domenica, 25 settembre 2016

Tra i miliardi di dollari di capitalizzazione e l’aggressività su scala planetaria del modello Uber e AirBnB e il fragile - anche se costante - affermarsi di nuove esperienze mutualistiche e collaborative all’interno delle comunità urbane (e rurali), c’è un caleidoscopio di questioni che abbiamo l’obbligo di interrogare in merito al potere trasformativo che la “sharing economy” attiva nei confronti di un contesto sociale sempre più disintermediato, ma non per questo meno complesso e relazionale.
Non possiamo fare a meno di valutare le conseguenze economiche, gli effetti sulla coesione e sull’equità dei contesti urbani e sulle abitudini in mutazione di cittadini e cittadine, con la riscoperta - in parte obbligata - dei valori cooperativi. Ci dovremo interessare dei possibili impatti sui temi della governance locale e globale, delle forme organizzative, del lavoro e del welfare, della partecipazione e delle infrastrutture democratiche. Il campo è aperto.
L’età della condivisione è oggi di fronte alla più grande delle sfide, quella - appunto - della condivisione.
Trento, Piazza Cesare Battisti

Zygmunt Bauman
Paura liquida
Laterza, 2008
«La paura più terribile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disancorata, fluttuante, priva di un indirizzo o di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente. "Paura" è il nome che diamo alla nostra incertezza, alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c'è da fare»
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Un breve racconto, la sceneggiatura di un film su questo tempo
Nel mese di agosto mi sono recato con mia moglie Soheila Mohebi e mio figlio in Francia. Lì avevamo intenzione di girare un documentario sulla “giungla di Calais”, ormai quasi del tutto smantellata. Quei giorni mi hanno segnato profondamente e ho capito che il cinema non è sufficiente a raccontare ciò che ho visto. Ho deciso così di provare a spiegare Calais e la sua umanità negata attraverso questo breve racconto, conscio del fatto che nessuna lingua e nessun alfabeto potranno mai sopperire alla mancanza d’umanità di quel luogo. Non è possibile raccontare la giungla, ma la giungla racconta moltissimo di noi. Mentre scrivevo questo racconto sono venuto a sapere che durante le riprese del documentario il fratello di uno dei protagonisti è stato ucciso nella giungla assieme ad altre sette persone, accoltellato da alcuni trafficanti, per il semplice fatto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Episodi come questi a Calais erano all’ordine del giorno. Mi sono poi finto un rifugiato che voleva raggiungere la Gran Bretagna e ho parlato con un volontario-trafficante dell’associazione di volontariato inglese Auberge, il quale mi ha fornito informazioni per raggiungere la Gran Bretagna, come i costi e i trafficanti ai quali mi sarei dovuto rivolgere. I dialoghi contenuti in questo racconto sono avvenuti realmente, non il frutto della mia fantasia. (r.m.)
di Razi Mohebi
Un uomo stava ritto in piedi davanti al cancello di Auberge, impietrito e attonito teneva il figlio per mano mentre le sue dita affusolate stringevano quella manina sempre più forte.
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Silenzio,
e un silenzio più intenso
quando i grilli
esitano (leonard cohen)

In omaggio all'amico Marino Vocci scomparso nei giorni scorsi, vi propongo la recensione del suo libro forse più importante scritta da Mauro Cereghini per "Osservatorio Balcani Caucaso" qualche anno fa.
Una raccolta di scritti e pensieri lungo la frontiera fra Trieste e l'Istria. E lungo una vta di confine, fra impegno politico, attività culturale, vocazione ambientalista e amore per la propria terra. E' "Fughe e approdi" di Marino Vocci
di Mauro Cereghini
“Microcosmi” è il titolo significativo di un libro scritto da Claudio Magris sui suoi viaggi attorno a Trieste, spesso in Istria. E il microcosmo istriano è il vero protagonista anche delle pagine di “Fughe e approdi”, raccolta di testi e pensieri formulati da Marino Vocci negli ultimi quindici anni. Dentro quel microcosmo ci sta la grande storia, con le guerre mondiali, la tragedia dell'esodo, la cortina di ferro, l'esplosione jugoslava, lo spostamento dei confini e la riunificazione europea. Ma ci stanno allo stesso modo i piccoli racconti di vita, le passeggiate lungo le rive di Trieste o sulle montagne del Carso, le serate culturali a parlare di scrittori e poeti di confine. Oppure le incursioni in taverne e osterie, dove “come avviene di frequente nelle terre di confine e dai confini mobili, la cucina ha avuto la capacità di accogliere, adattare, accostare e rielaborare gli influssi provenienti da mondi diversi, quello slavo quello romanzo e quello tedesco”.
Marino Vocci di questo caleidoscopico microcosmo è un osservatore attento e appassionato. Lui stesso coinvolto in prima persona da molti passaggi storici su cui ragiona nel libro. Nato nel 1950 a Caldania, nell'Istria oggi croata, tra i primi ricordi di vita ha l'abbandono della casa e la partenza della sua famiglia per Trieste nel 1954. Non per niente apre così il libro, col racconto della prima fuga. E poi gli anni nel campo profughi di Opicina, la difficile integrazione: “Noi 'istriani sbagliati' eravamo considerati dei nemici e a Trieste dei traditori comunisti filotitini e amici dei s'ciavi e, in Istria, irredentisti fascisti taliani”.

