Editoriali

Intorno alla politica e ai privilegi
Lupo

di Michele Nardelli

Questo articolo è uscito oggi come editoriale del quotidiano L'Adige

(20 settembre 2012) Il Consiglio Regionale del Trentino Alto Adige - Sud Tirolo ha votato la nuova legge sulle indennità dei consiglieri regionali. Una riduzione significativa dell'indennità lorda, l'abolizione della diaria, un tetto massimo alle spese, un taglio sullo stipendio netto nell'ordine del 10% che a cascata riduce le indennità per la giunta e gli uffici di presidenza, che va ad aggiungersi alla sterilizzazione di ogni aumento automatico già realizzata nel corso di questa legislatura e all'abolizione dei vitalizi operata nel corso della passata legislatura ed entrata in vigore con questo mandato consiliare. Un intervento legislativo atteso, frutto di una difficile mediazione che ha visto convergere tutte le forze politiche. Con questo provvedimento, i consiglieri provinciali e regionali del Trentino Alto Adige - Sud Tirolo avranno a partire dal 2013 le indennità più contenute rispetto ad ogni altra regione italiana, oltre ad essere l'unica Regione ad aver già esecutiva l'abolizione dei vitalizi.

Mi pare oltremodo significativo che ciò avvenga in una Regione dove in capo alle Province Autonome di Trento e Bolzano figurano competenze di autogoverno particolarmente ampie, il che comporta un impegno legislativo e amministrativo ben superiore ad ogni altra istituzione di pari livello sul territorio nazionale.

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Specialità e federalismo
Biodiversità

di Michele Nardelli

(8 settembre 2012) Il Presidente Giorgio Napolitano si incontra con quello austriaco Heinz Fischer nell'anniversario dell'Accordo Degasperi Gruber e in un momento molto particolare della storia dell'autonomia. L'incontro ha in sé un valore evocativo di un passaggio tanto delicato quanto lungimirante nella soluzione del conflitto sudtirolese. A cui corrispondono parole importanti a tutela della specialità.

Ignari della delicatezza della questione e della pesantezza delle loro parole, gli esponenti veneti del centrodestra e della Lega si scagliano contro l'accordo Degasperi Gruber (e l'autogoverno che ne viene) che considerano un privilegio ingiustificato, facendo emergere in questo tutta la loro incultura politica.

Ciò che oltretutto non capiscono è che la specialità non è in alternativa alla riforma in senso federalista dello Stato Italiano, che invece proprio da qui dovrebbe partire per comprendere come l'autogoverno sia una delle condizioni per affrontare la crisi e governare al meglio questo paese. Perché autogoverno significa coesione sociale e cultura della responsabilità, ingredienti decisivi per vincere la sfida di questo passaggio di tempo.

L'Italia ha una straordinaria ricchezza che sono le sue diversità regionali, la loro storia e un patrimonio artistico ed archeologico unico al mondo, la posizione geografica e l'attraversamento che ne ha plasmato le identità culturali, la bellezza del territorio, il valore dell'agire umano nel suo rapporto con la terra e i suoi prodotti. E davvero non conosco regioni povere. Semmai impoverite, dallo smarrirsi delle loro identità e dall'assistenzialismo che ne ha minato l'orgoglio. E il cui riscatto non può venire che dall'autogoverno.

La riforma in senso federale dello Stato deve partire dai territori e dalla capacità di darsi nuove classi dirigenti che amino la loro terra. E da un governo nazionale consapevole che le sfide del tempo si vincono solo insieme ai territori, non loro malgrado.

Un pensiero di solidarietà alla Sardegna
Pane carasau

di Michele Nardelli

(1 settembre 2012) Amo la Sardegna, la sua gente, la letteratura che ne è venuta, i luoghi d'incanto che ti sa offrire, i suoi sapori. La Sardegna è un'isola ricca di ambiente, storia, cultura, tradizioni. Malgrado ciò la Sardegna è in profonda sofferenza.

