Editoriali

La difficoltà di essere presenti al proprio tempo
Storie

Questa riflessione viene ospitata oggi in prima pagina sul quotidiano L'Adige 

di Michele Nardelli

(28 luglio 2013) L'esito delle primarie del centrosinistra autonomista ha fatto emergere le criticità di un percorso politico incompiuto, quello del Partito Democratico. Quei 139 voti di scarto sono stati una sorta di detonatore di contraddizioni comunque presenti e che fin qui non abbiamo saputo o voluto affrontare.

Lo stesso dibattito che ne è seguito ha evidenziato i limiti di fondo di un partito che fatica a comprendere la natura reale della sua crisi. Ho sentito critiche molto severe, l'indistinta richiesta di azzeramento degli organismi dirigenti, un monito verso il proliferare di personalismi che riducono la politica ad affare privato, un forte richiamo alla necessità di rinsaldare il rapporto con il territorio.

Tutto questo è più o meno comprensibile e, talvolta, condivisibile, ma tende ad eludere le ragioni di fondo che sono all'origine della crisi della politica e senza la risoluzione delle quali il resto appare come una sorta di anestetico o di pericolosa scorciatoia.

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Intendo esserci.
Michele Nardelli nell\'incontro con Vinicio capossela dedicato a Bekim Fehmiu
(20 luglio 2013) L'Adige di oggi mette anche il mio nome fra i consiglieri provinciali uscenti che non intendono ricandidare. Non so con chi abbia parlato l'articolista, non certo con me. Ho detto in passato che la mia candidatura non era scontata, perché per quanto mi riguarda non è mai così. In questo momento, dopo averne parlato con molte persone e fatto un bilancio positivo dell'esperienza di questi cinque anni, sono orientato ad essere della partita e dunque a candidarmi nelle elezioni per il rinnovo del Consiglio Provinciale, a maggior ragione dopo l'esito delle primarie.

Riqualificare e rimotivare
Papaveri

(ottobre 2013) In questi giorni si sono intrecciate una serie di iniziative interessanti che hanno posto il tema del modello di sviluppo nell'area alpina: la conferenza stampa con gli esponenti del Bard (Belluno Autonoma Regione Dolomiti), la presentazione dell'ultimo lavoro di Aldo Bonomi "Il capitalismo in-finito" che attraversa le regioni della crisi, l'incontro di Grenoble delle regioni e dei ministri dei paesi dell'arco alpino, l'incontro di Borgo Valsugana sulle "terre alte". La riflessione di Michele Nardelli proposta sul Corriere del Trentino.

di Michele Nardelli

Nel tempo della crisi, abbiamo parlato spesso di "Terre alte", ovvero dei territori di montagna che si sono trovati a dover far fronte a condizioni di mercato più sfavorevoli e a costi sociali maggiori. Produrre un litro di latte in montagna non è la stessa cosa di produrlo in pianura, così come garantire lavoro, scuola e servizi di qualità nello spazio alpino richiede una disponibilità di risorse maggiore che altrove. 

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Quel che rimane...
Michele con Nina

Vorrei ringraziare con un grande abbraccio tutte le persone che ieri in occasione del mio compleanno mi hanno manifestato il loro affetto. A tutti loro e ai lettori di questo sito vorrei dedicare le parole che ho scritto qualche mese fa sul tema dell'amicizia per il libro di Paola Grott "Filìa".

Quel che rimane...

"Hannah aveva il genio dell'amicizia". Così Hans Jonas rese omaggio all'amica scomparsa nel giorno del suo funerale. Quello straordinario lavoro di tessitrice del pensiero, nell'amicizia che diviene incrocio di sguardi, era stata la sua forma di resistenza nell'attraversamento delle tragedie del Novecento. 

In effetti, se c'è un tratto che mi ha sempre affascinato di Hannah Arendt e del suo pensiero, è stata la tensione a ricomporre la Storia con l'esistenza del singolo individuo. Questo continuo indagare sul significato dell'agire umano, su quel che rimane del nostro passaggio terreno e sul valore decisivo del "pensare da sé", di guardare al mondo a partire dall'autonomia di pensiero.

Non in contrasto con il pensare e l'agire collettivo, abitando le insidie del potere che si annidano nella sfera pubblica nelle sue diverse dimensioni. Ma un terreno più sgombro, dove coltivare quello spirito critico verso di sé e il proprio tempo, che ci aiuta nell'elaborazione di un passato/presente altrimenti destinato a divenire gorgo.