di Ugo Morelli
(18 luglio 2016) La guerra cambia quando chi uccide non lo fa più per salvare se stesso. Diventa allora una finalità trascendente basata sulla distruttività come fine ultimo. Forse non si può più neppure chiamarla guerra, se non risponde a nessuno dei criteri con cui nel tempo è stato identificato quel fenomeno.
Si tratta con ogni probabilità di una "distruttività trascendente ", e a renderla tale concorrono molti fattori, il primo dei quali sembra essere, con molte probabilità, la simultaneità pervasiva e quasi metafisica della rete, con la sua incondizionata liberazione del desiderio fine a se stesso, con la spettacolarizzazione virale e la neutralizzazione del tempo e dello spazio.
La dimensione trascendente di quella distruttività è peraltro paradossale nel momento in cui l'efficacia e il riconoscimento della sua azione e soprattutto dei suoi protagonisti si situa nella reputazione immanente che genera. Fare un gesto per un cielo deserto di dèi con un occhio alla celebrità nel mondo terreno, trasformando quest’ultimo in un deserto di relazioni, sembra questa la finalità perseguita dal terrorismo suicida.

Gilberto Forti
A Sarajevo il 28 giugno
Adelphi, 1984
Fra le proposte letterarie attinenti all’anniversario dello scoppio della Grande Guerra, segnaliamo A Sarajevo il 28 giugno, opera in endecasillabi di Gilberto Forti. Undici versioni del giorno che (forse) cambiò la storia. Una recensione di Marzia Bona (Osservatorio Balcani Caucaso - Transeuropa)
A Sarajevo il 28 giugno è una raccolta di undici storie che gravitano attorno all’assassinio di Francesco Ferdinando e Sofia Chotek. Ripercorrendo gli eventi della giornata che fece da detonatore alla Prima guerra mondiale, l’attentato all’arciduca – nel quale fu accidentalmente uccisa anche la moglie Sofia – diviene pretesto per scandagliare la figura dell’erede al trono, la sua lunga attesa riempita da passatempi lussuosi, progetti imperiali e imposizioni dettate dall’etichetta di corte. A sua volta, la figura dell’arciduca si fa metafora della complessità e delle fragilità dell’Impero alla vigilia del conflitto che lo portò alla dissoluzione.
Il libro si lascia alle spalle la narrazione ufficiale degli eventi, per dare spazio e voce a personaggi che – in maniera diversa e a vario titolo – furono testimoni delle vicende. Il risultato è una ricostruzione caleidoscopica, che ripercorre antefatti e conseguenze del 28 giugno 1914. La figura dell’erede al trono, al centro della narrazione, diventa emblema dell’Impero, delle buone intenzioni ingessate dal protocollo, del lato umano di un personaggio passato alla storia come tragico emblema di un casus belli.
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«…resta pure sempre valido il monito espresso dall’immagine della ninfea che raddoppia quotidianamente le sue dimensioni, di modo che, il giorno che precede la copertura dell’intera superficie dello stagno la metà ne resta ancora scoperta, per cui quasi nessuno, alla vista di tanto spazio libero, è portato intimamente a credere all’imminenza della catastrofe.» Remo Bodei, Limite
di Roberto Burdese *
(28 maggio 2020) Ognuno di noi ha letto, nei mesi del lockdown, un gran numero di articoli e libri per cercare di comprendere questa pandemia: da dove viene, quali segni lascerà nelle nostre vite, come ne usciremo, che insegnamenti possiamo trarne.
In queste pagine digitali, nelle scorse settimane, vi abbiamo parlato di alcune di queste letture, cercando di metterle in relazione con l’esperienza di Slow Food, nel tentativo di comprendere meglio il cammino che ci attende, con l’auspicio di affrontarlo con il giusto atteggiamento. Io le pagine più utili a comprendere quanto ci è accaduto le ho lette poco prima del fatale 21 febbraio. Naturalmente quando mi sono capitate tra le mani non potevo immaginare che mi avrebbero guidato nella comprensione di quanto avremmo vissuto di lì a pochi giorni, tanto più che non parlano di virus influenzali. Ma andiamo per ordine.
Il monito della ninfea è un libro pubblicato a fine gennaio 2020: quando l’ho ricevuto, fresco di stampa, il virus sembrava circolare liberamente solo in Cina e pochi altri Paesi dell’estremo Oriente, mentre il resto del mondo si illudeva di poterne restare immune. Michele Nardelli, che lo ha scritto assieme al sociologo Diego Cason, è un Consigliere nazionale di Slow Food Italia con un ricchissimo curriculum nella politica delle istituzioni e in quella della società civile. Il libro mi era stato anticipato da Michele con alcune telefonate, nelle quali mi raccomandava di fargli avere le mie opinioni dopo la lettura, convinto che questa potesse contribuire alle riflessioni perennemente in corso in seno alla nostra associazione. Certo nemmeno Michele immaginava, in quel momento, cosa sarebbe capitato da lì a poco…

