Europa e Mediterraneo Regioni europee

Perché la crisi catalana ci riguarda
Paul Klee

«Tempi interessanti» (71)

Voglio ancora sperare che nel duro braccio di ferro fra Spagna e Catalogna si possano riaprire margini di colloquio e di mediazione. Lo auspico non per una sorta di irenismo di maniera, ma perché s'impone un cambio di sguardo che riguarda ciascuno di noi e ognuna delle comunità politiche di cui siamo parte. Di certo, l'epilogo cui si è giunti nella giornata di venerdì scorso 27 ottobre con la destituzione del governo e con lo scioglimento del parlamento catalani sembra voler abbattere ogni ponte alle spalle dei contendenti, lasciando ben poche speranze di ricomposizione e di evoluzione positiva del conflitto. Quel che accadrà nei prossimi mesi, in assenza di un passo indietro nel rivendicare ottuse sovranità, sembra un copione già troppe volte drammaticamente conosciuto anche in tempi recenti. ... La crisi catalana – a ben guardare – anticipa gli scenari del futuro. Anche per questo ci riguarda.

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Catalogna, una settimana cruciale. Come evitare il baratro
Confini

La società catalana è fortemente polarizzata sulla questione nazionale e il rischio di una frattura è reale: ricucire le ferite potrebbe costare anni, se non generazioni. Ma non è possibile affrontare la questione con arresti e carcere, bisogna avviare un vero dialogo politico che miri ad una riforma della Costituzione e alla possibilità della celebrazione in Catalogna di un referendum di autodeterminazione accordato sullo stile scozzese.

 

di Steven Forti *

(3 novembre 2017) Tutto è incerto in Catalogna. Tutto traballa. O forse no. Tutto rimane uguale. Quel che è certo è che gli avvenimenti delle ultime settimane, conclusisi con una dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte del governo catalano e con l’applicazione dell’articolo 155 da parte del governo spagnolo, rappresentano una cesura. Il Procés sobiranista – come viene chiamato in Catalogna – è finito. O almeno è finita una fase, lunga e ambigua, di questo processo. Ne inizia ora un’altra, su cui nessuno si azzarda a fare pronostici. Per quanto la situazione sia estremamente liquida e non è da escludere una nuova escalation – soprattutto dopo gli arresti dei membri del governo catalano decretata ieri dalla giudice dell’Audiencia Nacional Carmen Lamela – possiamo però cercare di capire quello che è realmente successo e delineare i possibili scenari futuri.

 

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Non in mio nome
Ada Colau

di Ada Colau *

(27 ottobre 2017) A furia di parlare di scontro tra treni al condizionale ci siamo arrivati, si fa fatica a pensare che sia successo oggi. Un decennio di negligenze del Partito Popolare nei confronti della Catalogna culmina oggi con l’approvazione in Senato dell’articolo 155. Rajoy lo ha presentato in mezzo agli applausi dei suoi, facendo vergognare tutti coloro, come noi, che rispettano la dignità e la democrazia. Applaudivano il loro fallimento?

Coloro che sono stati incapaci di proporre qualunque soluzione, incapaci di ascoltare e di governare per tutti, consumano oggi il colpo di stato alla democrazia con l’annichilamento dell’autogoverno catalano.

Sulla stessa rotaia ma in direzione contraria c’è un treno più piccolo, quello dei partiti indipendentisti, a tutta velocità, con piglio kamikaze, dietro una lettura sbagliata delle elezioni del 27 Settembre. Una velocità imposta da interessi partitici, in una fuga in avanti che si consuma oggi con una Dichiarazione d’Indipendenza fatta in nome della Catalogna, ma che non ha l’appoggio della maggioranza dei catalani.

 

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Fra centralismo e disgregazione, una terza via
federalismo europeo

Nei giorni scorsi si è svolto a Cagliari un interessante dibattito dal titolo "La questione sarda: indipendenza, autonomia, Europa dei popoli”. L'incontro, organizzato dall’associazione SardegnaEuropa, aveva come obiettivo quello di focalizzare la “Questione Sarda” nel contesto spazio temporale europeo. All'incontro (vedi locandina in allegato) ha partecipato fra gli altri anche Lorenzo Dellai il cui intervento riporto volentieri.