La protesta dei minatori del Sulcis che difendono nelle viscere della terra quel disgraziato lavoro, i lavoratori dell'Alcoa che si aggrappano ai loro impianti siderurgici, i pastori che non vedono riconosciuto il valore del loro lavoro, i contadini che nemmeno raccolgono più l'uva pregiata che produce il Cannonau o il Carignano tanto poco viene loro pagata... sono i segni disperati di come questa terra sia stata violentata, sfruttata, avvelenata e buttata via da un modello di sviluppo insostenibile.

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La primavera inascoltata
Gelsomini

di Michele Nardelli

L'attentato di ieri a Bengasi ci dovrebbe far riflettere sulla nostra incapacità di leggere gli avvenimenti. E di quanto poco la politica e le istituzioni hanno saputo o voluto ascoltare la primavera. La sua militarizzazione, esito combinato di apparati di potere che non conoscono altro linguaggio che quello delle armi e di una politica internazionale che altro non ha saputo fare che intervenire con i bombardamenti (nel caso della Libia) o armando l'opposizione (nel caso della Siria), ha letteralmente spazzato via la vera peculiarità (e la vera forza) della primavera araba, ovvero il suo carattere nonviolento.

La primavera è riuscita ad imprimere un processo di cambiamento per il semplice fatto di esserci. Migliaia di persone in strada, milioni di parole attraverso internet, pensieri finalmente sottratti alla paura, hanno cambiato questa parte del Mediterraneo anche quando non hanno preso il potere, ma per il semplice fatto di imporsi come processo ineludibile che ha attraversato le società, la politica, le istituzioni.

Laddove è prevalsa la militarizzazione, vincono invece i dittatori, i signori della guerra, al-Qaida. L'esito è la guerra e il terrorismo, l'esodo di migliaia di persone, il fondamentalismo e la scomparsa di quell'agorà che sono state le piazze ed il fiorire di un dibattito politico prima impensabile. Il tenere aperte le contraddizioni, non chiuderle.

Perché così dovremmo leggere la primavera. Non la bacchetta magica che trasforma le dittature in democrazie, ma la capacità di mettere in moto processi partecipativi, idee, conflitti nella contraddittorietà dei contesti che non cambiano dall'oggi al domani, come se i regimi non avessero avuto consenso. Perché (dovremmo averlo imparato dal Novecento) non esistono dittature prive di consenso.

Scrivo queste righe perché la primavera ha attraversato e sta ancora attraversando tutto il mondo arabo, la mezzaluna fertile, la Turchia... anche se non ce ne accorgiamo. Tanto da averla già quasi rimossa. Forse perché le nostre percezioni riescono purtroppo solo a comprendere il linguaggio della degenerazione violenta dei conflitti. E la superficialità delle cose gridate in prima pagina.

Società dell'informazione e democrazia
Marco Poloni, Majorana Eigenstates, 2008

di Ugo Morelli

(14 agosto 2012) Le "norme per la promozione della società dell'informazione" proposte da Michele Nardelli e approvate dalla Provincia Autonoma di Trento creano le condizioni di un cambiamento che merita molta attenzione. La cibernetica, si sa, è la scienza del controllo e dell'ordine. L'informazione e la conoscenza sono la linfa vitale dell'economia, del funzionamento della società e del supporto a ogni decisione, oggi. Abbiamo non poche difficoltà a rendercene conto perché siamo immersi nella società dell'immateriale ma ancora densamente presi da una mentalità rivolta al materiale.

Oltre le considerazioni e i commenti di ordine tecnico ed economico sulla rilevanza decisiva della scelta normativa, può essere utile chiedersi quale sia una delle questioni cruciali per la riuscita e l'efficacia dell'applicazione della legge.