Fra lo scorrere della storia e le nostre esistenze sembrano esserci distanze incolmabili. Abissi nei quali ci sentiamo soli ed inutili. Eppure in Hannah Arendt la vita si fa mondo. Questa distanza tende a svanire e il pensiero di ognuno diviene "una luce nel buio".

Nel modo con cui ciascuno di noi impara ad osservare le cose intorno a sé, nella capacità di darci quello strabismo che ci permette una diversa profondità aiutandoci a mettere a fuoco gli avvenimenti, nel valore che diamo allo sguardo degli altri, si può rintracciare il significato profondo e non banale dell'amicizia.

Srebrenica, diciott'anni dopo...
Srebrenica, il cimitero di Potocari

(11 luglio 2013) Srebrenica. Che cosa è rimasto nella coscienza collettiva dei cittadini europei di quanto accadde nel cuore dell'Europa l'11 luglio 1995? A ragion del vero è un po' l'insieme di quella tragedia che concluse il Novecento europeo che oggi appare rimossa, incasellata nella categoria di "guerra etnica", segnata dal pregiudizio dell'ignoranza e dei luoghi comuni, sterilizzata dalla falsa coscienza di un'Europa incapace di riflettere su se stessa e infine dimenticata, come se non avesse nulla di importante da dirci.

Tutto questo rende il genocidio di Srebrenica, quelle 8372 (o forse più) vite spezzate sotto gli occhi di una comunità internazionale distratta, quando non complice, se possibile, ancora più doloroso. Perché se per i famigliari delle vittime la ferita più aperta è quella di dare riconoscimento e sepoltura a quanti ancora giacciono nelle fosse comuni e, insieme, il desiderio di avere giustizia (se pensiamo che le condanne comminate per quanto accadde a Srebrenica diciott'anni or sono si contano sulle dita di due mani), l'aspetto che più in generale risulta insopportabile è rappresentato dal fatto che il nome di questa antica città non rappresenti motivo di riflessione per l'insieme della coscienza civile europea e mondiale.

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La favola del giovane e della donna
Favole di Esopo

di Patrizia Caproni 

C'era una volta un paese in cui non tutti, ma tanti, parlavano di rinnovamento, giovani e donne in politica. C'era una volta un paese in cui tutto questo gran parlare di vecchio e giovane riempiva le bocche di parole e i giornali di lettere.

C'era una volta un paese in cui tutti si sentivano giudici senza appello di chi politica la faceva magari sì da molto tempo, ma ci metteva passione competenza e trasparenza. Tutti nella stessa pentola, buoni e cattivi, che in fondo tutti siamo un po' entrambi, e sembrava che solo l'anagrafe o il genere salvasse dalla gogna. I contenuti non esistevano più, o comunque passavano in secondo piano e, rimasta la forma, allora contava la singola apparenza e non più la capacità collettiva di elaborare progetti e contenuti che contenessero una visione di un mondo migliore. Narravano i cantastorie che cambiamento e innovazione potevano essere motore di un mondo più giusto ma che solo una rete tra persone disposte a mettere il proprio entusiasmo e il proprio coraggio verso una meta collettiva poteva dare significato a queste parole.

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Investire sulla coalizione
Giovanni Segantini, Ritorno dal bosco

(16 giugno 2013) C'è ancora incertezza sul candidato del centrosinistra autonomista per le elezioni di autunno in Trentino e sulle primarie di coalizione che - in assenza di una figura condivisa da tutti - dovrebbero esprimerlo.

Errori sin qui ce ne sono stati, primo fra tutti quello di non aver investito abbastanza in questi anni su una cultura coalizionale. Ma ora è necessario avere pazienza, perché l'unità della coalizione è un bene prezioso che ci ha permesso in questi quindici anni di ancorare il Trentino ad una prospettiva politica diversa da quella che ha pesantemente segnato tutto l'arco alpino. Lo abbiamo visto a Pergine Valsugana che cosa significa andare divisi, anche se in quel caso - venendo da un'esperienza amministrativa non certo positiva - una lezione ci stava e si potrebbe rivelare anche salutare.

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Roma, Brescia, Treviso... il riscatto delle città
Valigie

(10 giugno 2013) Nelle sedici città capoluogo interessate al ballottaggio vince ovunque il centrosinistra. Fra queste Roma, con oltre il 63% dei voti espressi, Marino mette fine al governo della destra. E anche Treviso, storica roccaforte della Lega, passa al centrosinistra, così come Ancona, Brescia, Imperia, Viterbo... 

