"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (137)
di Michele Nardelli
29 ottobre 2018
Il ciclone extratropicale denominato “Vaia” si abbatte sulle Dolomiti. Sarà l'evento di maggiore impatto ambientale nell'arco alpino mai registrato da quando se ne ha memoria: la furia del vento raggiungerà punte di 192 chilometri orari, 42.525 ettari di bosco abbattuti e una stima di quasi 9 milioni di metri cubi di legname schiantato, il 60% del territorio di 494 Comuni dolomitici devastato1. Morirono in quelle circostanze due persone, a Dimaro e nella bassa Val di Non, ma gli effetti avrebbero potuto essere ben più gravi se tutto questo fosse accaduto durante il giorno e se l'area colpita fosse stata più antropizzata.
A distanza di 6 anni gli effetti sono ancora ben visibili, per la mancanza di politiche coordinate da parte delle Regioni colpite, per la presenza di aree nelle quali non c'è stato l'esbosco del legname, per il susseguirsi di eventi estremi e per la successiva proliferazione del bostrico tipografo che ha avuto un impatto talvolta anche superiore a quello di Vaia.
All'origine del ciclone extratropicale Vaia, senza margine di dubbio, c'è stata la crisi climatica e la conseguente tropicalizzazione di una regione tradizionalmente temperata come quella mediterranea. In quella circostanza il Mediterraneo aveva infatti registrato un aumento della sua temperatura in superficie di 3 gradi centigradi rispetto alla media, producendo tra il Golfo del Leone, le Isole Baleari e la Sardegna un cumulo di energia che, incontrando l'area fredda proveniente dal nord Europa, scatenò una vasta area depressionaria originando il ciclone Vaia.
Ne “Il monito della ninfea” scrivemmo di Vaia come “un messaggero”.
29 ottobre 2024
Esattamente sei anni dopo, una DANA, acronimo di Depresion Aislada en Niveles Altos (Depressione Isolata di Livello Superiore), lo scontro tra una corrente a getto polare e l'aria calda e umida del Mediterraneo, si abbatte sulla comunità valenciana, nella parte meridionale della penisola iberica. Gli esperti ci dicono che si è trattato dell'onda lunga di quanto accaduto a Bologna e in Emilia Romagna nei giorni immediatamente precedenti.
Nell'area collinare intorno a Valencia – dopo mesi di siccità estrema – cade in otto ore la pioggia di un anno intero. Una quantità d'acqua e di fango che si riversa in un'area fortemente antropizzata, nell'ora di punta di un giorno infrasettimanale. Il tutto senza alcun preavviso da parte delle autorità locali, perché non si è negazionisti per finta. Le immagini che tutti abbiamo visto ci raccontano della tragedia che si è portata via la vita di oltre duecento persone, per un bilancio ancora del tutto provvisorio considerato che si parla di molte centinaia di dispersi.
“La meteorologia non ha confini”
Scrive in questi giorni il meteorologo Federico Grazzini: «L'atmosfera è la stessa e la meteorologia non ha confini, ma si basa su processi fisici che si possono ripetere nei diversi luoghi in particolari condizioni. Da ognuna di queste tragedie dobbiamo imparare sia come adattarci ma più altro convincerci che è imperativo un cambio di passo sulla riduzione delle emissioni, subito».
Nessuno può dunque chiamarsi fuori. La coincidenza delle date sopra riportate ci parla in particolare del Mediterraneo, ma gli ecosistemi come sappiamo non sono mondi a parte e quel che avviene nel mare che ha reso temperate le nostre regioni si riverbera immediatamente sulle città, sulle pianure come sulle terre alte, tanto è vero che proprio in questi giorni lo zero termico sulle Alpi è a 4.000 metri sul livello del mare e gli eventi estremi si susseguono a ritmo inedito.
Nei primi nove mesi del 2024 – secondo un recente rapporto del WWF – nella nostra penisola si sono registrati 1899 eventi estremi: 212 tornado(52 nella prima metà di settembre, il 71% sulle coste tirreniche), 1.023 nubifragi (157 nella prima metà di settembre, il 91% sulle regioni del Centro-Nord), 664 grandinate con chicchi di grandi dimensioni (37 nella prima metà di settembre, record in Versilia con chicchi di diametro fra 7 e 9 cm).
Negazionismo
Quel che accade dovrebbe rendere tutti consapevoli sugli effetti della crisi climatica. Ma purtroppo non è così, tanto è vero che non si intravede alcuna inversione di rotta, né da parte del Governo italiano, né dalle Regioni che, al contrario e conformemente con il clima negazionista che serpeggia ovunque, proseguono come se nulla stesse accadendo.
Anzi, le pur insufficienti scelte sulla transizione ecologica assunte a livello europeo vengono fortemente ridimensionate sotto la spinta di lobby di ogni tipo e di un modello di sviluppo che non intende piegarsi malgrado ogni evidenza. Ma anche – non dobbiamo nascondercelo – di opinioni pubbliche impaurite e incattivite che scelgono la retorica sovranista e del “si salvi chi può” pur di non mettere in discussione il proprio stile di vita. Lo stesso uso dei fondi del PNRR ha seguito questa logica, nei fatti aggravando quella stessa insostenibilità che della crisi climatica è all'origine. Quando la sbornia sarà finita, chissà che non venga il tempo per un bilancio impietoso dello sperpero compiuto come dell'occasione sprecata, ma a quel punto il risveglio sarà oltremodo doloroso.
Un cambio culturale
Il cambio di passo di cui parla Federico Grazzini non potrà che essere culturale, prima ancora che politico e di governo. Per questo dovremmo disporci ad imparare. Ma i cambiamenti culturali richiedono tempi lunghi ed investimenti in educazione alla contemporaneità che, ahimé, non sono nell'agenda di nessuno (o quasi). Come diceva Eduardo “Addà passà a nuttata”.
1Diego Cason – Michele Nardelli, Il monito della ninfea. Bertelli editore, prima edizione gennaio 2020, seconda edizione maggio 2022.
PS. Diga romana di duemila anni fa salva un paese dall'alluvione. Siamo ad Almonacid de la Cuba, nella comunità autonoma dell’Aragona, a 60 chilometri da Saragozza. Nonostante la potenza di Dana, una diga romana di 2.000 anni fa - realizzata nel II° secolo d.C. e rinforzata il secolo dopo - è riuscita ad arginare la furia del fiume Aguasvivas in piena deviando il flusso di acqua e fango sul fianco di una collina. L'antica opera di ingegneria idraulica - alta 134 metri e lunga 120 - ha salvato il piccolo centro dove non si sono registrati danni o feriti.
Le immagini:
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