 

di Lorenzo Dellai

Il nostro è un Paese strano, anche per quanto riguarda i temi dell'autonomia dei territori e del regionalismo.

Un anno fa - difronte alla Riforma Costituzionale - l'opinione nettamente prevalente era che "finalmente" si sarebbe modificato il Titolo V del 2001, perché era stata una fuga in avanti e serviva ricostruire un più forte potere centrale. Quella Riforma fu poi bocciata dal Referendum, ma non certo per contrarietà a questo punto, che anzi era da quasi tutti ritenuto necessario.

A un anno di distanza, si celebrano due Referendum Regionali che invece chiedono di attuare quel Titolo V ed altre Regioni stanno dichiarando la volontà di procedere in questa direzione pur senza convocare consultazioni popolari. Siamo un Paese schizofrenico.

Del resto, tutta la partita del Regionalismo in Italia è stata gestita senza un disegno compiuto. L'impianto dello Stato è rimasto fortemente centralista e l'introduzione delle Regioni Ordinarie nell'ordinamento – non a caso attivato con notevole ritardo dalla previsione costituzionale – non ha comportato un ripensamento del modello istituzionale centrale.

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Catalogna, tra repressione e possibili scenari
Catalogna

 

Se ancora è ignoto se il primo ottobre si voterà o meno, di certo il violento intervento del governo centrale, con decine di arresti, ha alzato il livello dello scontro e rafforzato la causa degli indipendentisti. La polarizzazione Madrid vs Barcellona rilancia Podemos e Ada Colau che mantengono una posizione di mediazione: diritto di decidere dei catalani nell’ambito però di uno Stato spagnolo plurinazionale.

di Steven Forti

Il 20 settembre potrebbe essere uno di quei giorni che cambia il corso degli eventi. Nella crescente tensione tra il governo spagnolo e quello catalano in vista del referendum unilaterale di autodeterminazione convocato dal Parlamento di Barcellona per il prossimo 1 ottobre, la Guardia Civil – la polizia spagnola – ha perquisito una dozzina di sedi del governo regionale catalano, requisito materiale relativo all’organizzazione del referendum e arrestato 14 alti funzionari della Generalitat catalana.

Nei giorni precedenti aveva proibito conferenze a favore del referendum, perquisito alcuni giornali e magazzini in cui si sarebbe stampato materiale necessario alla realizzazione della consultazione e chiamato a dichiarare gli oltre 700 sindaci che avevano dato la loro disponibilità per l’1 ottobre. Il premier Mariano Rajoy ha deciso di usare la mano dura con l’obiettivo di dimostrare che lo Stato spagnolo non tollererà oltre la sfida unilaterale catalana. “Non si terrà nessun referendum”, aveva ripetuto il leader del Partido Popular: “difenderemo lo Stato di diritto con tutti i mezzi che ci dà la Costituzione. Anche quelli che non vorremmo usare”. E dalle dichiarazioni è passato ai fatti. L’obiettivo? Che non si realizzi il referendum. E, da questo punto di vista, sembra che ci sia riuscito: con che schede elettorali andranno a votare i catalani l’1 ottobre? Dove ci saranno delle urne? Che seggi apriranno? Ma quella di Rajoy sarà, molto probabilmente, una vittoria pirrica.

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Catalogna: verso la dichiarazione unilaterale d’indipendenza?
Crisi catalana

Entrambi i governi stanno gettando benzina sul fuoco, chi con la dichiarazione unilaterale d’indipendenza chi con l’uso della mano dura. Un’impasse che potrebbe avere conseguenze pesanti per tutti. Perché la crisi catalana è una declinazione della crisi di Stato che sta vivendo la Spagna. E può risolversi solo rinnovando il patto costituzionale del 1978. Ma per farlo serve il dialogo.

di Steven Forti

(6 ottobre 2017) Muro contro muro. Questo in sintesi è il riassunto della situazione catalana. Il governo di Mariano Rajoy continua arroccato nella difesa della legge e della Costituzione, mentre quello catalano tira dritto verso una dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Non c’è dialogo. Non c’è mai stato. Perché è sempre mancata la volontà politica. La Politica, con la P maiuscola, è stata e continua ad essere inesistente, almeno tra le classi dirigenti di Barcellona e di Madrid. Ognuno responsabilizza l’altro, senza proporre nulla, senza offrire una via di fuga a un’impasse che potrebbe avere conseguenze pesanti per tutti. In primis, per la società.

