"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Editoriali

L'idea di progresso e la sinistra globale
La ginestra del Vesuvio

di Mauro Magatti *

In questi anni si è parlato moltissimo di sovranismo, forma contemporanea del populismo. E dei tanti interrogativi che questa offerta politica porta con sé. Assai meno si è discusso delle trasformazioni pervenute nella sinistra. Quasi dando per scontato che problemi e contraddizioni abbiano a che fare esclusivamente con la destra. Uno strabismo che non fa bene al dibattito.

Per “progressismo” si può intendere la forma più radicale di quella cultura sociopolitica diventata prevalente nella sinistra internazionale a partire dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine del socialismo reale. Nel corso degli anni, e soprattutto a seguito della presidenza Clinton, tale cultura ha preso piede non solo nelle elites dei partiti di sinistra, ma anche nei ceti intellettuali ed economici occidentali che hanno beneficiato maggiormente dei processi legati alla globalizzazione. Abbandonata l'idea di un superamento del capitalismo, il progressismo ha sposato un approccio riformista che lo ha reso capace di assumersi importanti responsabilità di governo. Questa metamorfosi ha però avuto i suoi risvolti problematici. Come si vede nella crescente difficoltà a tenere i contatti con i ceti popolari, che, in Italia ma non solo, guardano sempre più a destra.

 

Costruire l'oltre. Un'agenda verso il 2023
Equilibrio

di Federico Zappini *

Qual è il lascito più rilevante delle recenti elezioni politiche? L’ampia affermazione di un governo a trazione conservatrice? Il crescere dell’astensione? La fragilità dell’opposizione, parlamentare e sociale? La polarizzazione del dibattito pubblico? Tutte fonti di viva preoccupazione ma che mi sembrano esiti di un difetto che sta a monte, di una crisi di sistema. La Politica è in ostaggio.

Ostaggio dei partiti che ne dovrebbero essere pietra d’angolo e che spesso ne sono ostacolo alla piena realizzazione. Ostaggio delle leadership (eterne o istantanee) che ripropongono all’infinito la sfida mediatica e muscolare della personalizzazione. Ostaggio della fretta e della mancanza di pazienza nel darsi il tempo della comprensione, dell’analisi, dell’elaborazione, il tempo dell’amicizia politica e del conflitto, del dubbio e del rischio. Ostaggio della mancanza di immaginazione.

Che fare allora? Predisporsi ad accogliere l’inatteso è premessa indispensabile, lì sta la possibilità. Rompere le consuetudini e gli schemi per hackerare lo status quo è una scelta obbligata. Costruire l’Oltre è il compito da assumersi, alla ricerca della destinazione cui tendere.

Che cosa è avvenuto?
Dove andiamo?

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (127)

... E' evidente che non basta un congresso, occorre molto di più. Non riguarda nemmeno un solo partito: la ricostruzione di un blocco sociale investe la società, un tessuto esteso che coinvolge associazioni, sindacati, mondo del lavoro, volontariato. E soprattutto quella parte della società – i giovani – per la quale è in gioco il futuro ma che oggi appare estranea tanto ai vecchi corpi intermedi come a larga parte di una società civile sempre più autoreferenziale.

Un lavoro improbo perché si tratta di un'esigenza che, nel dibattito pubblico come del resto nel sentire comune, nemmeno viene avvertita. Piuttosto che indagare le cause profonde e i paradigmi che ci hanno portati sin qui, si preferiscono le rese dei conti. Ci si affida ancora una volta alla ricerca di nuovi leader, in fondo non tanto diversi da quelli precedenti, invece di interrogarsi su categorie interpretative incapaci di leggere questo tempo e su paradigmi che sono all'origine del deragliamento. Il concetto di “progresso”, tanto per cominciare. Non capendo che gran parte dei nodi venuti al pettine abitano proprio qui, nell'idea dell'illimitatezza delle risorse che ha segnato la modernità. Sentir parlare ancora di “campo progressista” significa che il tema (questo sì cruciale) del limite continua a non avere cittadinanza...

Il corpo nel presente, la mente nel secolo scorso
Angelus Novus

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (126)

di Michele Nardelli

Forse per la prima volta nella mia vita osservo quasi con estraneità l'approssimarsi delle elezioni politiche. Per una persona che ha dedicato alla politica gran parte della sua esistenza, potete immaginare quanto questo fatto possa essere doloroso. Ma tant'è. Questo non mi ha impedito di continuare anche nelle settimane di questa strana campagna elettorale di pensare e di agire politicamente, ma le coordinate di questo impegno non si sono mai connesse, se non casualmente, alla campagna elettorale. Non che non colga la portata del voto di domenica 25 settembre, ma sono i contenuti evocati dai partiti che mi fanno sentire tanto lontano. Eppure quel che accade dovrebbe interrogare tutti sulla deriva che ci ha portati sull'orlo del baratro.

