpi intermedi in grado di sfornare persone preparate e dotate di spirito critico, non yes men.
Si è preferito invece procedere ad una progressiva omologazione della politica trentina al quadro nazionale, nella convinzione che il modello di riferimento dovesse essere quello maggioritario e fortemente personalizzato, rincorrendo gli umori senza comprendere che il vento della paura ci avrebbe travolti, con l'esito che stiamo vedendo.
Tanto che, crollato quel quadro, ci si è trovati anche in Trentino in balia del vento che soffia in ogni angolo d'Europa privi dei necessari anticorpi culturali e politici, dove pure credevamo di aver sviluppato un tessuto capace di metterci al riparo dalle derive dell'egoismo. Invece non era così.
Un tempo è finito. E quando questo accade è necessario averne coscienza, elaborarne i motivi, cercare altre cornici e delineare nuovi contenuti. Per questo serve un salto di paradigma, non riproporre vecchie litanie improntate sulla crescita, sul rilancio dei consumi, sulla difesa dei nostri stili di vita e di un'idea di sicurezza fondata sull'esclusione. E nemmeno vecchi schemi politici. In fondo, anche le sconfitte possono rappresentare un nuovo punto di partenza. Purché non si cerchino alibi accomodanti.
Nel precedente commento in questa rubrica tempi interessanti chiudevo la mia riflessione auspicando, per quanto possibile, una riduzione del danno. In queste settimane – assistendo all'ingloriosa fine del centrosinistra autonomista – mi sono continuamente interrogato su come tradurre queste parole, spostando di volta in volta l'asticella più in basso. Fino a convincermi che in questa tornata elettorale riduzione del danno per me vorrà dire votare delle persone che sapranno rimboccarsi le maniche in un contesto mutato, predisponendosi ad imparare dalle lezioni.
Perché questa sarà, quale che sia l'esito del voto di domenica, la condizione da cui ripartire per delineare un nuovo profilo, culturale prima ancora che politico, per questa terra.
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