Cambi di paradigma | 2
Venerdì 8 luglio 2016, ore 18.00
Bookique, Parco della Predara - Trento
Ne discutono
Mauro Cereghini, ricercatore e formatore sui temi della pace
Lorenzo Fazio, direttore editoriale Chiarelettere
Introduce e coordina
Federico Zappini, associazione territoriali#europei
La conversazione - intesa come una vera e propria presentazione del libro - arriva a un anno dalla morte del suo autore, Luca Rastello.
martedì, 28 giugno 2016 ore 20:00
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L'associazione territoriali#europei, nell'ambito del percorso "Fra il non più e il non ancora", ti invita all'incontro "Il secolo che nasce e muore a Sarajevo".
28 giugno 1914. A Sarajevo, nei pressi del Ponte Latino, Gavrilo Prinzip assassina l'erede al trono asburgico Francesco Ferdinando e la moglie Sofia. E' il pretesto che di lì a poco darà il via alla prima guerra mondiale. Sarà “il tempo degli assassini”.
5 aprile 1992, qualche mese dopo l'avvio delle ostilità che porteranno all'esplosione della Jugoslavia, iniziano la guerra in Bosnia Erzegovina e l'assedio di Sarajevo. Durerà fino a tutto il 1995, capitolo infinito di una tragedia che insanguinerà per un decennio il cuore balcanico dell'Europa.
Il Novecento è alle nostre spalle. Ma quanto abbiamo saputo elaborare il secolo nel quale il numero dei morti in guerra risulterà triplo di quelli morti in eventi bellici nei diciannove secoli precedenti? Quanto ci siamo interrogati sulle parole “Arbeit mach frei” che accoglieva l'umanità destinata a passare per i camini? Quanto abbiamo saputo trarre lezione dal delirio novecentesco degli stati-nazione? Quanto abbiamo saputo riflettere sul progresso senza limiti che ha reso questo pianeta insostenibile? E che cosa abbiamo imparato noi europei dalla lezione della “guerra dei dieci anni”?
Trento, CFSI - ex Convento Agostiniani, vicolo San Marco 1

