di Federico Zappini *
(15 novembre 2020) Vi sarà capitato di dover attraversare una stanza al buio. Sapete quindi che prima di abituarvi all’assenza di luce il rischio di andare a sbattere è elevato. Da qualche mese a questa parte – esclusa l’illusoria parentesi estiva, in cui la luce calda del sole ci ha fatalmente abbagliati – ci troviamo a vivere una situazione di incertezza simile, ma riferita all’intera nostra esistenza.
E’ un’entità invisibile (il virus, e con lui la sua circolazione) a imporci l’oscurità. Il nostro sguardo verso il futuro è sfocato, la capacità predittiva insufficiente, l’analisi degli scenari parziale. Siamo ciechi e l’impegno che mettiamo in campo (pieno di limiti e contraddizioni, come conferma ogni giorni la pessima relazione tra i diversi livelli istituzionali) si concentra esclusivamente sul successivo passo, nel tentativo di non inciampare. Per non farsi troppo male, pur facendosene già abbastanza.
E’ in questo contesto che si protrae – indefinito – lo stato di eccezione a cui fa riferimento Simone Casalini in un suo recente editoriale. Il sistema sanitario boccheggia, la tenuta sociale vacilla, l’azione politica latita. Una mancanza, quest’ultima, che pesa in modo particolare di fronte al riproporsi della complessità del reale (che avevamo tentato di rimuovere) e della non linearità dei processi globali (randomici e scomposti come è l’andamento del contagio).
Nell’eccezionalità del momento possono dispiegarsi le dinamiche del controllo e del conformismo, o – al contrario – trovare terreno fertile le condizioni per il cambiamento, partendo dalla consapevolezza diffusa dell’urgenza di immaginare un modo nuovo di stare nel mondo, con o senza Covid19. A poco servono le mappe a colori delle regioni italiane se a diffondersi come osserva Ilvo Diamanti è un’omogenea “zona grigia” privata della socialità e del confronto, impaurita e stanca, solitaria e disarmata.
Questo intervento è stato scritto per "Slowzine", il periodico di Slow Food della Valle dell'Adige e Alto Garda https://www.slowfoodtrentinoaltoadige.com
di Michele Nardelli *
(13 novembre 2020) La pandemia in corso dovrebbe portarci a riflettere sull'incertezza che investe il presente e il futuro di tutti noi.
Per mesi, malgrado la non conoscenza del virus Covid-19, si è voluto minimizzare in maniera paternalistica quanto stava accadendo: “tutto andrà bene” si vedeva scritto ovunque, con tanto di arcobaleno come segno di speranza. Altri si sono fatti paladini del negazionismo o del complottismo, per strumentalizzare a favore dei loro deliri una tragedia che ha già provocato morte e sofferenza in ogni parte del mondo.
Come sappiamo non è andato tutto bene. E se le cifre ufficiali ci parlano di almeno un milione e duecentomila morti e di quasi 50 milioni di persone finora contagiate, tutti riconoscono che questi numeri sono largamente sottostimati in relazione al fatto che in molte aree geografiche si muore di Covid senza nemmeno una diagnosi e non esistono nemmeno servizi sanitari in grado di censire i contagi.
Ma riflettere significa interrogarsi sulla natura di quel che sta accadendo, comprendere le connessioni nell'intrecciarsi di crisi (climatica, ambientale, sanitaria, demografica, alimentare, economica, sociale, migratoria…) che chiamiamo superficialmente emergenze e che sono riconducibili ad un'unica grande questione, l'insostenibilità dell'attuale modello di sviluppo. A sua volta ascrivibile ad un rapporto malato verso la natura della quale, pur essendone il genere umano una piccolissima parte, ci crediamo padroni.
Il settimanale diocesano Vita Trentina propone un numero speciale dal titolo “L’anno del Covid” che ripercorre il 2020 con le immagini di Gianni Zotta e i commenti di venti osservatori trentini allo scopo - come scrive il direttore Diego Andreatta - di "non archiviare in fretta l’eredità triste e preziosa di questo 2020”. Quella che segue è la riflessione che ho proposto per questo numero speciale.
di Michele Nardelli
(27 dicembre 2020) Un anno da archiviare? Proprio no. Un anno sul quale riflettere, se solo avessimo la volontà di aprire occhi e mente su questo passaggio di tempo. Un anno che, pur nella sua drammaticità (non è andato affatto tutto bene), potrebbe insegnarci molto e indicarci strade nuove da percorrere.
