Quanto accaduto con la rinuncia di Giuseppe Conte e l'incarico di governo affidato dal Presidente della Repubblica a Carlo Cottarelli apre una crisi istituzionale pericolosa e senza precedenti. Intendo scriverne nelle prossime ore. Intanto ho trovato stimolante questa riflessione del giornalista dell'Espresso Alessandro Gilioli nel suo evidenziare come la dimensione sovranazionale sia diventata il terreno ineludibile per la democrazia. E, malgrado ciò, pressochè ignorata nella recente campagna elettorale.
di Alessandro Gilioli *
(27 maggio 2018) Mai visto un Di Maio così. Livido, rabbioso, le occhiaie nere su fondo bianco, la voce che rimbombava nell'ignota stanza in cui girava il suo video. Sparito il sorriso che aveva indossato per tutta la campagna elettorale, in mille foto, e negli 80 giorni dal voto. Sparita la cifra della composta pacatezza con cui si era presentato all'Italia, agli alleati, alla stampa straniera. «Non siamo una democrazia libera», ha detto, «è una crisi istituzionale mai vista»: preludio di gesti forti, di azioni contro quel presidente da cui pochi giorni fa, come disse lui stesso, si sentiva «pienamente garantito».
Del resto per tutto il giorno l'ordine di scuderia grillina era stato quello: totale fiducia nella «saggezza» di Mattarella e Conte, che insieme avrebbero «trovato una soluzione», ripetevano tutti i parlamentari pentastellati - e lo stesso mantra veniva dal giro di Casaleggio.
Sono andati in pezzi i modi in cui si sono formate tutte le nostre categorie politiche, le identità, dalla destra alla sinistra. Una riflessione dell'amico Marco Revelli (pubblicata oggi da "il manifesto") con la quale spero nei prossimi giorni di poter interloquire.
di Marco Revelli
(23 maggio 2018) Da oggi, come si suol dire, «le chiacchiere stanno a zero». Nel senso che le nostre parole (da sole) non ci basteranno più. D’ora in poi dovremo metterci in gioco più direttamente, più “di persona”: imparare a fare le guide alpine al Monginevro, i passeur sui sentieri di Biamonti nell’entroterra di Ventimiglia, ad accogliere e rifocillare persone in fuga da paura e fame, a presidiare campi rom minacciati dalle ruspe. Perché saranno loro, soprattutto loro – non gli ultimi, quelli che stanno sotto gli ultimi – le prime e vere vittime di questo governo che (forse) nasce.
Dovremmo anche piantarla con le geremiadi su quanto siano sporchi brutti e cattivi i nuovi padroni che battono a palazzo. Quanto “di destra”. O “sovranisti”. Forse fascisti. O all’opposto “neo-liberisti”. Troppo anti-europeisti. O viceversa troppo poco, o solo fintamente. Intanto perché nessuno di noi (noi delle vecchie sinistre), è legittimato a lanciare fatwe, nel senso che nessuno è innocente rispetto a questo esito che viene alla fine di una lunga catena di errori, incapacità di capire, pigrizie, furbizie, abbandoni che l’hanno preparato. E poi perché parleremmo solo a noi stessi (e forse non ci convinceremmo nemmeno tanto). Il resto del Paese guarda e vede in altro modo. Sta già altrove rispetto a noi.
L'itinerario n.8 del "Viaggio nella solitudine della politica" ci porta dal 30 maggio al 3 giugno nelle «terre dell’osso», alla ricerca di suoni che diano speranza al Mezzogiorno.
Siamo giunti così all'ottava puntata di questo nostro "Viaggio nella solitudine della politica". Prenderà il via da L'Aquila il prossimo 30 maggio e ci porterà nei giorni successivi in quelle che Vinicio Capossela, nel suo "Il paese dei coppoloni", chiama le «terre dell’osso». Attraverso il Sannio, l'Irpinia e la Lucania per cinque giorni incontreremo le persone, le storie di vita, le riflessioni e le esperienze che cercano di dare speranza alle terre di mezzo di un Mezzogiorno profondo e vero ma anche spremuto, svuotato e vilipeso nel nome di un progresso senza futuro.
Per chi fosse interessato e intendesse partecipare può telefonare al 347 4098578 (Michele). Qualche posto sul nostro pulmino ancora c'è e ci si può sempre aggregare con mezzi propri.
