"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Negli ultimi giorni alcuni commentatori hanno azzardato un parallelo fra Renzi e Grillo. Naturalmente una sovrapposizione fra i due personaggi è molto improbabile, data la diversità delle origini politico-culturali e soprattutto del contesto in cui operano, il primo all'interno di un grande partito di governo, il secondo alla guida di un movimento espressione dell'anti-politica.
Tuttavia, da un punto di vista strettamente metodologico e con riferimento al modello di democrazia che i due esprimono, alcuni punti di assonanza sono rinvenibili e quindi il parallelo diventa possibile. Vediamo perché.
La campagna elettorale di Renzi per la corsa alla segreteria del PD è partita da Bari con un forte impatto mediatico e con un discorso a tutto campo sull'attualità politica ed economica del paese. Un discorso da leader insomma, che già lascia intravvedere quale sarà il suo approccio alla competizione: un rapporto "diretto" ed "immediato" con chi (e saranno certamente in molti) lo verrà ad ascoltare, l'utilizzo di una comunicazione "calda" e "coinvolgente", la ricerca di un'adesione dal forte impatto "emotivo" e una certa inclinazione a "stupire" il pubblico, anche attraverso l'adozione di spunti polemici. Nelle sue performances di Bari e Verona, inoltre, Renzi ha dato l'impressione (vedremo se sarà confermata o meno) di voler adeguare, con una certa venatura populistica, il proprio discorso (e programma) alle esigenze dell'uditorio, "lisciando il pelo" alle categorie (vedi gli imprenditori veronesi) o ai settori sociali che di volta in volta si troverà di fronte. Insomma, l'impressione che se ne può ricavare è quella di un modello comunicativo calato "dall'alto", dal forte taglio "personale", dipendente molto dalle esigenze del momento e dalle opportunità che lo stesso Renzi riterrà di cogliere. Un modello nel quale, per intenderci, la piattaforma programmatica e le scelte di fondo sembrano il frutto dell'impronta del leader e dello staff che gli è di supporto ed aiuto (non a caso Renzi ha provveduto a nominare fin da subito i suoi più stretti collaboratori), anziché il risultato di un discussione approfondita ed argomentata dentro il partito o, perlomeno, all'interno di una sua specifica area culturale.
Del resto questa stessa impostazione, che si fonda su un'accezione occasionale e volatile di partecipazione, è rinvenibile anche nei rapporti con l'elettorato: perché non è tanto in discussione l'apertura renziana agli elettori delusi dal centrodestra (cosa per certi versi anche auspicabile o perlomeno giustificabile), quanto il fatto che questo contatto si riduca al mero momento elettorale, mentre io credo che molto più incisiva sarebbe la strada delineata da Fabrizio Barca (e da alcuni studiosi) di un partito capace di mobilitare le conoscenze e coinvolgere in modo permanente esperienze, competenze e saperi diffusi, presenti dentro e fuori il Partito Democratico.
E Grillo? Che c'entra con tutto ciò? C'entra perché, pur con tutti i distinguo del caso, anche l'impronta che l'attore genovese vuole conferire al suo movimento si ispira ad una visione "diretta" della democrazia, che con Renzi condivide la natura "immediata" del rapporto fra eletti ed elettori, ma rispetto a Renzi si distingue per una critica radicale della democrazia rappresentativa che non è rinvenibile in ciò che dice o fa il sindaco di Firenze. Si pensi, solo per fare un esempio, all'idea tutta grillina per cui il programma sulla base del quale i deputati o i senatori del M5s sono stati eletti è intoccabile e quindi non può essere né modificato, né integrato in corso di legislatura. Quanto di più lontano da una concezione corretta (e costituzionale) di "rappresentanza", che, soprattutto se innervata dai recenti contributi offerti dalla democrazia deliberativa, è qualcosa che implica un rapporto continuo di scambio, discussione, confronto, reciproca maturazione fra rappresentanti e rappresentati, con la possibilità di una modifica delle preferenze iniziali, che non sono date una volta per tutte. Anche perché solo in questo modo è possibile rendere operativo quel "controllo" dei cittadini nei confronti della politica e delle istituzioni, che è vitale per la "qualità" della democrazia, ma che Grillo enuncia solo a parole e declina in forme plebiscitarie e del tutto personali.
Quindi fra Renzi e Grillo vi sono alcune assonanze, ma ancora maggiori differenze. Il punto, però, non è questo. Il punto è che, in vari modi e con modalità diverse, si sta sempre più affermando nel nostro paese una preoccupante insofferenza verso tutto ciò che è "mediazione", "ascolto", "dialogo" da posizioni di reciproca eguaglianza. Così come nei partiti sono sempre meno i luoghi e gli spazi di reale e continuativa partecipazione, a favore di un modello "leaderistico" e di una centralizzazione delle decisioni che non portano molto lontano. Speriamo che il prossimo congresso del PD faccia chiarezza anche su questi punti.
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