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Deliri
Mel Brooks in Frankenstein Junior

Le Olimpiadi sono una grande manifestazione di sport, cultura e di incontro fra le genti. Difficile non esserne coinvolti. Poi accade che un giovane acqua e sapone, figlio di una terra che fa del rapporto con la natura uno dei suoi messaggi promozionali, campione olimpionico a Pechino e lui stesso sponsor della salubrità dei prodotti del Sud Tirolo, venga pizzicato con il sangue pieno di Epo e casca il palco.

Come non provare tenerezza per questo giovane che nel vuotare il sacco si libera dal proprio incubo? Subito l'opinione pubblica si divide fra il partito dello scandalo, accozzaglia di ipocriti di fronte ad un mondo sportivo dove sono gli sponsor a dettar legge, e quello di chi cerca di comprendere il dramma umano di un ragazzo che ha sbagliato. Se dovessi scegliere non avrei dubbi, ma non è questo il problema.

Perché il problema sta a monte. Alex Schwazer ha dichiarato che non ne poteva più della marcia, degli allenamenti e di quel mondo che viveva come un incubo. E che desiderava una vita normale. Non vorrei sembrare offensivo ma la mia impressione è che la tossicità non c'entri più di tanto con l'eritropoietina ma piuttosto con quell'idea di sport che non ti dà tregua e ti disumanizza, dove non puoi arrivare dietro a qualcun altro per cui devi vincere per forza, dove se arrivi al quarto posto olimpico (cioè del mondo) hai fatto un "buco nell'acqua", come hanno scritto le iene dei giornali a proposito del risultato di Tania Cagnotto e di Francesca Dallapè.

A dirla tutta, non c'è peggiore tossicità dell'adrenalina, quella per cui non puoi fare a meno di correre (in tutte le possibili accezioni) e che poi non è tanto diversa dal delirio di onnipotenza del potere. Per uscire da questo incubo dovremmo imparare a vivere una vita buona, capace di contemplare la bellezza, e per questo di indignarci quando qualcuno vorrebbe farne motivo di interesse personale.

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Partecipazione e democrazia
Montecitorio

di Ugo Morelli

(Editoriale apparso sul Corriere del Trentino il 13 luglio 2012)

La distanza tra cittadi­ni e potere e la crisi , dei processi parteci­pativi sono tra i feno­meni più problematici del nostro tempo. Confrontar­si su questi temi, che inte­ressano anche i livelli loca­li, risulta ai più persino no­ioso. É però uno degli atti più necessari, essendo ve­ro tra l'altro che gli intellet­tuali esprimono, nella mag­gior parte dei casi, un silen­zio assordante 0 formulet­te appaganti quanto sopori­fere come la liquidità 0 la celebrazione dell'incertez­za.

Circa quarant'anni fa, grazie alla passione educativa di due grandi maestri, Achille Ardigò e Augusto Palmonari, ho potuto stu­diare due libri: La crisi della razionalità nel capitali­smo maturo, di Jurgen Habermas, e Pragmatica della comunicazione umana, di Paul Watzlawick e colleghi. Il confronto serrato in que­gli anni di studio, quindi, era proprio sulla crisi dei processi decisionali e parte­cipativi da un lato, e sui vin­coli nonché le possibilità della comunicazione uma­na, dall'altro. Si coglieva con evidenza fin da allora l'insieme dei problemi che il direttore di questo gior­nale e Michele Nardelli han­no posto nei giorni scorsi.

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Un modo diverso di declinare la pace
Trento, Teatro Sociale. Il Caffè Sinan Pascià

(12 marzo 2014) Oggi si conclude il mio mandato di presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Un'esperienza molto bella ed intensa della quale vorrei ringraziare le molte persone che, con il loro impegno e intelligenza, l'hanno resa possibile. Il bilancio di cinque anni di lavoro lo potete trovare su questo sito. Ho provato a sintetizzarne il significato in questo breve scritto.

di Michele Nardelli

Un marinaio genovese del XVI secolo che diviene “Sinan kapudan pascià”, il fiulin “vegnì gio con la piena” nella Milano degli anni '50 che “tacà sul respingent” di un tram scopre un mondo senza limiti, il poeta maledetto che intravede in una delle sue “illuminazioni” quel che sarebbe accaduto con l'industria della morte nel “tempo degli assassini”.

