Ambiente e biodiversità

sabato, 7 agosto 2021 ore 11:00

Risonanze mimetiche (Eco/nomie - Eco/logie)
La brochure dell'evento

Vaia

ha plasmato il paesaggio, quello esteriore e quello interiore. Le ferite sono profonde, visibili. Bruciano ancora, come un monito severo. Ci chiedono con insistenza chi vogliamo essere, che montagna vogliamo (continuare ad) abitare. Riambientiamoci, ci siamo detti due anni fa. Riambientiamoci a partire da quelle ferite, mettendoci in ascolto del bosco e chiedendogli cosa ha da dirci, e da darci.

Casarmonica

un sogno possibile e un segno tangibile con cui ridare valore alla montagna a partire proprio da quegli alberi che Vaia ha distrutto. Il nostro cantiere è partito post Vaia e un anno fa abbiamo presentato l’idea, la visione. Il progetto sta prendendo forma e ve lo presenteremo dal palco di risonanza realizzato grazie alla filiera bosco-legno-suono e alla volontà di noi tutti.

A cent’anni

di distanza ripensiamo mimeticamente la nostra relazione con la montagna del post-confine. Con le vette e le selle oggi più che mai spazi di attraversamento, di ibridazione tra saperi, genti, lingue. E con gli abitanti più numerosi di queste sterminate valli, gli alberi, capaci di contenere la fibra che interrompe i sovrumani silenzi delle stagioni.

Lo facciamo con il suono e la musica, linguaggi che non hanno bisogno di traduzioni. Né di interpretazioni. Risonanze mimetiche è l'inizio di un percorso poetico (nel senso etimologico di fare) di riambientazione.

Val Visdende (Belluno)

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La debolezza della carne
Val di Vizze

di Lorenzo Berlendis *

 

Da predati a predatori

(28 luglio 2021) La frequentazione della carne, per usi alimentari, affonda nelle remote origini ed abitudini del genere Homo. Probabilmente i primi australopitecini, i consimili della Lucy di D. Johanson per intenderci, all’incirca 3 milioni e mezzo di anni fa, cominciarono a contendersi con gli altri spazzini della savana, iene, sciacalli e avvoltoi, le carcasse degli animali spolpate dai carnivori.

Discesi per cause facilmente legate al diradamento degli alberi nell’Africa orientale, loro abituale dimora, iniziarono, insieme alla postura eretta, un cambio di dieta imposto dalle mutate condizioni ambientali. Un cibo sicuramente tenuto in grande considerazione fu il midollo osseo, miracolosa riserva proteica custodita all’interno delle ossa. Memorabile, a questo proposito, la sequenza di “2001, odissea nello spazio” del maestro Stanley Kubrick.

Il passaggio verso la predazione e la macellazione di animali ottenuti dalla pratica della caccia, parimenti dalla pesca, fu inevitabile acquisizione successiva, ancorché occorsa in tempi lunghissimi rispetto alla nostra capacità di comprensione del succedersi delle fasi evolutive del genere Homo. Così le abitudini nomadi e le migrazioni che portarono i nostri lontani antenati a colonizzare altre terre furono dovute, probabilmente, oltre che ai cambi progressivi di clima, anche alla necessità di seguire gli spostamenti delle mandrie degli animali cacciati. Così come all’esaurimento di semi e vegetali oggetto di raccolta e all’aumento dei componenti delle comunità paleolitiche.

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giovedì, 15 luglio 2021 ore 21:00

«Il monito della ninfea» a Lavarone
Effetti Vaia nei pressi di Lavarone

Nell'ambito della rassegna «Incontri d'autore 2021» promossa dalla Biblioteca Comunale di Lavarone (in collaborazione con la Comunità di Slow Food per lo sviluppo agrocolturale degli Altipiani Cimbri), giovedì 15 luglio 2021, alle ore 21.00, presso il Centro Congressi ai Gionghi di Lavarone (Tn), si svolgerà la presentazione del libro di Diego Cason e Michele Nardelli "Il monito della ninfea. Vaia. la montagna, il limite" (Bertelli editore).