È indubbio che il referendum dell’1 ottobre ha segnato un prima e un dopo nella questione catalana. L’entrata in scena della violenza inaccettabile della Guardia Civil e della Policía Nacional contro cittadini inermi – si calcolano oltre 900 feriti – che opponevano solo e unicamente resistenza pacifica ha cambiato le carte in tavola, mobilitando la cittadinanza e internazionalizzando la questione catalana. Ieri due importanti banche (Sabadell e La Caixa) hanno deciso di spostare la loro sede fuori dalla Catalogna, cosa a cui anche molte imprese e multinazionali stanno pensando. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo hanno reso quello catalano un affare che non è più solo spagnolo, ma è anche europeo.

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… e la sinistra che fa? Spunti per un dibattito "territoriale"
Reticolati

Idee ricostruttive della sinistra interetnica

di Vincenzo Calì

(19 agosto 2017) La cartina di tornasole dei rapporti fra i vicini/lontani che abitano il bacino dell’Adige virerà in rosso se alle celebrazioni del 4 novembre 2018 si inneggerà ancora alla vittoria dagli uni e alla perdita della libertà per gli altri. Lasciare in quella data a bersaglieri tirolesi e alpini il compito di firmare, in nome della comune patria europea, le nuove “compattate”, e assumere, da parte della sinistra, la data del centenario come momento di riflessione su di una guerra che, attraversando la comunità regionale, fu così devastante da travolgere insieme agli uomini la natura stessa, come ci ricorda lo storico Diego Leoni nella sua “Guerra verticale”.

Dell’assenza politica della sinistra, su questi temi, è testimone la cronaca quotidiana: “La forza dell’Euregio? Non pervenuta. I rapporti privilegiati con l’Austria? Svaniti”. Sono le parole forti di Faustini a commento dell’intenzione austriaca di resuscitare il confine del Brennero. Quel confine, inventato da Tolomei, che nemmeno gli imperatori Augusto e Napoleone si erano sognati di tracciare, torna sulla scena, come ai tempi dell’italietta sabauda; “torniamo allo statuto!” è la parola d’ordine che la sinistra deve fare propria, riecheggiando l’implorazione sonniniana vecchia di un secolo, dove per statuto si intende non l’albertino, ma il degasperiano, quello che mise in sicurezza la convivenza fra le genti dell’alto bacino dell’Adige e che è ancora ben lungi dal compiere il secolo di vita.

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Centri e periferie
La copertina della Rivista

E' uscito in questi giorni il n.113 di “Protagonisti”, la rivista storica dell'Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea. Questo numero monografico è dedicato al rapporto fra centri e periferie.

Come potete vedere nel sommario che segue, si tratta di un numero della rivista particolarmente ricco di spunti di riflessione attorno alla grande questione del futuro delle autonomie e della Regione Dolomitica. Fra i contributi anche una mia riflessione sulla questione “Interdipendenza e autogoverno” che verrà proposta nei prossimi giorni su questo blog.

 

 

 

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domenica, 5 giugno 2016 ore 10:00

Le autonomie che aiutano a crescere
autonomie europee

In un contesto globale caratterizzato da una crescente competizione tra territori e da grandi flussi di merci, denaro e persone, possono i modelli istituzionali autonomistici rappresentare un fattore di crescita e di sviluppo, nonché un’opportunità per definire nuovi modelli di convivenza? E possono esserlo senza cadere in tentazioni identitarie e di rinserramento nelle “piccole patrie”? Partendo dal caso di una regione autonoma, la Catalogna, che sta discutendo in modo acceso il proprio futuro, il Consiglio provinciale propone una riflessione sulla dialettica tra autonomia territoriale, stato nazionale e processo di integrazione europea.

