Dal Corriere del Trentino di ieri l'editoriale del professor Ugo Morelli sul tema dell'animazione territoriale al centro della riflessione dell'incontro promosso dal gruppo consiliare del PD del Trentino
di Ugo Morelli
(20 ottobre 2012) Da tempo abbiamo provato a sostenere che è necessario cercare, attraverso la progettualità sociale e la capacità di iniziativa delle comunità locali, una via appropriata a un nuovo modello di sviluppo. Quando le cose cambiano profondamente e in fretta, come accade in questo tempo, tendono a prevalere l'ansia e le difese, che di solito procedono insieme. Mentre l'ansia induce perlopiù all'immobilismo derivante dalla paura della fine delle risorse abbondanti, le difese cercano vie di fuga facili e ingannatrici.
Riguardo alla ricerca di un modello di sviluppo appropriato le difese si chiamano decrescita, oppure conferma del modello vigente. In entrambi i casi si fugge dal problema: nel primo spesso non si considera la ricerca della propria autorealizzazione da parte delle persone e il bisogno di creare economie soddisfacenti; nel secondo caso si fa come se non ci fosse l'esigenza di tutelare le risorse e utilizzarle in modo che non se ne pregiudichi l'uso per il futuro.
di Michele Nardelli
(24 gennaio 2017) Perché non s'impara mai nulla? Che cosa deve ancora accadere per comprendere che la natura ci sta presentando il conto?
C'è ben poco di casuale nei drammatici avvenimenti che in questi giorni riempiono le cronache italiane e sbaglieremmo a pensare che il tema sul quale confrontarci debba essere la tempestività dei soccorsi. Che pure si pone, ma è forse quello meno complicato cui dare risposta.
La questione di fondo è un'altra. O sapremo mettere in discussione l'attuale modello di sviluppo, oppure dovremmo rassegnarci a considerare l'emergenza come normalità.
Purtroppo è lungo questa seconda strada che siamo incamminati. Nonostante viviamo in un'area geografica temperata che pure attenua fenomeni altrove ben più radicali, non c'è stagione che non porti con sé effetti disastrosi dovuti essenzialmente ai cambiamenti climatici, esito a loro volta di culture e prassi che non sanno porsi il tema del limite.
di Francesco Cavalli *
(20 settembre 2012) Non andrò mai nell'antipolitica. Me lo ripeto ogni mattina, come la litania del giorno, come un training autogeno, un'opera costante di autoconvincimento. Ma la nostra classe politica attuale non perde occasione per spingerci sempre di più in questa direzione. Quello che è successo ieri in parlamento ne è un'ulteriore spinta. Con gli scandali di soldi e politica che ci invadono con maggiore frequenza della pioggia, l'opporsi al controllo esterno sulle spese dei gruppi parlamentari, nel nome di una trasparenza invocata da tutti, dall'ultimo cittadino al Presidente della Repubblica, è davvero l'ennesimo segnale di una politica profondamente malata al suo interno. La marcia indietro sucessiva di Pd-Udc-Idv sono un ulteriore segnale di smarrimento che lascia noi spettatori quantomeno perplessi.
di Michele Nardelli
La presidente della Regione Lazio Renata Polverini si è dimessa. Travolta dalla degenerazione della politica. O, meglio, di un'idea della politica ridotta a potere, carriera, interesse personale, privilegio.
Dovrei esserne felice, in fondo "Liberare la politica dai privilegi" era quanto scrivevamo sui manifesti ancora vent'anni fa, in quel passaggio fra la prima e la seconda repubblica che avveniva sull'onda di "mani pulite". Come sappiamo, andò diversamente.
Anche ora, il crepuscolo dei personaggi cresciuti all'ombra del cavaliere dovrebbe rappresentare una sorta di pulizia morale da accogliere come una liberazione. Eppure avverto inquietudine.
Sono inquieto perché la valanga non investirà i furbi, che già stanno attrezzandosi per cavalcarla con la demagogia di cui sono capaci. A rischio temo saranno le istituzioni in quanto tali. Una polvere nella quale "sono tutti uguali", dove la caccia alle streghe avviene indistintamente contro "la casta", come se l'impegno politico e istituzionale fosse cosa di cui vergognarsi. Temo il rancore e la locanda che ne è il retroterra culturale.