A conversare con uno degli autori, Michele Nardelli, ci sarà Domenico Sartori, giornalista de "L'Adige"

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Sono trascorsi due anni e mezzo da quella notte di fine ottobre 2018 quando la furia del vento abbatté 42.500 ettari di bosco e foreste dolomitiche. Si trattò dell'evento di maggior impatto sugli ecosistemi forestali mai avvenuto in Italia, cambiando in questo modo il volto di 494 Comuni, per un territorio complessivo di due milioni e 306 mila ettari spalmati sull'arco alpino orientale.

Lavarone, Gionghi - Centro Congressi

La locandina dell'evento

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Il discredito sul IPCC. Un film già visto mezzo secolo fa.
Mare d'Aral

 

Queste note sono state scritte in due momenti diversi. La prima è nata in risposta ad una serie di articoli che “Il Foglio” ha pubblicato in questi giorni. Complice la calura estiva, la lettura ha subito innalzato la temperatura corporea oltre il livello di sopportazione. E cosi ho preso carta e penna e ho scritto al Direttore. Sono gesti di reazione che si fanno, pur sapendo che il direttore del Foglio mai pubblicherà una riga di quanto ho scritto.

Alla prima è seguita, il giorno dopo, la seconda nota dove faccio alcune considerazioni per analizzare le "ragioni dell'avversario", considerazioni che non mi sentivo di condividere con Cerasa. Ma con questo blog, sì. (a.m.)

 

di Alessandro Mengoli


Egregio Direttore,

scrivo in risposta all’articolo pubblicato in prima pagina a firma di Maurizio Crippa, pubblicato sull’edizione del Foglio del 12 agosto 2021, con il titolo: Il Cuomo dell’IPCC scriveva balle ma vinceva il Nobel.

Riporto dal testo: “…Ma il clima è cambiato, sì. Fosse stato lo stesso nel 2007 – quando un vecchio marrazzone di nome Rajendra Pachuari, che guidava l’Ipcc come un satrapo, fu costretto a dimettersi per molestie sessuali – assieme a lui avrebbero coperto di merda anche il suo istituto. Invece, siccome era a capo di un comitato alla moda, gli studi sul clima, in quel 2007 gli diedero pure il Nobel per la Pace. Incuranti che Pachuari quello stesso anno avesse diffuso un report che annunciava, sbagliando, lo scioglimento dell’Himalaya nel 2035.Ora siamo nel 2021 e tutti, tranne Franco Prodi e pochi altri prodi, pensano che i report Ipcc siano vangelo. Che clima ”.

 

 

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Un Green deal per le foreste trentine
Vaia in Primiero

Vaia, da problema ad opportunità

Venerdì 9 luglio 2021, alle ore 17.30, si svolge a Trento, presso la sede delle Acli (via Roma 57), un incontro di vari soggetti sul tema del "dopo Vaia". A partire dalla proposta di documento che qui riportiamo.

La tempesta Vaia, che meglio sarebbe definire con il suo vero nome, ovvero uragano o ciclone tropicale, è stata la prima, palese manifestazione delle ripercussioni in sede locale delle modificazioni climatiche che si stanno verificando a livello globale.

In poche ore, ma meglio sarebbe parlare di minuti, la tempesta ha abbattuto oltre 42.500 ettari di foresta, molte dei quali secolari, creando una devastazione mai vista nei boschi di cinque comunità regionali: Lombardia, Trentino, Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia.

L’evento ha messo in evidenza in primo luogo la fragilità “colturale e culturale” che ha caratterizzato le politiche forestali messe in campo da diversi decenni a questa parte e che risentono dell'impostazione produttivistica di tipo austroungarico, con la diffusione di impianti monospecifici (con la prevalenza di abete rosso) e coetanei che hanno indebolito la diversità dei boschi rendendoli più vulnerabili rispetto ad eventi come quello di Vaia.

Una vulnerabilità che misuriamo anche nell' affrontare l'onda lunga di Vaia, sia per i rischi connessi alla mancata estrazione del legname schiantato, sia per effetto del bostrico tipografo che aggredisce porzioni sempre maggiori di foreste indebolite da Vaia e dagli eventi estremi come le grandi nevicate dell'inverno scorso.

 

 

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martedì, 6 luglio 2021 ore 18:30

«Il monito della ninfea» a Sassuolo
la locandina dell'evento

Per iniziativa dell'Associazione culturale Biasin, del Comune di Sassuolo e di Legambiente, martedì 6 luglio 2021, alle ore 18.30, presso Arci Caccia - Il Parco in via Padova 7, ci sarà una nuova presentazione del libro di Diego Cason e Michele Nardelli "Il monito della ninfea. Vaia, la montagna, il limite" (Bertelli editori).