Itinerario catalano. Un diario di viaggio nelle contraddizioni di un'Europa che deve imparare ad ascoltarsi
di Michele Nardelli
(31 marzo 2018) «Come può l'Europa farsi carico della questione catalana? Ascoltando la Spagna. Non il governo di Madrid, ma la realtà di questo paese...». Nelle parole di Alexis Rodriguez Rata, giovane studioso di Altiero Spinelli che incontriamo al Museo del Mar in una Barcellona battuta dalla pioggia, c'è forse l'essenza dei giorni di immersione nella questione catalana. Per comprendere – se ancora non l'avessimo capito – che siamo di fronte a una crisi europea, che l'Europa ha scelto di non ascoltare e di non vedere per timore che i nodi che la vicenda catalana pone non contagiassero un continente ritornato preda di vecchi e nuovi nazionalismi.
Un'agenda fittissima di incontri, tanto fitta da non riuscire ad assolvere l'agenda di lavoro che ci siamo dati e quelli che nel corso della nostra visita si andavano proponendo, cui cerchiamo di rimediare con una serie di interviste a lato dei nostri appuntamenti che andranno ad arricchire successivamente il racconto del viaggio. Voci diverse, intellettuali, esponenti politici o della società civile, militanti federalisti ma anche indipendentisti, per capire le posizioni in campo e dare voce a quelle realtà che, malgrado il radicalizzarsi dello scontro, lavorano per cercare vie d'uscita da una situazione bloccata e – in assenza di soluzioni politiche – destinata a degenerare.
sabato, 21 aprile 2018 ore 09:45
Facendo seguito all'itinerario catalano del nostro “Viaggio nella solitudine della politica” abbiamo pensato a quale avrebbe potuto essere il modo più interessante per una restituzione di quanto abbiamo ascoltato e compreso nelle giornate trascorse a Barcellona e al tempo a come sintonizzare tutto questo con il nostro contesto autonomistico ed in particolare con il concludersi del lavoro della Consulta trentina e della Convenzione Altoatesina/Sudtirolese sul “Terzo Statuto”.
Così ci è sembrato utile proporre una mattinata di conversazione che si svolgerà sabato prossimo 21 aprile presso l'antico Monastero di Sant'Anna, nell'omonima località non lontana da Sopramonte (Trento).
Sopramonte (Trento), località Sant'Anna
Nella spettacolare cornice dell'antico monastero di Sant'Anna1 abbiamo cercato di restituire ad un folto gruppo di amici quel che il recente viaggio in Catalunya ci ha consegnato. Lo abbiamo fatto attraverso una serie di immagini/riflessioni che si sommano a quanto con Federico abbiamo già scritto. Metto quindi per esteso gli appunti che ho proposto introducendo la proficua conversazione di sabato scorso, chiedendo ai presenti di fare altrettanto, sviluppando in forma scritta le loro stimolanti considerazioni.
di Michele Nardelli
1. L'omaggio a Walter Benjamin, l'attualità del suo messaggio
Cominciamo dalla fine del nostro viaggio, la visita a Port Bou dove sorge il memoriale in ricordo di Walter Benjamin. Qui, nella notte fra il 26 e il 27 settembre del 1940, il filosofo tedesco stremato dal fuggire infinito dalla persecuzione nazista e devastato dalla decisione del governo franchista di chiudere il suo territorio ai “profughi illegali” decise di porre fine alla sua esistenza. Scrisse un biglietto: «In una situazione senza uscita, non ho altra scelta che farla finita. E la mia vita terminerà (va s'achever) in un paesino dei Pirenei in cui nessuno mi conosce. La prego di trasmettere i miei pensieri al mio amico Adorno, e di spiegargli la situazione nella quale mi sono trovato. Non mi resta abbastanza tempo per scrivere tutte le lettere che avrei voluto scrivere».
Nel promontorio a picco sul Mediterraneo dove l'architetto di origine ebraica Dani Karavan realizzò agli inizi degli anni '90 un memoriale per nulla retorico e di straordinaria efficacia comunicativa, a pochi passi dal cimitero di Port Bou, i flutti delle onde ci ricordano dell'infinito lottare per la vita. E della straordinaria attualità del messaggio che Benjamin ci ha lasciato, mettendoci di fronte alla critica del progresso con il suo celebre scritto sull'Angelus Novus di Paul Klee2, alla questione dell'umano nella storia in un tempo che con il “prima noi” sdogana la fine dell'umanesimo, alla condizione dell'apolide fra il diritto di cittadinanza di ogni essere umano e i confini degli stati-nazione all'origine delle grandi tragedie del Novecento.