E' un film già visto. Odora di "dannunzianesimo". Gli uomini della provvidenza scaldano i motori, il cavaliere annuncia il suo ritorno e la Lega ricresce nei sondaggi.
di Michele Nardelli
Questo articolo è uscito oggi come editoriale del quotidiano L'Adige
(20 settembre 2012) Il Consiglio Regionale del Trentino Alto Adige - Sud Tirolo ha votato la nuova legge sulle indennità dei consiglieri regionali. Una riduzione significativa dell'indennità lorda, l'abolizione della diaria, un tetto massimo alle spese, un taglio sullo stipendio netto nell'ordine del 10% che a cascata riduce le indennità per la giunta e gli uffici di presidenza, che va ad aggiungersi alla sterilizzazione di ogni aumento automatico già realizzata nel corso di questa legislatura e all'abolizione dei vitalizi operata nel corso della passata legislatura ed entrata in vigore con questo mandato consiliare. Un intervento legislativo atteso, frutto di una difficile mediazione che ha visto convergere tutte le forze politiche. Con questo provvedimento, i consiglieri provinciali e regionali del Trentino Alto Adige - Sud Tirolo avranno a partire dal 2013 le indennità più contenute rispetto ad ogni altra regione italiana, oltre ad essere l'unica Regione ad aver già esecutiva l'abolizione dei vitalizi.
Mi pare oltremodo significativo che ciò avvenga in una Regione dove in capo alle Province Autonome di Trento e Bolzano figurano competenze di autogoverno particolarmente ampie, il che comporta un impegno legislativo e amministrativo ben superiore ad ogni altra istituzione di pari livello sul territorio nazionale.
di Michele Nardelli
(8 settembre 2012) Il Presidente Giorgio Napolitano si incontra con quello austriaco Heinz Fischer nell'anniversario dell'Accordo Degasperi Gruber e in un momento molto particolare della storia dell'autonomia. L'incontro ha in sé un valore evocativo di un passaggio tanto delicato quanto lungimirante nella soluzione del conflitto sudtirolese. A cui corrispondono parole importanti a tutela della specialità.
Ignari della delicatezza della questione e della pesantezza delle loro parole, gli esponenti veneti del centrodestra e della Lega si scagliano contro l'accordo Degasperi Gruber (e l'autogoverno che ne viene) che considerano un privilegio ingiustificato, facendo emergere in questo tutta la loro incultura politica.
Ciò che oltretutto non capiscono è che la specialità non è in alternativa alla riforma in senso federalista dello Stato Italiano, che invece proprio da qui dovrebbe partire per comprendere come l'autogoverno sia una delle condizioni per affrontare la crisi e governare al meglio questo paese. Perché autogoverno significa coesione sociale e cultura della responsabilità, ingredienti decisivi per vincere la sfida di questo passaggio di tempo.
L'Italia ha una straordinaria ricchezza che sono le sue diversità regionali, la loro storia e un patrimonio artistico ed archeologico unico al mondo, la posizione geografica e l'attraversamento che ne ha plasmato le identità culturali, la bellezza del territorio, il valore dell'agire umano nel suo rapporto con la terra e i suoi prodotti. E davvero non conosco regioni povere. Semmai impoverite, dallo smarrirsi delle loro identità e dall'assistenzialismo che ne ha minato l'orgoglio. E il cui riscatto non può venire che dall'autogoverno.
La riforma in senso federale dello Stato deve partire dai territori e dalla capacità di darsi nuove classi dirigenti che amino la loro terra. E da un governo nazionale consapevole che le sfide del tempo si vincono solo insieme ai territori, non loro malgrado.
di Michele Nardelli
(1 settembre 2012) Amo la Sardegna, la sua gente, la letteratura che ne è venuta, i luoghi d'incanto che ti sa offrire, i suoi sapori. La Sardegna è un'isola ricca di ambiente, storia, cultura, tradizioni. Malgrado ciò la Sardegna è in profonda sofferenza.