In dialogo con uno degli autori, Michele Nardelli, ci sarà Corrado Toni, presidente di Legambiente Sassuolo e Comuni pedemontani modenesi.

Sassuolo, Arci Caccia - Il Parco, via Padova 7

retro locandina

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Conversioni ecologiche e grandi opere
Quando L'Adige riprese il suo vecchio corso

 

di Vincenzo Calì

In tempi in cui a sbandierate conversioni ecologiche future si accompagnano mega progetti ferroviari presenti, sarebbe utile guardare anche a visioni passate, come quelle ottocentesche del poeta dialettale Bepi Mor: “El nos Trentin l'è fat come a ventala; 'n fora, i ghe fa 'n orlo de contorno per salvarlo 'n tantin da l' “omnia mala”.

Utile esercizio, quello di ricorrere a visioni, per quanti si trovano a vario titolo investiti del compito di salvaguardare l’autonomia territoriale.

Piace pensare che a queste dichiarazioni il poeta sia giunto alla vista dell’assalto subito dal territorio ai suoi tempi: la costruzione a fini militari delle ferrovie avvennero allora senza alcun riguardo alla struttura urbanistica della città di Trento, creando secolari ferite non ancora rimarginate.

 

 

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venerdì, 11 giugno 2021 ore 09:00

Viaggio attraverso il cambiamento climatico
Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi

Come già qualche settimana fa in Val Camonica e Valtellina, in questo fine settimana sarò con Maurizio Dematteis (Dislivelli, Torino) e con Diego Cason nelle Dolomiti bellunesi e nell'altipiano di Asiago a raccogliere voci, pensieri, esperienze e buone pratiche a partire dalla consapevolezza (oppure dalla cecità) che la sindemia in corso (l'intreccio di crisi climatica, ambientale, sanitaria, economica, sociale, demografica...) richiede di cambiare il nostro sguardo e il nostro modo di pensare la montagna.

Saremo a Trichiana, Falcade, Cortina d'Ampezzo, Comelico superiore, Val Visdende e sull'altipiano di Asiago.

Dolomiti Bellunesi e Altipiano di Asiago

Resilienza o cambiamento?
Mar di Marmara

«Tempi interessanti» (115)

... Resilienza viene dal latino resilire ovvero rimbalzare, la capacità di un materiale di assorbire un urto. Nell'accezione assunta nel gergo internazionale significa adattamento, la capacità di un individuo di superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Ora, la scelta e l'uso delle parole non è mai casuale, né tanto meno neutrale. Adattamento significa riconoscere l'ineluttabilità di una condizione considerata oggettiva, rispetto alla quale l'umano agire può ben poco, che si tratti dei processi di esclusione prodotti dal modello dominante o degli effetti della crisi climatica/ambientale non fa differenza. Imparare ad essere resilienti significa allora adeguarsi, abdicare all'azione di contrasto, rinunciare al cambiamento. Credo sia proprio questo il nodo che il concetto di resilienza ci pone, non nuovo per la verità, ma che nell'accelerazione dei processi che stiamo conoscendo assume tutta la propria valenza mistificatoria di anestetico culturale e sociale...

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martedì, 1 giugno 2021 ore 11:30

Conferenza Internazionale sulla giustizia climatica
Claude Monet, Ninfee

Inaugurazione del nuovo centro di Eccellenza Jean Monnet sulla Giustizia Climatica all'Università di Padova. Martedì 1 giugno 2021, ore 11.30. I lavori si svolgeranno in remoto sulla piattaforma Zoom.

La conferenza oltre ad inaugurare il nuovo Centro Jean Monnet dell'Università di Padova (uno dei pochi centri al mondo su queste tematiche e l’unico in Italia) sarà soprattutto un momento per riflettere sulla giustizia climatica.

Nella sessione del mattino (ore 11.30 - 13.30) José-Lorenzo Valles, Head of Unit dell’EACEA presenterà le prospettive delle inziative Jean Monnet nel periodo 2021-2027.

Avremo la presenza di Vandana Shiva che affronterà la tematica delle relazioni tra giustizia climatica e territori e delle pratiche agricole svincolate dai combustibili fossili (terra non petrolio).

