"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Francesco Picciotto
Primo Levi racconta, con un distacco da chimico e con un linguaggio “nuovo” che è appannaggio solo dei grandi scrittori, la realtà del lager. Lo fa in molte delle sue opere tornando spesso all’idea che si sia trattato, al di là della consapevolezza di chi l’ha voluto e dei volonterosi carnefici che l’hanno progettato e gestito, del più grande esperimento sociale della storia. Privare l’uomo della propria umanità e di tutto ciò che fa dell’uomo un uomo: il sonno, la sicurezza, il riparo, l’acqua, il cibo, perfino il nome e i capelli, vuol dire spostare un intero pezzo di umanità ad un livello della piramide dei bisogni che nemmeno Maslow aveva immaginato. Al di sotto quindi della prima fascia, al di sotto dei bisogni primari, in un luogo in cui molti saranno i “sommersi”, pochissimi i “salvati”.
All’interno di questo spazio che l’esperimento sociale del lager crea ex novo, vigono regole perniciose e inaccettabili, a volte strettamente correlate al funzionamento del lager, altre apparentemente incomprensibili e arbitrarie ma anch’esse funzionali allo scopo di sbarrare, cancellare, erodere la seconda parola della coppia “essere umano”. Sono regole al quale “l’essere” deve rispondere senza che ad esso sia richiesta alcuna comprensione, adesione, espressione della più superficiale delle volontà.
Ci sono poi delle regole che nascono spontanee all’interno del lager, sono effetti collaterali dell’esperimento sociale, frammenti che sfuggono perfino al gestore dell’esperimento. Sono regole relazionali di chi vive al di sotto del livello dei bisogni primari dove l’unico bisogno significativo rimane quello di riuscire ad arrivare vivi alla sera e nel quale l’unica moneta corrente non può che essere il pane. Quel blocco nerastro che viene distribuito una volta al giorno in quantità sempre minore, mano mano che il conflitto procede, è l’unico elemento di scambio per i poveri ed esigui commerci del lager, è l’unica merce che attribuisce valore “ai beni e ai servizi” dei quali, nonostante tutto, nel lager si fa commercio. Ma il “quanto commerciale”, l’unità monetaria minima, è raramente l’intera razione perché privarsene vorrebbe dire non avere nulla da mettere nello stomaco almeno fino al giorno dopo. Il commercio avviene attraverso la cessione di frazioni di razione. Ed è a quel punto che arriva una delle regole non scritte, auto prodotte e fondamentali nel campo di sterminio; la regola si chiama “io divido tu scegli”. Se abbiamo pattuito che io, per ricevere qualche cosa in cambio da te, ti darò mezza razione del mio pane allora faremo così: io dividerò la razione in quelle che penso essere due metà perfette e a te spetterà di potere scegliere fra le due metà. Questa regola attribuirà a me la responsabilità di una spartizione equa, a te darà la possibilità di scegliere qualora dovessi ritenere che io non abbia adeguatamente eseguito il mio compito. E’ una regola agghiacciante, posta molto prima di ciò che oggi chiamiamo diritti, decisamente al di là di ciò che definiamo umanità.
Oggi viviamo in un tempo in cui la libertà, figlia di una storia ormai ultra centenaria e che, almeno, in alcune zone di questo pianeta, avevamo derubricato alla stregua di un diritto inalienabile e quindi definitivamente acquisito, sembra essere nuovamente messa in discussione.
La libertà rischia di diventare “il pane del lager” del nostro tempo. Non è possibile traguardare un futuro significativo senza assumerne una dose adeguata alla nostra quotidiana sopravvivenza.
Torna allora forte l’incertezza, le condizioni date ci riportano ad un livello più basso di quello che era un livello della piramide che consideravamo raggiunto per sempre.
In discussione sono razioni fino ad ieri considerate minime di questo bene fondamentale: la possibilità di protestare, di riunirsi per strada, di esprimere pacificamente il proprio dissenso, di resistere passivamente, perfino quella, per alcuni, di possedere un cellulare. Sono alcuni degli elementi fondamentali del DDL 1660, passato nei giorni scorsi alla Camera e che approderà in Senato.
Primo Levi nella sua poesia “Alzarsi”, questo preconizza:
Sognavamo nelle notti feroci
sogni densi e violenti
sognati con anima e corpo:
tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
il comando dell’alba:
“Wstawàc”:
e si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa,
il nostro ventre è sazio,
abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
il comando straniero:
“Wstawàc”.
Non so se sia davvero questo il tempo, di certo è questo il tempo per recuperare una regola fondamentale: "tu dividi, io scelgo". Saranno loro a “dividere” ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ciò che buono da quello che non lo è, ma noi dobbiamo rivendicare per noi stessi il diritto di “scegliere” la parte nella quale ci riconosciamo, quella metà che ci sembra ancora contenere in sé quel poco di “pane/libertà” sufficiente ad arrivare almeno alla fine di ogni giorno.
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