La protesta dei minatori del Sulcis che difendono nelle viscere della terra quel disgraziato lavoro, i lavoratori dell'Alcoa che si aggrappano ai loro impianti siderurgici, i pastori che non vedono riconosciuto il valore del loro lavoro, i contadini che nemmeno raccolgono più l'uva pregiata che produce il Cannonau o il Carignano tanto poco viene loro pagata... sono i segni disperati di come questa terra sia stata violentata, sfruttata, avvelenata e buttata via da un modello di sviluppo insostenibile.
di Michele Nardelli
L'attentato di ieri a Bengasi ci dovrebbe far riflettere sulla nostra incapacità di leggere gli avvenimenti. E di quanto poco la politica e le istituzioni hanno saputo o voluto ascoltare la primavera. La sua militarizzazione, esito combinato di apparati di potere che non conoscono altro linguaggio che quello delle armi e di una politica internazionale che altro non ha saputo fare che intervenire con i bombardamenti (nel caso della Libia) o armando l'opposizione (nel caso della Siria), ha letteralmente spazzato via la vera peculiarità (e la vera forza) della primavera araba, ovvero il suo carattere nonviolento.
La primavera è riuscita ad imprimere un processo di cambiamento per il semplice fatto di esserci. Migliaia di persone in strada, milioni di parole attraverso internet, pensieri finalmente sottratti alla paura, hanno cambiato questa parte del Mediterraneo anche quando non hanno preso il potere, ma per il semplice fatto di imporsi come processo ineludibile che ha attraversato le società, la politica, le istituzioni.
Laddove è prevalsa la militarizzazione, vincono invece i dittatori, i signori della guerra, al-Qaida. L'esito è la guerra e il terrorismo, l'esodo di migliaia di persone, il fondamentalismo e la scomparsa di quell'agorà che sono state le piazze ed il fiorire di un dibattito politico prima impensabile. Il tenere aperte le contraddizioni, non chiuderle.
Perché così dovremmo leggere la primavera. Non la bacchetta magica che trasforma le dittature in democrazie, ma la capacità di mettere in moto processi partecipativi, idee, conflitti nella contraddittorietà dei contesti che non cambiano dall'oggi al domani, come se i regimi non avessero avuto consenso. Perché (dovremmo averlo imparato dal Novecento) non esistono dittature prive di consenso.
Scrivo queste righe perché la primavera ha attraversato e sta ancora attraversando tutto il mondo arabo, la mezzaluna fertile, la Turchia... anche se non ce ne accorgiamo. Tanto da averla già quasi rimossa. Forse perché le nostre percezioni riescono purtroppo solo a comprendere il linguaggio della degenerazione violenta dei conflitti. E la superficialità delle cose gridate in prima pagina.
di Ugo Morelli
(14 agosto 2012) Le "norme per la promozione della società dell'informazione" proposte da Michele Nardelli e approvate dalla Provincia Autonoma di Trento creano le condizioni di un cambiamento che merita molta attenzione. La cibernetica, si sa, è la scienza del controllo e dell'ordine. L'informazione e la conoscenza sono la linfa vitale dell'economia, del funzionamento della società e del supporto a ogni decisione, oggi. Abbiamo non poche difficoltà a rendercene conto perché siamo immersi nella società dell'immateriale ma ancora densamente presi da una mentalità rivolta al materiale.
Oltre le considerazioni e i commenti di ordine tecnico ed economico sulla rilevanza decisiva della scelta normativa, può essere utile chiedersi quale sia una delle questioni cruciali per la riuscita e l'efficacia dell'applicazione della legge.
Le Olimpiadi sono una grande manifestazione di sport, cultura e di incontro fra le genti. Difficile non esserne coinvolti. Poi accade che un giovane acqua e sapone, figlio di una terra che fa del rapporto con la natura uno dei suoi messaggi promozionali, campione olimpionico a Pechino e lui stesso sponsor della salubrità dei prodotti del Sud Tirolo, venga pizzicato con il sangue pieno di Epo e casca il palco.
Come non provare tenerezza per questo giovane che nel vuotare il sacco si libera dal proprio incubo? Subito l'opinione pubblica si divide fra il partito dello scandalo, accozzaglia di ipocriti di fronte ad un mondo sportivo dove sono gli sponsor a dettar legge, e quello di chi cerca di comprendere il dramma umano di un ragazzo che ha sbagliato. Se dovessi scegliere non avrei dubbi, ma non è questo il problema.