La sessione del pomeriggio (15.30 - 18.30) sarà dedicata alla costruzione del dialogo tra ricerca e società civile affrontando i luoghi e le sfide della giustizia climatica con la presenza di ricercatori e di organizzazioni della società civile italiane, europee dell’Africa dell’America Latina.

La conferenza sarà in inglese con interpretariato in lingua italiana e spagnola.

 

per partecipare compilare il form:

https://www.climate-justice.earth/2021/05/18/international-conference-on-climate-justice/

On line da Padova

Il programma

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Nutrire le acque. Il pesce che mangiamo e il suo impatto sull’ambiente
Pesce d'acqua dolce

Quasi la metà delle specie ittiche d’acqua dolce in Italia è a elevato rischio di estinzione (48%) e molte devono competere con specie esogene importate. Prevenire la distruzione di delicati ecosistemi e ripristinare quelli originari è possibile, ma occorrono progetti che assecondano la natura. Il ruolo dei consumatori è centrale. Riprendiamo questo interessante articolo dal sito https://altreconomia.it che ringraziamo per la disponibilità.


di Lorenzo Berlendis e Davide Boni*


I pesci non parlano. Non è una buona scusa per non metterci in loro ascolto. Ne va del nostro futuro, non solo alimentare. A livello globale, metà del pesce che mangiamo proviene da allevamenti e a breve supereremo la parità, in favore della piscicoltura. Attività spesso improntata su pratiche atroci, con ricadute pesanti sulla nostra salute, su quella delle acque, dei mari e non solo. Basta dare un occhio ai video che denunciano il “lato oscuro” della moda sushi come, ad esempio l'inchiesta di Animal Equalitydedicata all’allevamento dei salmoni in Scozia: pesci estremamente richiesti dal mercato occidentale.

Il report “Dead loss” - curato dall’Ong britannica Just Economics - analizza i costi e le ricadute negative delle cattive pratiche di allevamento dei salmoni in Gran Bretagna. Nel corso degli ultimi anni la mortalità dei pesci è più che quadruplicata: dal 3% nel 2002 a circa il 13,5% nel 2019, solo negli allevamenti di salmone scozzesi. Circa un quinto di questi decessi è imputabile a infestazioni da pidocchi di mare, che si nutrono di pelle e muco di salmone, di fatto mangiando i pesci vivi.

Ma una delle maggiori contraddizioni di questo sistema di produzione è che per nutrire i salmoni, pesci dalle innate abitudini migratorie, si utilizza un’enorme quantità di pesce selvatico, spesso pesce azzurro. Il sistema di allevamento del salmone sottrae così a virtuali acquirenti circa un quinto del pescato selvatico annuale mondiale, pari a circa 18 milioni di tonnellate l’anno.

 

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Il ponte della retrocessione ecologica
Acquarello di Gianfranco Neri in Visioni dello Stretto. Rubbettino, 2017

di Tonino Perna*

Ancora una volta, per l’ennesima volta, si ritorna a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina, dopo l’approvazione di un progetto, uscito dal cilindro della commissione istituita ad hoc dal governo Conte-bis. Si tratta di un’ossessione, di un accanimento terapeutico, nei confronti di un territorio fragile che nel corso del tempo, dalla Magna Grecia ad oggi, ha dovuto subire più di venti terremoti devastanti, fenomeni di bradisismo (così si è inabissato a metà del XVI secolo il porto naturale di Reggio), smottamenti e frane delle colline di sabbia che si affacciano su uno degli spettacoli naturali più affascinanti del pianeta. Dalla Lega a Forza Italia, da Fratelli d’Italia al Pd (soprattutto i deputati calabresi e siciliani) tutti uniti a chiedere che si proceda con il progetto esecutivo e poi si appalti questa “grande” opera.

Sulla stampa locale si leggono dichiarazioni fantasmagoriche: «la più grande attrazione del mondo»…«milioni di turisti …», «180mila nuovi posti di lavoro…». Persino il presidente della Svimez, stimato e rispettabile economista mainstream, si è innamorato di questa idea, senza tenere conto di studi indipendenti sulla fattibilità. Basti solo pensare al distacco di un centimetro ogni cinque anni delle due sponde(rilevato dai satelliti), oltre alla grande faglia tettonica che attraversa lo Stretto e potrebbe risvegliarsi (gli scongiuri non bastano! ). Ma, quello che più preoccupa, è l’aver messo da parte, ignorato, cancellato, qualunque discorso sull’impatto ambientale, mentre tutti straparlano di “transizione ecologica”.