A cominciare da come pensiamo la Terra in cui viviamo e le nostre esistenze, perché questa è la dimensione della partita che siamo chiamati a giocare. Se non lo faremo, il monito che ci viene dall'anno che stiamo mettendoci alle spalle diventerà un'anticipazione di quel che ci aspetta per effetto della nostra cecità, dell'insostenibilità del modello dominante e dell'incapacità di mettere in discussione il nostro rapporto con la natura, di cui peraltro la specie umana è solo una piccolissima parte.
A cura di Pop, idee in movimento
Roma può rifiorire
Il volume è frutto di un processo di elaborazione collettiva che POP ha intrapreso a partire dall'incontro del 12 settembre 2020 svoltosi alla Tenuta della Mistica (Roma), con quattro gruppi di lavoro tematici per la sua redazione partecipata.
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Roma, primi giorni di luglio 2017. Difficile immaginare come un “Viaggio nella solitudine della politica” possa trovare cittadinanza in una città dove tutto sembra ruotare attorno ai palazzi del potere. Anzi, dei poteri, anche quelli piccoli piccoli ma non per questo meno insidiosi.
Cercheremo di starcene alla larga, non perché non possano essere interessanti e nemmeno per snobismo, ma perché chi ci ha vissuto per qualche anno già ne conosce le immutabili liturgie e l'aria stagnante. Percorriamo altre strade, per raccogliere parole e immagini di una Roma che non ti aspetti. Difficili persino da immaginare senza un moderno Caronte che ci aiuta ad accostarci a luoghi e personaggi che la cronaca ufficiale generalmente non sa vedere.
Occorre curiosità e un tempo disteso che puoi anche “perdere”, preferire la polvere piuttosto che i salotti buoni, le smentite alle conferme. Ne verranno fitte pagine di diario1.
giovedì, 8 ottobre 2020 ore 17:00
Terra madre inizia oggi 8 ottobre e per sei mesi non si ferma, con un mix di format digitali ed eventi fisici e diffusi a Torino, in Piemonte e in tutto il mondo.
Vi segnalo questo primo evento che indica il tratto di fondo attorno al quale si svilupperà questa edizione di Terra Madtre
Per cambiare radicalmente bisogna leggere la realtà con lenti nuove. La prima scienza che ci permette di conoscere il mondo che ci circonda è la geografia e noi partiamo di lì. Mettiamo da parte i confini politici e focalizzando l'attenzione sulla Terra, sui suoi ecosistemi , sulle relazioni fra gli esseri umani e la natura.
Nella conferenza di apertura di Terra Madre Salone del Gusto 2020 ragioniamo dunque di nuove geografie, di alternative all’attuale modello sociale ed economico e di futuri possibili.
Conferenza online
venerdì, 18 settembre 2020 ore 09:30
9.45 - Introduzione – Hassan Bassi - CNCA
Coordina - Carlo De Angelis - CNCA
10,00 - Michele Nardelli - attivista e ricercatore politico e sociale
10,30 - Federica Giardini - Filosofa (Università Roma Tre)
11,00 - Silvano Falocco - Economista (Fondazione Ecosistemi)
Domande e interlocuzioni
12,45 - Conclusioni - Caterina Pozzi - Vicepresidente CNCA
Seminario online
Impressioni (di settembre)
di Federico Zappini
Siamo molto fortunati. Ci è consentito di gestire contemporaneamente diverse emozioni, tra loro magari anche molto diverse. Addirittura contrastanti.
La gioia per la vittoria – necessaria, indispensabile – di Franco Ianeselli e con lui di un pezzo ampio e diffuso della comunità cittadina, rappresentato dalle varie sfumature della coalizione #SìAmoTrento.
La (piacevole) sorpresa per alcuni risultati importanti nella prospettiva amministrativa e politica della città.