Marco Revelli
Non ti riconosco
Un viaggio eretico nell'Italia che cambia
Einaudi, 2016
«Nel corso di questo lungo viaggio erratico tra le pieghe di un Paese sospeso, ho incontrato un'infinità di tracce di metamorfosi istantanea. Di futuri fattisi istantaneamente anteriori. Di promesse appena immaginate e già mancate. Di progetti iniziati e non terminati. E i segni di mappe che non valgono più. Ma non riesco a considerarli simboli di un paradiso perduto».
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di Federico Zappini
Riporto qui una breve traccia utile all’intervento introduttivo alla presentazione del libro “I buoni” di Luca Rastello, che si svolge a Trento l’8 luglio 2016 a un anno esatto dalla sua morte. E’ un’introduzione per me particolarmente complessa da imbastire, per tre motivi almeno.
1) Luca Rastello – che io non ho avuto il piacere di conoscere personalmente – non credo avrebbe apprezzato un ricordo retorico della sua attività di scrittore ma ci avrebbe invitato a focalizzare la nostra attenzione e il sempre troppo poco tempo a disposizione sui temi che le sue opere (solo ultima tra molte “I buoni”) continuano a sottoporci anche dopo la sua scomparsa. In maniera ruvida certo, disturbante al limite della provocazione, ma forse proprio per questo motivo con un risultato così efficace e fruttuoso. “La guerra in casa”, “La frontiera addosso”, “Piove all’insu” sono solo alcuni dei suoi lavori che ci interrogano sull’esistente nel tentativo di descrivere un futuro altro, migliore. Risvegliano la nostra sana inquietudine e ci impongono di – citando un bellissimo intervento di Goffredo Fofi – “non essere mai reduci, ma di abitare appieno il proprio tempo”. La prima domanda che dovremmo porci – e la rivolgo per primo me stesso – è se siamo grado di assumerci questo ruolo di curiosi osservatori e animatori del contesto nel quale ci muoviamo, “impegnati a non soffocare mai i dubbi, in primo luogo su noi stessi” e il nostro operato. E’ l’argomento che sottoporrò a Mauro Cereghini all’interno di questa conversazione.

di Federico Zappini
(11 giugno 2016) «La cultura è portatrice di valori universali e non può essere ridotta a un mero fenomeno commerciale. La cultura è per la qualità della vita e identifica al tempo stesso una società più libera dal bisogno economico e più aperta ai valori della solidarietà, della crescita dei beni comuni, dello sviluppo nella cooperazione e nella fiducia. Insomma la culturaper lo sviluppo non si appiattisce sui mercati e le loro regole egoistiche, ma ambisce allo sviluppo nell’equità e giustizia delle forme distributive». Così si esprime Walter Santagata nelle conclusioni del prezioso Il governo della cultura (Il Mulino, 2014). L’Amministrazione comunale di Trento dovrà prendere fortemente in considerazione questo richiamo alla valutazione dell’impatto sociale della cultura in relazione allo spazio urbano se vorrà rendere credibile e – auspicabilmente – vincente la propria candidatura a Capitale italiana della cultura per l’anno 2018.
venerdì, 27 maggio 2016 ore 17:30
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IL VICINO MEDIO ORIENTE
Presentazione del libro di Micaela Bertoldi "Tra Turchia e Siria - Lune e mezzelune in terre di confine”
intervengono
Massimiliano Pilati, Presidente del Forum trentino per la pace e i diritti umani
Davide Sighele, redattore e documentarista di Osservatorio Balcani e Caucaso
Michele Nardelli, ricercatore sulle tematiche della pace e dei diritti umani.
"Tra Turchia e Siria. Lune e mezze lune in terre di confine” ci trasporta nel Vicino Medio Oriente in terre segnate dalla Storia degli scontri tra imperi, ma anche caratterizzate dall'essere punto di incontro tra culture feconde, tra fedi - ebraica, cattolica, ortodossa, islamica - e tra grandi correnti di pensiero filosofico e scientifico.
Rovereto, Urban Center, Corso Rosmini 58

Una riflessione del Café de la Paix sull'assenza della politica nel pensare la città, la sua vita culturale, i suoi spazi...
Le parole che scrivo sono frutto di una lunga riflessione alla luce di quello che sta tutt’ora accadendo nel nostro locale. Il nostro locale, proprio quello che voleva essere un locale per la Città.
Mentre scrivo queste parole mi torna in mente la storia di un uomo che si getta dal quarto piano di un palazzo ... e ripete tra sé e sé : “Quarto piano, fin qui tutto bene...”
E fin qui infatti tutto bene.. di certo non per Il locale in cui abbiamo tentato in ogni modo di produrre “bellezza” e non solo divertimento, affinché non fosse uno di quei luoghi dove vai a far casino per sfogare in due ore le frustrazioni accumulate in una settimana grigia.
Non va bene per quel locale nato dal progetto della provincia e del forum della pace ma ostacolato fin dalla sua nascita, quello dove si rendono manifeste le ipocrisie e le schizofrenie di una Città che guarda con sospetto alla letteratura e alla musica ma si propone come città della Cultura, facendo finta di ignorare il fatto che il presidio più efficace per la sicurezza è quello posto in essere dai cittadini stessi; perché in una città vuota è facile andare in giro a bucare in maniera seriale le ruote di 50 macchine e restare pressoché indisturbati.