Rimane la necessità di riflettere sul forte calo del numero degli elettori, nel ballottaggio al di sotto del 50%. Una disaffezione che fotografa una crescente distanza dei cittadini dalla politica.

Al tempo stesso si afferma una proposta più radicata nel territorio rispetto ad una proposta di tipo plebiscitario insita nei partiti ad immagine e somiglianza del loro capo.

http://www.repubblica.it/static/speciale/2013/elezioni/comunali/index.html?ref=dbelezioni

 

Apprendimento permanente
Non è mai troppo tardi

Quello che segue è l'editoriale del professor Ugo Morelli apparso giovedì sul Corriere del Trentino e di cui ringrazio per la sensibilità. 

di Ugo Morelli

(21 giugno 2013) Le cose stanno cambiando. Sono molte le indicazioni che segnalano un'inedita sensibilità nel campo della domanda di sapere e conoscenza, oggi. Interessante è che ciò si combini con un altrettanto evidente scarto fra la sensibilità e l'indifferenza, fra i problemi e la partecipazione civile per affrontarli. Un segno ulteriore, se ce ne fosse bisogno, della differenza che corre tra informazione, comunicazione e conoscenza. Eppure si insiste a trattare queste tre questioni come se fossero una sola. Non solo non lo sono, ma si combinano con una quarta azione necessaria, più urgente che mai: l'educazione nell'intero arco della vita.

A questo tende a rispondere il disegno di legge provinciale presentato da Michele Nardelli e da altri consiglieri. Oltre all'apprendimento permanente la proposta di legge si riferisce anche alla certificazione delle competenze.

Viviamo in un tempo in cui il sapere e la conoscenza sono alla base di ogni scelta, azione e decisione. Si stenta a capirlo perché la conoscenza è intangibile, ma ognuno se ne rende conto quando deve fare una scelta, prendere una decisione, fare un lavoro o semplicemente orientarsi nel mondo in cui viviamo. Parlare di analfabetismo di secondo livello sarà pure esagerato ma corrisponde in buona misura alla realtà dei fatti. Non conoscenza vuol dire esclusione e assenza di possibilità di partecipazione attiva. Vuol dire subire le scelte e non decidere di cose essenziali che riguardano la nostra vita: si pensi alla bioetica o alle scelte riguardanti l'ambiente e l'alimentazione o, semplicemente, si fa per dire, decidere quale scuola scegliere per i nostri figli. 

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Un progetto per il Trentino
Fortunato Depero (particolare)

La carta d'intenti sottoscritta dalla coalizione del centrosinistra autonomisita

(19 giugno 2013) Il Centrosinistra autonomista trentino ha rappresentato un'anomalia nel panorama politico del Nord Italia, nel quale il modello dominante è stato quello di una destra leghista e populista. Un'anomalia che ha garantito al Trentino riforme, stabilità, attenzione ai diritti e al lavoro, equità e che ha valorizzato le caratteristiche "migliori" della società trentina, quali la solidarietà, la cultura dell'autogoverno, del rapporto virtuoso con il territorio, del limite. Si è promossa un'idea di società aperta e attenta a valorizzare le differenze.

Nel nostro tessuto sociale è vivo e forte l'interesse per la comunità, ma questa diversità va coltivata per non essere cancellata dal pensiero dominante che, richiamandosi al liberismo e all'individualismo, subordina la politica all'economia,la società all'interesse privato.

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Il caso Trentino
In attesa della primavera

di Michele Nardelli

(26 maggio 2013) Sul piano politico sono giornate convulse. In gioco è, semplicemente, il futuro del Trentino. Dovremmo, almeno così la vedo io, cercare di salvaguardare la coalizione che ha reso possibile quindici anni di governo del centrosinistra autonomista in Trentino. Che oggi viene messa alla prova da una molteplicità di fattori che vanno dall'incertezza sulla leadership ad una diversa narrazione su ciò che è stata questa terra nell'era del governo di Lorenzo Dellai.

Abbiamo a che fare, per la verità, anche con cose meno nobili, i personalismi, gli interessi, i rancori, le rivincite... che pure attraversano la politica. Al di là delle miserie, ci sono nodi veri che danno corpo a diverse idee progettuali per il Trentino che poi si sono tradotti nel confronto, forse improprio, fra continuità e discontinuità.