L'ingorgo delle crisi
Ingorgo

Tempi interessanti (124)

Questa riflessione è stata scritta per il blog Passion&Linguaggi (https://www.passionelinguaggi.it/2022/06/01/lingorgo-delle-crisi/)

Quelle che ci ostiniamo a chiamare emergenze sono in realtà crisi. Non che non ci siano situazioni di emergenza che richiedono un intervento rapido per evitare il peggio. Ma continuare a definire in questo modo il manifestarsi di cambiamenti profondi a carattere strutturale è ipocrita e fuorviante.

Ipocrita perché induce a credere che si tratti di eventi casuali e privi di un nesso fra causa ed effetto. Fuorviante perché non ci porta ad indagare sulla natura di quel che avviene, ovvero sull'insostenibilità di un modello di sviluppo che abbiamo assunto come pensiero unico.

Potremmo dire che il concetto di emergenza è omologo a quello di resilienza. Anche in questo caso, di fronte al mutare di una condizione ogni essere vivente ricerca un suo modus vivendi che l'aiuti ad affrontare un contesto diverso. Ma emergenza e resilienza non pongono il nodo dell'intervenire alla radice dell'insostenibilità. Estranei alla politica...

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Marmolada, la nostra negazione del limite nella società della performance
Il ghiacciaio della Marmolada

di Giulio Costa *

Azzurro è il colore del vuoto. Esordisce così, durante una seduta di psicoterapia, una mia paziente riferendosi al proprio lutto e al proprio vuoto personale per la recente perdita di un familiare: un dolore che ha visto rispecchiarsi nella voragine di ghiaccio azzurro lasciata dal drammatico distacco del seracco della Marmolada.

Al pari della siccità che da mesi sta colpendo il nostro territorio, la tragedia della Marmolada è diventata nuovo simbolo dell’evidente cambiamento climatico.

Tuttavia, lo sguardo diverso della mia paziente alle fotografie che da giorni riempiono quotidiani, telegiornali e social, mi hanno rivelato come quella voragine rappresenti il nostro umano e contemporaneo rapporto con il limite e la fragilità.

Un baratro fisico, naturale, ma al contempo psichico e sociale. A partire dal Secondo Dopoguerra, abbiamo via via soffocato ogni discorso sulla fragilità, sul dolore e sul senso del limite.

 

Non ci saranno vincitori e vinti, ma soltanto vinti
Mauro Ceruti

L'intervista a Mauro Ceruti a Repubblica

"L'emergenza climatica, la pandemia, e oggi la guerra in Ucraina. Sembra che l'umanità stia affogando, ma non dobbiamo abbandonare la speranza. La storia umana è piena di svolte imprevedibili". Nella sua ricca vita accademica Mauro Ceruti, 68 anni, ha spaziato dalla filosofia della scienza alla psicologia e alla sociologia, nel solco di Geymonat e Piaget, fino all'incontro e all'amicizia con Edgar Morin. Per la sua riflessione interdisciplinare sul tema della complessità è stato insignito ieri del premio Nonino a "Un maestro del nostro tempo".  Qui riflette sulla specificità del conflitto che oggi insanguina Kiev, sul ruolo dell'Europa e sulla via per assicurare un futuro a homo sapiens.

I suoi studi si soffermano sul concetto di complessità. Quella del presente che specificità ha?

"Le grandi crisi globali di oggi sono insieme sociali, sanitarie, politiche, economiche e riguardano sia il rapporto delle popolazioni tra di loro sia il rapporto dell'uomo con la Terra. Complessità è una parola che ultimamente viene usata a sproposito. Ma ricordiamo che deriva dal latino complexus, ossia stretto, intrecciato insieme: significa che le varie dimensioni non possono essere separate: nella vita quotidiana di milioni di persone ciò implica l'impossibilità di semplificare queste interconnessioni. Dobbiamo pensarci come in un'opera di Escher, seguendo la lezione di Calvino sul compito di rappresentare il mondo come un groviglio, senza attenuarne l'inestricabile complessità, ossia la presenza simultanea di elementi eterogenei che concorrono a determinarlo. L'unica soluzione per affrontare la complessità è ciò che io chiamo umanesimo planetario, la consapevolezza che le sfide del presente si possono affrontare soltanto uniti, come specie".

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