Con:

Josep Borrell Fontelles (già presidente del Parlamento Europeo)

Sergio Fabbrini (Direttore Luiss School of Government)

Modera Steven Forti (ricercatore di storia contemporanea- Universidade Nova de Lisboa).

Trento, Piazza Dante (Palazzo PAT)

Il rispetto del voto e del ruolo della politica
Pablo Picasso, Guernica (particolare)

Dalla Spagna un messaggio a favore di politiche coalizionali

di Alessandro Branz

(24 dicembre 2015) I vari commenti che in questi giorni si sono susseguiti sulle elezioni spagnole hanno sottolineato l’affermazione di due forze nuove come “Podemos” e “Ciudadanos” e la (forse non temporanea) fine del bipartitismo che ha retto la Spagna negli ultimi decenni. Soprattutto Podemos merita attenzione, non solo per la novità in sé, ma perché si tratta di un fenomeno rivelatore di una linea di tendenza che, per lo più, soprattutto in Italia, viene ignorata o non presa nella dovuta considerazione.

Podemos, infatti, nonostante le sue origini movimentiste e profondamente critiche nei confronti della classe politica, ha poco o nulla a che vedere con il populismo “anti-politico” di talune forze anche italiane (si veda il Movimento 5 Stelle), né si propone come alternativa totalizzante al sistema dei partiti, ma anzi si sta dimostrando (perlomeno per ora) una forza disponibile ad entrare nel gioco politico-istituzionale e ad appoggiare, anche a livello governativo e pur a certe precise condizioni, una fase di “compromesso” finalizzata a guidare la Spagna in una fase di difficile transizione.

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Catalogna, la (non) vittoria degli indipendentisti e il crollo di Podemos. Ecco i perché
Catalogna, manifestazione indipendentista

I partiti favorevoli all’autonomia da Madrid hanno ottenuto la maggioranza dei seggi ma non dei voti fermandosi al 48 per cento. Mentre Podemos – per la prima volta – deve fare l’analisi di una sconfitta. Tanti gli errori e la linea pro referendum ma anti secessione non ha pagato. Alla creatura di Iglesias, in molti, hanno preferito la sinistra indipendentista del Cup, uscita vincitrice – insieme a Ciudadanos – dalle urne. Un'analisi del voto di Steven Forti.

di Steven Forti

(29 settembre 2015) Quelle di domenica scorsa in Catalogna non sono state delle normali elezioni regionali. In ballo c’era la questione dell’indipendenza di una delle più popolate e della più ricca regione spagnola (7,5 milioni di abitanti e 18% del PIL del paese). I partiti a favore della secessione hanno puntato tutto sul trasformare queste elezioni in un plebiscito a favore dell’indipendenza. Ed in buona parte ci sono riusciti. Lo dimostrano l’alta partecipazione (77%), la più alta della storia della Catalogna postfranchista, ben dieci punti percentuali maggiore rispetto al 2012, e la presenza di oltre 180 corrispondenti di giornali e televisioni straniere. Un fatto assolutamente inedito per delle elezioni regionali. Ma lo dimostra anche il pessimo risultato di Podemos, che si presentava all’interno della coalizione Catalunya Sí Que es Pot (“Catalogna Sí che si può”): la strategia del partito di Pablo Iglesias era infatti tutta giocata sul non schierarsi a favore o contro l’indipendenza e sul portare il dibattito elettorale dalla questione nazionale a quella sociale. Una strategia che non ha dato i risultati sperati.

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sabato, 11 luglio 2015 ore 10:00

Le terre alte tra non più e non ancora
Terrazzamenti in Valtellina

 

Territorio, comunità concrete, sviluppo e politica nelle terre alte

Nell'ambito del Festival culturale "Torino e le Alpi" (10, 11, 12 luglio 2015) promosso dalla Compagnia di San Paolo, sabato 11 luglio si svolgerà un interessante Forum sul tema delle "Terre Alte" secondo il seguente programma:

Ore. 10.00 -11.00

Lo scenario delle trasformazioni antropologiche, culturali, sociali e istituzionali nelle terre alte