Ragione quest'ultima che aveva portato Soheila Javaheri e Razi Mohebi – amici cari che hanno partecipato al nostro viaggio – ad immaginare da tempo di concludere proprio qui a Port Bou l'autobiografia della prima parte della vita di un apolide moderno come Razi. In quel bisogno imprescindibile di passare da una condizione di sopravvivenza vegetativa ad una vita che possa definirsi tale, ben rappresentata da quella piccola frontiera ancora oggi militarizzata che ci ferma e che mette Razi per l'ennesima volta di fronte al proprio status di “cittadino del nulla”. Non avremmo potuto immaginare una conclusione del nostro itinerario catalano più paradigmatica.
Pensieri sparsi alla vigilia del viaggio a Bruxelles, promosso Usr Cisl Toscana e Istel, nell’ambito del percorso formativo: “I venerdì di Via Dei”, 18-20 aprile 2018
di Francesco Lauria *
Chi deve interpretare il tempo che resta per ritrovare una bussola nella comunità smarrita?
Alla vigilia di un viaggio “sindacale” nel cuore dell’Europa, mentre in televisione o dagli schermi dei nostri smartphone osserviamo i missili occidentali delineare una possibile nuova “guerra umanitaria”, è questa la domanda notturna che risuona, analizzando quella che Aldo Bonomi ha definito, riecheggiando Baumann, “liquefazione spaziale”.
Questa perdita della solidità e relazione si ritrova anche a cospetto della rilevante perdita di capacità culturali, organizzative e normative, di trasformare il lavoro, nelle sue varie e non sempre catalogabili forme ipermoderne, in soggettività collettiva attiva e solidale1.
Lo sguardo, in particolare se si rivolge all’Europa strappata di questo tempo, rimane sospeso nelle “vicissitudini dell’io”, ripetuto nazione per nazione, incapace di rielaborare, uscendo da sé, un noi inclusivo, in cui riconoscersi, essere riconosciuto e, infine, riconoscere.
Ci perdiamo, naufraghiamo come singoli e collettività, nell’incapacità di ritrovarci, pensiamo a costruire nuovi recinti, nuove illusorie e falsamente rassicuranti comunità chiuse, a volte, le trasformiamo, persino in “comunità maledette”2, nonostante il monito che le guerre “fratricide” dei Balcani avrebbero dovuto imperituramente lasciarci.
di Federico Zappini
(13 aprile 2018) Non c’è che dire. Neanche il tempo di segnalare – da parte del Presidente Ugo Rossi in persona – che i risultati delle elezioni politiche non avevano poi grande relazione per la situazione trentina ed ecco che proprio il contesto locale subisce una serie di scossoni.
Scricchiolano le coalizioni, quella di centro-sinistra in particolare. Si muovono, disordinatamente, i partiti. Fanno capolino, creando più o meno scompiglio, ragionamenti che richiamano alla discesa in campo di non meglio identificati pezzi di cittadinanza, non soddisfatti della proposta politica presente sul campo.
Tutti in movimento quindi, non senza una certa confusione. Forza Italia prova a coprire il fronte territoriale con una serie di liste civiche, dalla rappresentatività tutta da valutare. Vorrebbe riequilibrare il rapporto con la Lega, che mai si è fermata ed è riuscita a imporre agenda politica, linguaggio e senso comune anche in Trentino, dove mai era stata così forte e decisiva. Il Patt – con Ugo Rossi in prima fila – non chiude ad alcun orizzonte, disposto a spostarsi all’occorrenza lì dove possa essere confermato il proprio ruolo di potere, a costo anche di repentini cambi della linea ideale, come sta avvenendo in queste ultime settimane. Il PD tenta delle mosse – per il momento – solo al proprio interno, subendo però contemporaneamente i riflessi della crisi nazionale del partito e la difficoltà di capire cosa possa significare essere partito territoriale, ma non localista. Il M5S è alla ricerca invece di un moltiplicatore (il candidato Presidente?) del proprio peso elettorale – quasi interamente “di simbolo” – che in Trentino non sfonda il 20%.