Perché il problema sta a monte. Alex Schwazer ha dichiarato che non ne poteva più della marcia, degli allenamenti e di quel mondo che viveva come un incubo. E che desiderava una vita normale. Non vorrei sembrare offensivo ma la mia impressione è che la tossicità non c'entri più di tanto con l'eritropoietina ma piuttosto con quell'idea di sport che non ti dà tregua e ti disumanizza, dove non puoi arrivare dietro a qualcun altro per cui devi vincere per forza, dove se arrivi al quarto posto olimpico (cioè del mondo) hai fatto un "buco nell'acqua", come hanno scritto le iene dei giornali a proposito del risultato di Tania Cagnotto e di Francesca Dallapè.
A dirla tutta, non c'è peggiore tossicità dell'adrenalina, quella per cui non puoi fare a meno di correre (in tutte le possibili accezioni) e che poi non è tanto diversa dal delirio di onnipotenza del potere. Per uscire da questo incubo dovremmo imparare a vivere una vita buona, capace di contemplare la bellezza, e per questo di indignarci quando qualcuno vorrebbe farne motivo di interesse personale.
di Ugo Morelli
(Editoriale apparso sul Corriere del Trentino il 13 luglio 2012)
La distanza tra cittadini e potere e la crisi , dei processi partecipativi sono tra i fenomeni più problematici del nostro tempo. Confrontarsi su questi temi, che interessano anche i livelli locali, risulta ai più persino noioso. É però uno degli atti più necessari, essendo vero tra l'altro che gli intellettuali esprimono, nella maggior parte dei casi, un silenzio assordante 0 formulette appaganti quanto soporifere come la liquidità 0 la celebrazione dell'incertezza.
Circa quarant'anni fa, grazie alla passione educativa di due grandi maestri, Achille Ardigò e Augusto Palmonari, ho potuto studiare due libri: La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, di Jurgen Habermas, e Pragmatica della comunicazione umana, di Paul Watzlawick e colleghi. Il confronto serrato in quegli anni di studio, quindi, era proprio sulla crisi dei processi decisionali e partecipativi da un lato, e sui vincoli nonché le possibilità della comunicazione umana, dall'altro. Si coglieva con evidenza fin da allora l'insieme dei problemi che il direttore di questo giornale e Michele Nardelli hanno posto nei giorni scorsi.
(12 marzo 2014) Oggi si conclude il mio mandato di presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Un'esperienza molto bella ed intensa della quale vorrei ringraziare le molte persone che, con il loro impegno e intelligenza, l'hanno resa possibile. Il bilancio di cinque anni di lavoro lo potete trovare su questo sito. Ho provato a sintetizzarne il significato in questo breve scritto.
di Michele Nardelli
Un marinaio genovese del XVI secolo che diviene “Sinan kapudan pascià”, il fiulin “vegnì gio con la piena” nella Milano degli anni '50 che “tacà sul respingent” di un tram scopre un mondo senza limiti, il poeta maledetto che intravede in una delle sue “illuminazioni” quel che sarebbe accaduto con l'industria della morte nel “tempo degli assassini”.
Tre immagini fra le tante, attraverso le quali abbiamo proposto una originale declinazione di quelle parole – pace e diritti umani – che nella foschia di questo tempo strano hanno smarrito il loro significato e la loro capacità di comunicare.
(10 luglio 2012) Domenica scorsa 8 luglio, con un suo editoriale, il direttore del Corriere del Trentino Enrico Franco si interrogava sulla necessità di riconnettere istituzioni, politica e società civile. Un tema di grande rilievo sul quale ho scritto questo commento oggi pubblicato sul medesimo quotidiano.
di Michele Nardelli
L'editoriale di domenica pone il tema del dialogo fra i cittadini, la politica e le istituzioni, in un tempo nel quale sembrano piuttosto prevalere gli anatemi. La politica vive di dialogo, scrive Enrico Franco, e mi trovo d'accordo.
Per il dialogo servono anzitutto due cose. La prima è saper ascoltare. La seconda è aver qualcosa da dire. Per la verità ci sono anche altri aspetti, come ad esempio la disponibilità a mettersi in gioco e a cambiare, oppure la consapevolezza che nella vita di ognuno di noi ci sono stagioni diverse che dovrebbero predisporci alla bellezza del passare la mano, concetto piuttosto diverso da quel "rottamare" che considero l'odioso prodotto di un tempo usa e getta. Ma il discorso si farebbe troppo lungo.
