"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

La grande cecità

Stanley Kubrick. 2001: Odissea nello spazio

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (100)

di Michele Nardelli

(5 marzo 2020) Che i tempi siano interessanti non c'è dubbio. Inquietanti pure. Evidenziano la fragilità del castello di carte sul quale si regge l'attuale ordine mondiale. Non solo per l'intrecciarsi delle crisi – ecologica, finanziaria, demografica, sociale, politica, morale – ma anche per lo svelarsi della fede nel veleno, di quell'insano meccanismo che, malgrado gli ammonimenti che nel tempo ci hanno messo in guardia rispetto ai limiti dello sviluppo, ci ha fatto credere nel mito moderno del progresso e che la scienza e la tecnica avrebbero comunque trovato le soluzioni alla sua insostenibilità.

Rivelano altresì, per usare le parole di Luigino Bruni, un'immensa impotenza. «Abbiamo messo in piedi un sistema economico estremamente vulnerabile. Niente come un virus mostra che il re capitalista è nudo. Come sapeva già Keynes i piedi di argilla del capitalismo sono i sentiments e le emozioni della gente. I grandi strumenti, i potentissimi mezzi dell'economia e della finanza oggi non possono nulla. La mano invisibile si è totalmente inaridita e le voci dei suoi paladini zittite. Se non avessimo salvato qualche residuo del vecchio stato sociale, massacrato dagli amanti delle mani invisibili, saremmo già stati spazzati via da un invisibile parassita. Ci voleva l'invisibile agli occhi per costringerci ad una quaresima capitalista che i mercati non avrebbero mai fatto spontaneamente, nonostante Greta (è molto bella l' immunità di teens e bambini). Ci voleva un “male comune” per dirci cosa è il dimenticato e deriso bene comune. Il virus passerà, che non passi la sua dolorosa lezione. E intanto i cinesi son tornati a riveder le stelle, per uno shabbat forzato da inquinamento. Ciò che non facciamo per amore ogni tanto lo facciamo per dolore».

Vorrei che Luigino Bruni, economista e uno dei massimi fautori dell'economia di comunione, avesse ragione, ma temo che l'attenzione sia rivolta solo all'emergenza e a come uscirne. Ben poco sui motivi che ci hanno portato a questa situazione. Niente di nuovo, per la verità. Abbiamo vissuto una situazione analoga nei mesi successivi alla tempesta Vaia. Tutti alle prese nell'affrontare l'emergenza – e questo non può che essere comprensibile – ma poi tutto torna come prima, più preoccupati a ricostruire l'infranto (e a non alterare la cartolina) che ad interrogarsi sulla natura di quel che accade.

Come non vedere infatti che quel che si consuma intorno a noi, dalla casa comune che va a fuoco al surriscaldamento degli oceani, dai ghiacci dell'Artico a quelli delle Alpi che si sciolgono, dagli eventi estremi che diventano sempre più normali e che in una notte abbattono decine di migliaia di ettari di bosco, dall'invasione delle locuste nel Corno d'Africa all'insorgere di nuove patologie come il “coronavirus”, non sono che altrettante facce della medesima insostenibilità?

Il fatto è che vediamo solo quel che vogliamo vedere. E' l'autoinganno che lo scrittore indiano Amitav Ghosh ha definito “La grande cecità”, «il fallimento immaginativo e culturale che sta al cuore della crisi climatica». E' quel che sosteniamo con Diego Cason nel libro “Il monito della ninfea” a proposito degli effetti ambientali e sociali di Vaia. E' quanto abbiamo scritto due anni fa parlando di “Sicurezza” con Mauro Cereghini. Perché qualcuno ancora pensa che sia possibile “salvarsi da soli”, mettendo muri e filo spinato (e denaro) fra sé e il mondo. Mentre si allarga la pandemia coronavirus, al confine fra Turchia e Grecia assistiamo ad una ennesima grave crisi umanitaria, a sua volta esito di una guerra infinita nella quale le grandi potenze del pianeta ancora una volta hanno giocato con la vita di milioni di persone. Nella cinica indifferenza del mondo e nell'orrore delle immagini di chi spara addosso ai profughi di guerra.

Gli effetti del cambiamento climatico dovrebbero aprirci gli occhi, nessuno se ne può chiamare fuori anche se riempiamo le abitazioni di condizionatori che peraltro aggravano il problema. Ora il virus ci mette di fronte – sempre a volerlo vedere – ad un nuova crisi globale. E se, come scrive Bruni, regge ancora qualche scampolo del vecchio stato sociale, almeno dove c'è un sistema sanitario nazionale che si possa definire tale (non oso immaginare qual che accadrà con il diffondersi del virus dove in ospedale si entra solo con la carta di credito, sempre che un ospedale ci sia), gli scenari che si aprono di fronte a noi sono davvero inquietanti.

Che cosa deve accadere per comprendere che è necessario cambiare rotta?

 

2 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Michele Nardelli il 08 marzo 2020 10:53
    Gentile Icilio, si tratta di un'estratto del commento postato da Luigino Bruni sulla sua pagina facebook il 4 marzo alle ore 9.47. Post che avevo ripreso e che può trovare anche sulla mia pagina fb.

    Sono felice di aver contribuito seppure in piccolissima misura al prendere corpo della sua tesi di laurea.

    Un caro saluto.

    Michele Nardelli


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  2. inviato da amil47 il 08 marzo 2020 00:08


    Carissimo Dott. Nardelli,

    Le scrivo per sapere qual è la fonte esatta della citazione di Luigino Bruni che Lei fa nel suo articolo "La grande cecità" datato 05.03.2020. L'indicazione esatta della fonte della citazione troverà spazio nella tesi di laurea in filosofia che sto preparando.

    Mille grazie e saluti cordiali,
    Icilio Daneluzzi
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