Questo piccolo saggio è apparso sul n.113 di "Protagonisti", la rivista dell'Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea (Isbrec) dedicato al tema delle autonomie e della Regione Dolomiti.
di Michele Nardelli
«... E' pericoloso credere che un individuo o un gruppo possa essere libero solo a patto di essere anche sovrano. La famosa sovranità delle società politiche non è mai stata altro che un'illusione, che per di più può reggersi solo grazie agli strumenti della violenza, cioè con mezzi di per sé extra-politici. Data la condizione dell'uomo, determinata dal fatto che sulla terra non esiste l'uomo, bensì esistono gli uomini, libertà e sovranità sono così lontane dall'identificarsi da non poter neppure esistere simultaneamente. … Se gli uomini desiderano essere liberi, dovranno rinunciare proprio alla sovranità». Hannah Arendt, Tra passato e futuro
Hannah Arendt scrive queste parole nel 1954 ma il suo sguardo lungo giunge fino a noi, in questo tempo di “sovranismi” dove riecheggiano, malgrado le lezioni della storia, le rivendicazioni del “prima noi”, eco appunto di quel “Deutschland über alles” così foriero di sventura.
di Giorgio Cavallo *
Parte I
Una premessa
L’approfondimento politico gratuito non è oggi una attività che appassiona. Salvo qualche anziano pensionato, anche l’accademia gioca le proprie carte interpretative verso obiettivi pre definiti e finisce per diventare partecipe di pure lotte per la conquista o il consolidamento di poteri esistenti.
Pensare che oggi si possa ricominciare a fare politica come presentazione e verifica di strumenti interpretativi e modificativi dei rapporti sociali ed economici attraverso un percorso democratico, cioè con una partecipazione attiva del più ampio numero di soggetti possibili, è una chimera che sembra lontanissima.
Tuttavia diventa sempre più evidente la mancanza di una dialettica che ricerchi e indichi soluzioni interpretative nuove dei grandi e piccoli temi che l’umanità ha di fronte e che attualmente vengono gestiti dai rapporti di potere tra i sistemi istituzionali pubblici e privati che dirigono il mondo sulla base di forme di conoscenza e pensiero non più attuali. Siamo di fronte ad una digitalizzazione che sta stravolgendo ogni tipo di rapporto ma ancora una volta vediamo il tutto come una grande occasione di rinnovamento tecnologico capace di progresso e non come un terreno che obbliga a ripensare elementi costitutivi dei rapporti sociali ed economici.
di Federico Zappini
(2 aprile 2018) Abbiamo deciso di intraprendere un viaggio dentro la crisi politica catalana dopo esserci chiesti – a metà dicembre scorso – quale potesse essere il ruolo dell’Autonomia nella delicata fase che sta vivendo l’Europa. Siamo arrivati a Barcellona mentre sei indipendentisti catalani entravano in carcere o erano costretti all’esilio. Sulla via del ritorno abbiamo appreso che Carles Puigdemont era in stato di arresto e si andavano formando le prime manifestazioni di solidarietà e protesta nelle piazze catalane.
Questo il contesto nel quale ci siamo mossi, tra incontri con partiti politici e conversazioni con soggetti sociali e culturali. Un contesto che, visto lo spropositato utilizzo della carcerazione preventiva da parte dello Stato spagnolo, rischia di veder chiudersi ogni possibilità di dialogo politico, favorendo una maggiore polarizzazione delle posizioni in campo e attivando una crescente radicalizzazione dei metodi di lotta da un lato e di tentativo di reprimerli dall’altro.
Inizia giovedì 22 marzo 2018 il settimo itinerario del "Viaggio nella solitudine della politica".
Nella programmazione del “Viaggio nella solitudine della politica” non avevamo immaginato uno specifico viaggio catalano. Ma il nostro viaggio si rivela un generatore di idee e proposte che via via prendono corpo. E così dopo lo stimolante itinerario nel cuore di una Padania ormai declassata dalla Lega a trazione integrale del “prima gli italiani”, gli incontri di Pieve di Soligo “Autonomie cooperanti - L'utopia di un'Europa che si fonda sull'autogoverno territoriale” (22 ottobre) e di Trento “Autonomie - Quel cambio di sguardo che serve all'Europa” (alle Gallerie di Piedicastello, il 16 dicembre 2017), sono nate alcune piste di lavoro fra le quali la proposta di un viaggio in Catalunya, nella regione europea diventata cruciale rispetto alla possibilità di ridisegnare l'Europa in senso federalistico.
