"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Ugo Morelli *
“Io lavoro come un giardiniere”, diceva di sé Joan Mirò. Indicando che la passione per la natura parla della natura delle passioni umane. Quelle passioni possono essere generative e distruttive.
Il nostro rapporto con la natura di cui siamo parte ha visto prevalere fino ad oggi una posizione e azioni prevalentemente distruttive da parte di noi umani. Un libro postumo di Oliver Sacks, dal titolo emblematico, “Ogni cosa al posto giusto”, in corso di traduzione in italiano, evidenzia in modo magistrale il conforto esistenziale e vitale che da un punto di vista fisiologico e psicologico può venirci dalla natura. Denso di significato è anche il sottotitolo del libro: primi amori e ultimi racconti.
Una sintesi adeguata alla nostra condizione. Auspicando che il nostro amore e la nostra passione per la natura non si traducano in racconti finali delle bellezze e dei valori della natura stessa.
Dovremmo tendere a congiungere il regno di noi umani sulla Terra al paradiso, nel senso originario del termine (pairi – intorno; daeza – muro, un calco dall’avestico). Il muro indica protezione e la passione e la cura possono generare la protezione necessaria a creare una vivibilità possibile per noi, nei luoghi della nostra vita.
Ascoltando con senso di sconcerto e terrore “L’urlo di Vaia”, degli artisti Vera Bonaventura e Roberto Mainardi, presentato in Arte Sella, sulle cinque ore del ventomoto che ha colpito tanta parte del nord-est ricondotte a un’opera sonora di cinque minuti, è stato possibile rivivere quanto accaduto in quei momenti terribili. Di particolare importanza sarebbe non trasformare solo in un rituale o in un ricordo, l’accaduto.
Le catastrofi possono diventare occasione di apprendimento e cambiamento, ma non è detto che ciò accada. Siamo anche particolarmente capaci di neutralizzare gli eventi e, come in una palude, fare in modo che la forza dell’abitudine si richiuda su noi stessi, e tutto continui come prima.
Oggi ogni cosa non è al posto giusto, anzi, sono molte le cose fuori posto, con conseguenze esistenziali, sociali ed economiche. Lo spopolamento dei territori montani ad esempio, ha effetti di impoverimento sociale grave. Così come ha conseguenze economiche evidenti.
Ciò è legato in buona misura all’industrializzazione della montagna in base a modelli impropri e all’insegna del “di più è meglio”. Ciò riguarda sia il turismo che l’agricoltura, con l’evidente difficoltà a investire in competenze evolute, in qualità e non in quantità, in distinzioni specifiche e competitive e non in standardizzazione.
Le logiche massimizzanti rispondono peraltro al vantaggio di pochi e quella concentrazione e specializzazione somiglia più a forme di colonizzazione in casa propria che al lavoro di giardinieri.
* Questo editoriale è apparso nei giorni scorsi sul Corriere del Trentino
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