Massimo Coda, Compagnia di San Paolo; Aldo Bonomi, sociologo, AASTER; Giuseppe Dematteis, geografo, Politecnico di Torino; Annibale Salsa, antropologo, Accademia della Montagna del Trentino

Torino, Circolo dei lettori

Il programma di \'Torino e le Alpi\'

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venerdì, 3 aprile 2015 ore 20:45

La vite oltre il Danubio
Il Castello di Praga

 

Viaggio alla scoperta delle ricchezze enogastronomiche di Boemia e Moravia

 

Serata di promozione del viaggio del turismo responsabile promosso da Imperial Wines e Viaggiare i Balcani. Partecipano Tommaso Iori (Imperial Wines) e Michele Nardelli (Viaggiare i Balcani)

 

Regno di Boemia, Grande Moravia, Cecoslovacchia, Protettorato di Boemia e Moravia, Repubblica Socialista Cecoslovacca, Repubblica Ceca … dietro ai tanti nomi che nel corso della storia li hanno definiti, di qua e di là dei confini che li hanno uniti e divisi, troviamo territori magici tutti da scoprire. Non solo Praga e il suo Castello: tra vigneti e campi di grano, grandi cittadine e piccoli borghi, castelli e cantine, possiamo trovare secoli di storia che si sono sedimentati in paesaggi rurali e urbani bellissimi e ancora poco conosciuti. Un viaggio nel fascino discreto della Mitteleuropa, oltre il Danubio, seguendo itinerari non convenzionali.

http://www.viaggiareibalcani.it/uploaded/proposte-viaggi/2015/Moravia/Moravia_giugno_2015.pdf

 

Pordenone, Libreria Quo Vadis

La vite oltre il Danubio
Il vigneto di San Venceslao. Foto © Imperial Wines

 

Viaggio alla scoperta delle ricchezze enogastronomiche di Boemia e Moravia. Dal 2 al 7 giugno.

 

Il viaggio verrà presentato a Trento giovedì 9 aprile 2015 (ore 18.30, Café de la Paix) anche attraverso la degustazione di vini della Moravia (incontro annullato)

 

Regno di Boemia, Grande Moravia, Cecoslovacchia, Protettorato di Boemia e Moravia, Repubblica Socialista Cecoslovacca, Repubblica Ceca … dietro ai tanti nomi che nel corso della storia li hanno definiti, di qua e di là dei confini che li hanno uniti e divisi, troviamo territori magici tutti da scoprire. Non solo Praga e il suo Castello: tra vigneti e campi di grano, grandi cittadine e piccoli borghi, castelli e cantine, possiamo trovare secoli di storia che si sono sedimentati in paesaggi rurali e urbani bellissimi e ancora poco conosciuti. Un viaggio nel fascino discreto della Mitteleuropa, oltre il Danubio, seguendo itinerari non convenzionali.

 

“La vite oltre il Danubio” è un viaggio ideato dall’associazione Imperial Wines (www.imperialwines.org) ed organizzato da Viaggiare i Balcani (www.viaggiareibalcani.it) in collaborazione con Alterna Tours (www.alterna-tours.com)

 

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Andalusia, un voto fra conservazione e cambiamento
I leader di Podemos, Andalusia

(24 marzo 2015) Il primo appuntamento elettorale del 2015 ha confermato i pronostici degli analisti politici: il bipartitismo, che ha governato la Spagna dal 1982, è in crisi (ma non troppo) e i nuovi attori politici (Podemos e Ciudadanos) entrano nello scacchiere politico per rimanerci e per contare. La forza di Iglesias si attesta ad un buon 15 per cento in attesa del voto nazionale di novembre dove i sondaggi la danno in testa.

di Steven Forti *

“Il PSOE prende ossigeno, Podemos si consolida e il PP crolla”. Questo il titolo di Público, giornale on line vicino al partito guidato da Pablo Iglesias. El País evidenzia invece “la solida maggioranza” della socialista Susana Díaz, mentre El Mundo mette in luce che il “calcio” di Podemos al sistema è “forte”, ma non “rompe lo scacchiere politico”. C’è del vero in tutte e tre le letture.

 

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