Tre immagini fra le tante, attraverso le quali abbiamo proposto una originale declinazione di quelle parole – pace e diritti umani – che nella foschia di questo tempo strano hanno smarrito il loro significato e la loro capacità di comunicare.

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Saper ascoltare. E avere qualcosa da dire.
Papaveri rossi

(10 luglio 2012) Domenica scorsa 8 luglio, con un suo editoriale, il direttore del Corriere del Trentino Enrico Franco si interrogava sulla necessità di riconnettere istituzioni, politica e società civile. Un tema di grande rilievo sul quale ho scritto questo commento oggi pubblicato sul medesimo quotidiano.

di Michele Nardelli 

L'editoriale di domenica pone il tema del dialogo fra i cittadini, la politica e le istituzioni, in un tempo nel quale sembrano piuttosto prevalere gli anatemi. La politica vive di dialogo, scrive Enrico Franco, e mi trovo d'accordo.

Per il dialogo servono anzitutto due cose. La prima è saper ascoltare. La seconda è aver qualcosa da dire. Per la verità ci sono anche altri aspetti, come ad esempio la disponibilità a mettersi in gioco e a cambiare, oppure la consapevolezza che nella vita di ognuno di noi ci sono stagioni diverse che dovrebbero predisporci alla bellezza del passare la mano, concetto piuttosto diverso da quel "rottamare" che considero l'odioso prodotto di un tempo usa e getta. Ma il discorso si farebbe troppo lungo.

L\'editoriale di Enrico Franco

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Il nostro debito verso la Grecia
Aristotele
di Michele Nardelli

(17 giugno 2012) Che cosa accade se in Grecia vince Syriza? Non conosco abbastanza bene questo partito-coalizione (se non per la sua storia legata al Forum sociale europeo) per poter esprimere un'opinione ponderata. Ma in cuor mio spero che ce la faccia.

Devo dire che non mi è piaciuto affatto il terrorismo psicologico che si è fatto in nome della stabilità e del mantenimento degli accordi con la BCE e con l'Unione Europea. E al tempo stesso spero maturi in quell'ambito politico un pensiero che vada oltre la difesa degli interessi delle categorie sociali che si sentono minacciate dai tagli imposti dai
burocrati del pensiero unico.

L'idea che i patti lacrime e sangue imposti alla Grecia possano essere rinegoziati, non mi pare affatto fuori dal mondo. Vorrei pensare alla Grecia come ad un laboratorio politico, economico e sociale che prova a seguire un'altra strada, fatta certo di rigore e di austerità, ma anche di fantasia e di piena valorizzazione di ciò che quel paese rappresenta sotto il profilo storico, culturale, ambientale, turistico... ovvero economico,
considerato che tutto ciò può rappresentare un elemento di grande unicità e dunque condizione per una propria forte identità economica.

E il debito? Direi che si potrebbe rovesciare lo sguardo. Tutta l'Europa deve molto alla Grecia. Si tratta della culla della civiltà occidentale verso la quale abbiamo un debito immenso. E' irragionevole che l'Europa se ne faccia carico - in una condizione straordinaria come quella attuale - per azzerare/colmare/rinegoziare il debito? Perché verso questa parte d'Europa che, non dimentichiamolo, ha subito più di altre gli effetti del Novecento (per responsabilità della Germania, dell'Italia e da ultimo degli Stati Uniti) non si possa mettere in campo un piano eccezionale dove sia la politica, e non i banchieri, a dettare le regole? Perché non dare una chance alla Grecia nell'attivare un progetto fondato sulla ricchezza di quel paese e sulla motivazione delle sue risorse umane?