Penso a Paolo Zanella – cui auguro un assessorato ampio e innovativo, che superi la classica formula delle pari opportunità – e ad Andreas Fernandez, il cui compito non è “solo” quello di rappresentare i Verdi ma di immaginare – insieme a tanti e tante – le caratteristiche di una politica ambientalista ambiziosa e coinvolgente, tanto nei valori quanto nella pratica.
Penso a Luca Filosi (non solo per il futuro del Pd), Alberto Pedrotti (perché non di sola tradizione vive il Patt), Francesca Fiori (quale spazio c’è per la società civile in questo complicato periodo storico?).
Penso a tanti amici e amiche non eletti, o da oggi impegnati nell'altrettanto importante ruolo di rappresentanza circoscrizionale. Compito di ognuno sarà far venire a galla e rendere riconoscibile quel NOI di cui da mesi parliamo.
martedì, 15 settembre 2020 ore 20:30
Con Ugo Morelli da diverso tempo condividiamo un percorso di riflessione e ricerca che è allo stesso tempo culturale e politico.
Sono felice di ospitare in San Martino una presentazione/anteprima del suo nuovo libro "Empatie ritrovate" (Edizioni San Paolo).
Se il Covid19 è stato un evidenziatore di questioni che già dovevano essere chiare alla nostra osservazione oggi è urgente riconoscere i tratti di una progettazione inedita della convivenza umana.
Le città (e le comunità che le abitano) possono essere luoghi di sperimentazione e innovazione.
Chi ha voglia passi pure. Ne parliamo insieme.
Federico Zappini
Trento, spazio esterno libreria due punti, Via San Martino
venerdì, 18 settembre 2020 ore 17:00
La cooperazione del cambiamento.
Venerdì 18 settembre 2020, alle ore 17.00 presso il Centro Cooperazione Internazionale di vicolo San Marco a Trento.
A dodici anni dall'uiscita di "Darsi il tempo" (EMI, 2008), una riflessione sul significato del fare cooperazione internazionale nel tempo presente verrà proposta da Michele Nardelli all'Assemblea dell'Associazione che coinvolge molte esperienze trentine che operano sul piano della cooperazione internazionale.
Trento, Centro Cooperazione Internazionale
di Federizo Zappini
Quando martedì scorso il voto a favore di Franco Ianeselli si andava consolidando in tanti e tante abbiamo sorriso, convintamente. 54% la percentuale finale. Più di 31.000 i voti. Due risultati sensibilmente migliori rispetto a cinque anni prima. Frutto di una tripla scommessa vinta.
Tenere insieme. Da sinistra fino agli autonomisti, allargando al centro con l’aggiunta della lista civica trainata dal candidato sindaco. Mettere ogni componente della coalizione nella condizione di fare il miglior risultato possibile, partendo dal rinsaldamento delle specifiche identità. Far sì che a valle di queste due pre-condizioni tornasse al voto una parte dei delusi delle ultime tornate elettorali. Di qui la vittoria.
Ha tenuto, ed è un primo dato che deve fare riflettere, la città dei “mondi”. La somma di parzialità (elettorali e sociali) ha garantito il raggiungimento della maggioranza al primo turno, scongiurando un pericoloso secondo atto. Scacciando la paura.
domenica, 6 settembre 2020 ore 17:00
Domenica 6 settembre 2020, alle ore 17.00, presso il Parco delle Albere a Trento Eddy Schlein sarà in dialogo con alcuni giovani della coalizione SiAmo Trento. L'incontro è promosso dai Giovani democratici, Futura Trento 2020, Europa verde Trento, Unione/Azione.
Abitare significa appartenere alla comunità che concorre a dare senso ad ogni luogo. Questo tempo difficile sfida le nostre comunità: sfida di più la sua parte più giovane.
Dopo le grandi manifestazioni di piazza del 2019, l'attivazione di tante ragazze e tanti ragazzi, è chiaro che i "giovani" non sono un tema da mettere nell'agenda di un'altra generazione ma devono essere il fulcro di tutte le politiche che verranno. Non basta più "non lasciare indietro i giovani": serve, subito, riconoscere il nostro ruolo, quello di protagonisti e protagoniste del presente, costruttori e costruttrici del futuro.