di Federico Zappini *
«La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più nè sole nè luna, c’è la verità»
Leonardo Sciascia
(8 marzo 2018) Leggo attorno a me spaesamento e frustrazione, stupore e delusione. Voglia di fuggire. Chissà dove poi, come esistesse un altrove perfetto e privo di spigoli nel quale abbandonarsi ad una vita senza alti e bassi, senza conflitti da affrontare, senza complessità da sbrogliare. Leggo il bisogno di capire cosa è successo e cosa succederà. E la voglia di un abbraccio, in attesa di un ragionamento politico risolutivo che tarda a venire a galla. Leggo anche – dopo un primo momento di giusto silenzio, utile a mettere ordine, a razionalizzare – commenti che tendono a fotografare la situazione politica dentro gli schemi precedenti al voto di domenica. Già essere arrivati fin lì con quegli schemi è stato evidentemente un errore. Perseverare è – come sappiamo – diabolico. Eppure è la scelta più semplice, tra chi sottolinea l’ignoranza generalizzata dell’elettorato e chi denuncia la mancanza di una proposta di “vera” sinistra capace di intercettare un bisogno che – a conti fatti – sembra invece essere semplicemente migrato altrove, cambiando di forma (anche radicalmente) o riconoscendo parole d’ordine di proprio interesse dentro programmi e visioni altre.
Siamo caduti in un pozzo. Finalmente. E ci siamo caduti (parlo ovviamente anche per me, che pure qualche avvisaglia mi ero permesso di segnalarla negli ultimi mesi) senza averne la piena consapevolezza, almeno fino a quando non abbiamo sentito il terreno mancare sotto i piedi e iniziare, inevitabile, la caduta. Un caduta per fortuna non troppo rovinosa, almeno dal mio punto di vista, e forse addirittura salutare e, se ben interpretata, potenzialmente generativa.
di Michele Nardelli
(3 marzo 2018) Le previsioni del tempo indicano che lunedì prossimo ci sarà ancora pioggia e neve sopra gli ottocento metri. Insomma non potremo rifugiarci in una bella giornata di sole. Ma non preoccupiamoci più di tanto, malgrado l'esito elettorale avremo a che fare con lo stesso paese del giorno precedente.
Sarà ancora notte quando le prime proiezioni elettorali sullo spoglio ci forniranno una fotografia di questo paese, delle sue paure e del suo smarrimento. Del resto, per mesi gli istituti demoscopici hanno indicato le tendenze di voto degli italiani e non penso che l'esito si discosterà in fondo più di tanto, salvo forse per il risultato di qualche partito minore che potrà rappresentare una qualche sorpresa.
Tutto invece si giocherà sull'avvicinarsi o meno alla soglia del 40% da parte della coalizione di destra (non ho mai pensato a Berlusconi come ad un uomo di centro) o del Movimento 5 Stelle, tanto che Salvini si è augurato negli ultimi giorni della campagna elettorale che il PD non vada sotto il 22% perché questo potrebbe significare un forte spostamento di quell'elettorato verso i pentastellati.
In dialogo con l'idea di un “inedito inizio” proposta da Federico Zappini
di Michele Nardelli
(7 febbraio 2018) Ho vissuto in prima persona il passaggio dalla “prima” alla “seconda Repubblica”, quando – era l'inizio degli anni '90 – andava in frantumi il quadro politico sul quale si era retto questo paese dalla fine della seconda guerra mondiale. Anni bui. Manette ai polsi dei potenti, partiti storici che si polverizzavano, poteri oscuri che seminavano terrore, istrioni che scendevano in campo. In un suo celebre discorso sulla transizione italiana, Giuseppe Dossetti ebbe a chiedersi, riprendendo il libro di Isaia, «Sentinella, quanto resta della notte?»1.
Eppure anche in quella “notte” non mancarono lampi di luce, la stagione dell'Ulivo ad esempio, forse il primo e significativo tentativo di costruire una nuova sintesi delle migliori culture politiche precedenti. Presenti al nostro tempo, in questa terra vivemmo quel passaggio senza smarrirci, dando il là – nonostante rancorosi conservatorismi – ad una stagione che fece del Trentino un'anomalia politica in tutto l'arco alpino. Ci aiutò un tessuto culturale e sociale dalle radici profonde che faceva da cornice alla sperimentazione politica.