La Grecia è un paese di poco più di 11 milioni di abitanti, poco più del 2% della popolazione dell'Unione Europea. E' mai possibile che il pensiero della Commissione o dei capi di stato e di governo dei 27 sia così arido da non immaginare che per un paese come la Grecia non si possa mettere in atto un piano di aiuti che non rappresenti una spada di Damocle sulla sua popolazione? Il debito pubblico della Grecia ammontava nel 2010 a 329 miliardi di euro. Non è una sciocchezza, certo, ma nemmeno una cosa insormontabile se pensiamo che il debito dei paesi della zona euro era nello stesso anno di 7.822 miliardi.

O qualcuno ha paura che questo possa aprire gli occhi ad una opinione pubblica (e ad una politica) talmente subalterna al pensiero unico della finanza globale da nemmeno immaginare una strada di azzeramento dell'immenso casinò nel quale siamo tutti finiti?

Mentre scrivo questi appunti, gli elettori greci decidono del loro destino, ma in un contesto europeo e in un tempo interdipendente il loro voto ci riguarda. Per questo mi auguro che Syriza vinca le elezioni e che si apra in quel paese (e in Europa) una stagione davvero nuova perché capace di fantasia e di responsabilità.

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Lo spirito del tempo
Festival dell\'Economia

(4 giugno 2012) Nella rete in questi giorni girano centinaia di messaggi. In una quantità preoccupante di espressioni violente e volgari, ogni tanto si trova anche qualche pensiero. In questo caso una riflessione di Giorgio Rigotti sullo spirito del tempo che mi sembra utile riprendere.  

Le sensazioni/sollecitazioni del Festival dell'economia si intrecciano con l'inquietudine del malsano attacco al Forum per la pace, e con la vita.
Lo spirito del tempo è confuso. Mille ipotesi di malattia e per ognuna mille ipotesi di cura risolutiva. Ma non come turbinio di intelligenze che si confrontano, come parzialità che non si interconnettono. Soggettività senza sintesi, ma neanche prospettiva e senso comune. Le opinioni volteggiano in cielo in cerca di sponsor appetibili. L'unica cosa certa: non disturbare i medici.

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Polvere
Polvere

(29 maggio 2012) Oggi il quotidiano L'Adige pubblica un articolo (che riportiamo in allegato) aspramente polemico con la scelta del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani di aver scelto di avvalersi di una collaborazione (con un contratto co.co.co. di 28 mesi per un importo netto mensile di mille euro) e con il fatto che tale scelta abbia riguardato Federico Zappini, persona che in passato è stata protagonista del centro sociale Bruno. Un articolo che ha suscitato polemiche (le interrogazioni delle opposizioni non si sono fatte attendere) e al quale hanno replicato in molti, dal presidente del Consiglio Dorigatti a esponenti del Forum che in questi mesi hanno apprezzato il lavoro di Federico. Quella che segue è la lettera che ho inviato come Presidente del Forum al direttore de L'Adige.

Al direttore del quotidiano "L'Adige" Pierangelo Giovanetti

Polvere. Se dovessi indicare con una parola questo nostro tempo, sarebbe proprio "polvere". Meno grave di quella sollevata dalle case che crollano, per fortuna. Ma altrettanto capace di annebbiare lo sguardo, di rendere tutto confuso ed indistinto, di impedire la messa a fuoco degli avvenimenti. Ancora più sottile ed insidiosa del fango, di cui peraltro è parente stretta.

La polvere è un ingrediente dell'antipolitica. Quest'ultima non è solo qualunquismo. E' qualcosa di più dello sparare nel mucchio "perché tanto qualcosa rimane", del dire che "tutti sono uguali" e che "la politica è cosa sporca".