(17 giugno 2012) Che cosa accade se in Grecia vince Syriza? Non conosco abbastanza bene questo partito-coalizione (se non per la sua storia legata al Forum sociale europeo) per poter esprimere un'opinione ponderata. Ma in cuor mio spero che ce la faccia.
Devo dire che non mi è piaciuto affatto il terrorismo psicologico che si è fatto in nome della stabilità e del mantenimento degli accordi con la BCE e con l'Unione Europea. E al tempo stesso spero maturi in quell'ambito politico un pensiero che vada oltre la difesa degli interessi delle categorie sociali che si sentono minacciate dai tagli imposti dai
burocrati del pensiero unico.
L'idea che i patti lacrime e sangue imposti alla Grecia possano essere rinegoziati, non mi pare affatto fuori dal mondo. Vorrei pensare alla Grecia come ad un laboratorio politico, economico e sociale che prova a seguire un'altra strada, fatta certo di rigore e di austerità, ma anche di fantasia e di piena valorizzazione di ciò che quel paese rappresenta sotto il profilo storico, culturale, ambientale, turistico... ovvero economico,
considerato che tutto ciò può rappresentare un elemento di grande unicità e dunque condizione per una propria forte identità economica.
E il debito? Direi che si potrebbe rovesciare lo sguardo. Tutta l'Europa deve molto alla Grecia. Si tratta della culla della civiltà occidentale verso la quale abbiamo un debito immenso. E' irragionevole che l'Europa se ne faccia carico - in una condizione straordinaria come quella attuale - per azzerare/colmare/rinegoziare il debito? Perché verso questa parte d'Europa che, non dimentichiamolo, ha subito più di altre gli effetti del Novecento (per responsabilità della Germania, dell'Italia e da ultimo degli Stati Uniti) non si possa mettere in campo un piano eccezionale dove sia la politica, e non i banchieri, a dettare le regole? Perché non dare una chance alla Grecia nell'attivare un progetto fondato sulla ricchezza di quel paese e sulla motivazione delle sue risorse umane?
La Grecia è un paese di poco più di 11 milioni di abitanti, poco più del 2% della popolazione dell'Unione Europea. E' mai possibile che il pensiero della Commissione o dei capi di stato e di governo dei 27 sia così arido da non immaginare che per un paese come la Grecia non si possa mettere in atto un piano di aiuti che non rappresenti una spada di Damocle sulla sua popolazione? Il debito pubblico della Grecia ammontava nel 2010 a 329 miliardi di euro. Non è una sciocchezza, certo, ma nemmeno una cosa insormontabile se pensiamo che il debito dei paesi della zona euro era nello stesso anno di 7.822 miliardi.
O qualcuno ha paura che questo possa aprire gli occhi ad una opinione pubblica (e ad una politica) talmente subalterna al pensiero unico della finanza globale da nemmeno immaginare una strada di azzeramento dell'immenso casinò nel quale siamo tutti finiti?
Mentre scrivo questi appunti, gli elettori greci decidono del loro destino, ma in un contesto europeo e in un tempo interdipendente il loro voto ci riguarda. Per questo mi auguro che Syriza vinca le elezioni e che si apra in quel paese (e in Europa) una stagione davvero nuova perché capace di fantasia e di responsabilità.
(4 giugno 2012) Nella rete in questi giorni girano centinaia di messaggi. In una quantità preoccupante di espressioni violente e volgari, ogni tanto si trova anche qualche pensiero. In questo caso una riflessione di Giorgio Rigotti sullo spirito del tempo che mi sembra utile riprendere.
Le sensazioni/sollecitazioni del Festival dell'economia si intrecciano con l'inquietudine del malsano attacco al Forum per la pace, e con la vita.
Lo spirito del tempo è confuso. Mille ipotesi di malattia e per ognuna mille ipotesi di cura risolutiva. Ma non come turbinio di intelligenze che si confrontano, come parzialità che non si interconnettono. Soggettività senza sintesi, ma neanche prospettiva e senso comune. Le opinioni volteggiano in cielo in cerca di sponsor appetibili. L'unica cosa certa: non disturbare i medici.