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Caro Faber. Per Fabrizio De André
Andrea Gallo

Se ne è andato don Andrea Gallo, fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto, nella sua Genova. Lo voglio ricordare con le parole che dedicò a Fabrizio De André, amico genovese con il quale aveva condiviso una vita dalla parte degli ultimi.

di don Andrea Gallo

Caro Faber,

da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità. Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch'io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell'esclusione. E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l'intelligenza. Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell'amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l'aspirazione alla libertà. E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.

Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l'ignoranza, l'arroganza, il potere, l'indifferenza. La Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l'esplosione atomica. Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l'amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l'amore ancora ci passerà vicino / nella stagione del biancospino», da L'amore, ndr]. È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.

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Basso merito, zero ambizioni
Anni '50

Questo editoriale è apparso sul Corriere della Sera del 21 maggio scorso.

di Giuseppe De Rita

C'è stato un tempo felice in cui tutto il corpo sociale viveva di impulsi politici. Dalla fine della guerra fino al crollo della Prima Repubblica la vita di tutti era segnata dal primato della politica: dal primato delle grandi ideologie dell'epoca (comunismo, liberismo, corporativismo, dottrina cattolica); dal primato della dialettica fra i sistemi geopolitici (mondo occidentale, mondo arretrato, Paesi cosiddetti non allineati); dal primato anche quotidiano di scontri sociali e mobilitazioni di classe. Tutto era politica.

Ma, al di là della forte ruvidezza conflittuale di quegli anni, la politica non ci dispiaceva, perché ci trasmetteva un messaggio comune: crescete, andate avanti, salite la scala sociale, diventate altro da quello che siete. Ci spingevano a tale dinamica coloro che esaltavano le lotte operaie come coloro che coltivavano l'ampliamento del ceto medio; coloro che speravano nella potenza politica dei braccianti come coloro che trasformavano i braccianti in coltivatori diretti, cioè in piccoli imprenditori; coloro che spingevano per dare spazio a più ampie generazioni studentesche come coloro che coltivavano le alte professionalità industriali; coloro che predicavano il politeismo dei consumi come coloro che richiamavano alla sobrietà dei comportamenti. Gli obiettivi e i conflitti della politica erano tanti, ma l'anima era unica: «Crescete e salite i gradini della scala sociale». Ed era verosimilmente per questo incitamento alla mobilità che la politica piaceva.

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Se la sinistra abbandona i diritti nel deserto
Diritti...

Riporto questo articolo di Barbara Spinelli pubblicato su la Repubblica. Non lo condivido, ma ritengo che possa costituire una chiave di lettura di quel che è avvenuto nelle ultime settimane. Riservandomi di commentarlo nei prossimi giorni. 

di Barbara Spinelli

C'era una volta Italia Bene Comune, ovvero Italia giusta: in mezzo a una crisi economica mai vista dopo il '45, la sinistra sembrò cercare la parola, che la squadrasse da ogni lato. Giustizia non era solo sociale. Comprendeva diritti che proprio in tempi di disagio la persona possa accampare. Che siano fondamentali: irrinunciabili come i primi 12 articoli della Costituzione. In fondo non basta chiamarli diritti: meglio parlare di autodeterminazione del cittadino, come dei popoli. Gli inglesi usano il termine empowerment: padronanza di sé. Nata da un accordo fra Pd e Sel, la Carta d'intenti di Italia Bene comune denunciava "i guasti del pericoloso bipolarismo etico" invalso per un ventennio.

 

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La domanda che corre in rete...
Robert Capa, Guerra di Spagna

di Michele Nardelli

In queste ore il confronto politico ruota attorno alla questione se sia giusto oppure un errore dar vita ad un governo di larghe intese. Perché in effetti quello che si va tessendo, peraltro con indubbia capacità di mediazione da parte di Enrico Letta, è un governo politico che potrebbe durare ben oltre il tempo necessario per una riforma del sistema elettorale.

La domanda insistente che corre in rete è se sia lecito, oltre che utile, fare un governo con il PdL dopo aver detto in campagna elettorale "mai con Berlusconi". Io stesso in questi giorni ho immaginato che l'unica possibilità per evitare di ritornare al voto con la stessa legge elettorale potesse essere un governo di scopo, ovvero un esecutivo a termine con alcuni punti qualificanti sui quali potesse esserci una convergenza di natura istituzionale. Incontrando, anche su questo piano, non poche perplessità.

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