 

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Transizione ecologica, le parole sono importanti
Paul Klee

di Carlo Petrini

(12 aprile 2021) Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro della transizione ecologica. Da qualche mese queste due parole hanno iniziato a frequentare in tandem la nostra quotidianità. Il green deal europeo le ha introdotte tra le priorità del piano di sviluppo Ue per i prossimi anni, e in Italia abbiamo dedicato loro addirittura un ministero nuovo di zecca. Come a dire che la strada per uscire dal pantano di un modello di sviluppo soffocante e distruttivo è stata finalmente trovata in un fortunato binomio.

Tuttavia, come direbbe Nanni Moretti in una delle scene più riuscite del cinema italiano, «le parole sono importanti» e per questo andrebbero usate con cura. Transizione indica qualcosa che cambia radicalmente, che passa da una condizione a un'altra in una trasformazione decisiva. E una transizione il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, il passaggio dal Medioevo al Rinascimento, il percorso di chi decide di cambiare sesso. Roba forte. Ecologica indica invece il riferimento alla sfera della relazione tra un essere vivente e il proprio ambiente naturale, la maniera in cui una specie si adatta e prospera nel proprio habitat. La necessità stessa di una transizione ecologica esprime dunque in maniera inequivocabile l'urgenza di un ribaltamento del modo in cui noi esseri umani abitiamo il pianeta.

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Incagliati
Il traffico navale nel mondo

«Tempi interessanti» (112)

C'è un'immagine satellitare che descrive meglio di ogni considerazione la follia di un modello di sviluppo e di consumi nel quale ci siamo incagliati. Quell'immagine ci descrive l'ingorgo che la signoria del mercato e del profitto ha prodotto nella circolazione globale delle merci e più in generale nel nostro modo di vivere. E di cui spesso nemmeno ci accorgiamo, tanto consideriamo naturale l'artificialità del mondo che abbiamo costruito in questa infinitesima frazione della storia del nostro pianeta.

Poi accade che una nave portacontainer lunga 399,94 metri e alta come un condominio, che a pieno carico ha una stazza di 220.940 tonnellate, sia investita da una tempesta di sabbia peraltro piuttosto normale nella regione e s'incagli nel Canale di Suez con il suo carico di 18.500 container. L'ingorgo blocca quattrocento navi nel Mar Rosso, nel Canale di Suez e nel Mediterraneo per almeno una settimana (un'altra settimana servirà a ripristinare il corso “normale”). Nel frattempo un numero ancor più considerevole di navi mercantili vengono dirottate verso la circumnavigazione dell'Africa...

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Ammodernare l'insostenibilità?
Lentezza

Questo Pnrr è un piano di ammodernamento di un modello di sviluppo insostenibile, non promuove la transizione ecologica e non affronta alla radice le cause delle crisi che stiamo vivendo

Comunicato di Slow Food Italia

(27 aprile 2021) Si addensano molte nubi nel cielo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. C’era da aspettarselo, tale è la posta in palio (complessivamente il Presidente Draghi parla di 248 miliardi di euro investimenti) e tali sono gli interessi solleticati da questa enorme quantità di denaro.

Pnrr, Slow Food: «Non è una strategia per la transizione ecologica»

«Quella che emerge dalla lettura del Pnrr non è una strategia per la transizione ecologica ma piuttosto un programma per l’ammodernamento del Paese. Come se all’origine delle crisi che stiamo vivendo ci fosse principalmente una condizione di arretratezza dell’Italia rispetto al contesto globale e non, invece, un problema di modello di sviluppo. La transizione dovrebbe essere un passaggio da un modello all’altro e non un aggiustamento, pur se profondo, di un modello che si vuole perpetuare. Per fare un esempio: nei capitoli dedicati all’agricoltura si propone il rinnovo del parco macchine, che può anche non voler dire nulla in termini di transizione ecologica o, addirittura, può avere effetti negativi, se dovesse tradursi nel passaggio a mezzi sempre più pesanti che compattano sempre più i suoli», afferma Francesco Sottile, a nome del Comitato esecutivo di Slow Food Italia.

 

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