L\'articolo su L\'Adige

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Perché accanirsi contro il Forum?
Il Cafè Sinan Pascià, a conclusione di Cittadinanza Euromediterranea

di Michele Nardelli

(1 giugno 2012) Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Se ne sta parlando con titoli di rilievo che mai aveva ricevuto fino ad oggi, nonostante un agire che prosegue ininterrottamente dal 1991 quando il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento decise con una votazione pressoché unanime (e il solo voto contrario del MSI) che la pace era troppo importante per limitarsi ad esibirla nelle ricorrenze o semplicemente gridata nelle piazze quando ormai si era perduta. Che dunque occorreva dotarsi di uno strumento permanente di studio, elaborazione e condivisione della cultura pace e dei diritti umani. Così, grazie alla Legge Provinciale n.11/91 "Promozione e diffusione della cultura della pace", nacque il Forum.

Fu quello un anno cruciale che cambiò il mondo. Trasformazioni che richiedevano anche a chi era impegnato sul terreno della pace di interrogarsi sulla natura delle "nuove guerre" per accaparrarsi il petrolio e per trasformare la fine dei regimi comunisti in un'occasione per insediare vecchie nomenclature e nuovi criminali. Occorrevano sguardi diversi, capaci di leggere queste trasformazioni e di non consegnare la pace a quelle cancellerie che conoscevano solo il linguaggio delle armi. Insomma, un nuovo pensiero e nell'arco di qualche mese in questa terra presero corpo il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e l'Unip, l'Università internazionale delle istituzioni e dei popoli per la Pace.

Realtà che hanno contribuito a fare diversa questa terra. Diventata non a caso un punto di riferimento della diplomazia parallela e della cooperazione di comunità.

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Italia: ecco le armi esportate da Berlusconi a dittatori e regimi autoritari
No F35: manifestazione all\'areoporto Caproni

di Giorgio Beretta, www.unimondo.org

(14 Maggio 2012) Quasi 127 milioni di armamenti per la "dittatura monopartitica" del Turkmenistan (tra cui elicotteri per uso militare, fucili d'assalto, lanciagranate e pistole della ditta Beretta già consegnati); oltre 99 milioni di euro di armi alla Russia di cui si sa solo di 10 autocarri protetti Iveco; una nave d'assalto anfibia da 416 milioni di euro all'Algeria; "prestazione di servizi" da parte del Ministero della Difesa alle Forze armate egiziane nel pieno delle rivolte popolari e oltre 30 milioni di armi destinate al "regime autoritario" del Gabon.

Sono solo alcune delle esportazioni autorizzate dal governo Berlusconi nel 2011 sulle quali il rapporto del Consigliere militare del presidente Monti ha steso un velo di silenzio. Ma che si scoprono spulciando le oltre 2500 pagine dell'intera Relazione consegnata al Senato l'8 maggio scorso che Unimondo presenta qui in anteprima. Andiamo con ordine.

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Voto amministrativo: c'è di che riflettere...
Tempo scaduto

(22 maggio 2012) Il voto per le elezioni amministrative ha dato il suo responso definitivo. Dopo i ballottaggi, su 26 città capoluogo 14 vanno al centrosinistra (fra cui Genova), 1 (Palermo) a IDV-SEL, 1 (Belluno) alle liste civiche, 1 (Parma) al Movimento Cinquestelle, 2 al centro, 1 (Verona) alla Lega, 6 al centrodestra. In otto città capoluogo il centrosinistra strappa l'amministrazione al centrodestra. La Lega Nord perde tutti e sette i ballottaggi in cui era impegnata.

Un risultato che indica una controtendenza rispetto al passato. Ma se il centrodestra non sta affatto bene, il centrosinistra non deve cantare vittoria. In primo luogo per il forte aumento dell'astensionismo dei cittadini, segnale che deve preoccupare. Se andiamo a vedere i numeri assoluti, tutti gli schieramenti hanno di che riflettere. In secondo luogo perché l'affermazione del partito di Beppe Grillo, con risultati a due cifre in molte città, è indice di un diffuso malessere e di una critica verso la politica che pure non è priva di giustificazioni.

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