Per poterlo essere fino in fondo, serve avere stabilità e diritti. La prima stabilità è quella della Casa, che è anche il punto di partenza per riprogettare una città che non appaia solo bene nelle foto ma in cui si viva bene. Questi sono i temi al centro delle battaglie di Elly Schlein, che dialogherà con alcuni giovani candidati della Coalizione #SìAmoTrento. Un dibattito profondo che metta in connessione Elly con chi, qui a Trento, ha deciso di mettersi in gioco in politica. Ragazze e ragazzi che non saltano fuori dal nulla ma che, la politica, già la praticano da tempo: nelle associazioni, al lavoro, nella loro quotidianità.
Chiuderà la giornata con un suo intervento Franco Ianeselli.
Trento, Parco delle Albere
di Federico Zappini
C’è stato un tempo nel quale la Lega Nord rivendicava il suo ancoraggio territoriale. “Roma ladrona” gridava, già scommettendo sul rancore. Proponeva riforme, alimentando però l’egoismo e non il mutualismo. Parlava di Europa delle regioni, immaginandole però chiuse e impermeabili.
Poi è sparito il Nord dal nome. Il rancore è diventata cattiveria, esibita. Il partito si è fatto nazionale e nazionalista praticando negli enti locali (Lombardia, Veneto e Piemonte ci raccontano questa storia, non da ieri) forme radicali e radicate di centralismo e clientelismo.
di Federico Zappini *
E' simbolico – e importante – tornare a parlare della dimensione territoriale dell'azione politica proprio nel momento in cui siamo vittime di regole che impongono il distanziamento, che ci impediscono di riunirci. "La politica è assembramento" ci ricorda Luigi Manconi. Senza la possibilità del confronto partiamo svantaggiati. Perso il valore dell'incontro ci troviamo disarmati, inermi, soli.
Non è un caso che della crisi della democrazia nella sua forma più prossima ai cittadini si discuta oggi nel momento in cui istituzioni e politica – a livello planetario – faticano a far fronte alla pandemia. Nei suoi impatti sanitari (spesso per i gravi errori commessi proprio nella gestione della medicina territoriale), socio-economici (dove la fragilità del modello neoliberista scarica le proprie esternalità negative sul tessuto sociale più fragile) e comunitari, dove al non riconoscimento reciproco si accompagna una crescente solitudine.
di Ugo Morelli
“…l’infinito bisogno di discorso
in una società democratica
in cui il consenso
non può mai essere raggiunto in maniera definitiva,
né dovrebbe…”
[Michel Foucault]
“Affondava le radici nel futuro”
[Pierluigi Cappello]
Ripensare e rivoluzionare il lavoro
Quando si giunge al limite, per proseguire bisogna tornare all’originario. Ogni soluzione che si proponga originale non solo non può bastare, ma distoglie e distrae dal fare quello che va fatto. Tornare all’originario vuol dire cercare di dare vita a una nuova origine della storia, di ogni storia. La storia che ci interessa è la storia del lavoro. Una storia, appunto, e come tale scrivibile in modo diverso da come è stata scritta in un’esperienza precedente e, soprattutto, in quanto storia di un fenomeno fatto da noi umani, da noi stessi modificabile.
Quella storia, la storia del lavoro, così come più o meno la conosciamo, ha le sue origini con l’affermazione dell’agricoltura e della sedentarietà e, quindi, con il consolidamento della divisione del lavoro. Una lunga durata con tali e tante trasformazioni da rischiare di renderne irriconoscibile l’epistemologia e le prassi di base, le costanti, insomma, che sono rimaste le stesse fino a noi.
Abbiamo iniziato a svolgere la nostra azione di esseri appartenenti ad una specie che nel primato dell’azione e nella vita activa trova una sua distinzione, traducendola nel fenomeno che chiamiamo lavoro, allorquando nelle forme cooperative, eusociali, imitative e emulative, abbiamo fatto uso del nostro comportamento simbolico per iniziare a dare forma alla funzione, traendone risposta per la nostra ricerca di significato. È alquanto probabile che il lavoro, per quello che è per noi, nasca da quel momento e sia generato principalmente dal significato e dal senso dell’opera e dal riconoscimento per chi la compie.