"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Deliri

Mel Brooks in Frankenstein Junior

Le Olimpiadi sono una grande manifestazione di sport, cultura e di incontro fra le genti. Difficile non esserne coinvolti. Poi accade che un giovane acqua e sapone, figlio di una terra che fa del rapporto con la natura uno dei suoi messaggi promozionali, campione olimpionico a Pechino e lui stesso sponsor della salubrità dei prodotti del Sud Tirolo, venga pizzicato con il sangue pieno di Epo e casca il palco.

Come non provare tenerezza per questo giovane che nel vuotare il sacco si libera dal proprio incubo? Subito l'opinione pubblica si divide fra il partito dello scandalo, accozzaglia di ipocriti di fronte ad un mondo sportivo dove sono gli sponsor a dettar legge, e quello di chi cerca di comprendere il dramma umano di un ragazzo che ha sbagliato. Se dovessi scegliere non avrei dubbi, ma non è questo il problema.

Perché il problema sta a monte. Alex Schwazer ha dichiarato che non ne poteva più della marcia, degli allenamenti e di quel mondo che viveva come un incubo. E che desiderava una vita normale. Non vorrei sembrare offensivo ma la mia impressione è che la tossicità non c'entri più di tanto con l'eritropoietina ma piuttosto con quell'idea di sport che non ti dà tregua e ti disumanizza, dove non puoi arrivare dietro a qualcun altro per cui devi vincere per forza, dove se arrivi al quarto posto olimpico (cioè del mondo) hai fatto un "buco nell'acqua", come hanno scritto le iene dei giornali a proposito del risultato di Tania Cagnotto e di Francesca Dallapè.

A dirla tutta, non c'è peggiore tossicità dell'adrenalina, quella per cui non puoi fare a meno di correre (in tutte le possibili accezioni) e che poi non è tanto diversa dal delirio di onnipotenza del potere. Per uscire da questo incubo dovremmo imparare a vivere una vita buona, capace di contemplare la bellezza, e per questo di indignarci quando qualcuno vorrebbe farne motivo di interesse personale.

 

5 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da mauro cereghini il 13 agosto 2012 22:20
    Mi sono venute in mente in questi giorni le riflessioni di un altro sudtirolese famoso, Alexander Langer, sul motto olimpico CITIUS, ALTIUS, FORTIUS, sulla sua distorsione simbolica attuata dal mondo moderno, e sulla alternativa desiderabile del LENTIUS, PROFUNDIUS, SUAVIUS.
    www.alexanderlanger.org/it/145/1147
    Forse uno spunto per chi vuole rallentare almeno in estate...
  2. inviato da leonZio il 12 agosto 2012 13:31
    La tua mi semrba una buona analisi Michele, la condivido. L'idea della natura però cosi corretta e buona non mi convince poco: mi sembra più una proiezione umana. La natura sa essere molto più vile e spietata, più dell'uomo che si dopa e tradisce i valori di Decuberten (per me si scrive come si legge).
    Il paragonoe con la grande finanza mi sembra veramente ridicolo, i banchieri riducono sul lastrico milioni di donne e uomini speculando sulla loro vita, qui si tratta di uno che (come la maggioranza degli sportivi in gare internazionali) per stare ad alti livelli si è dovuto dopare e ha avuto un evidente crollo nervoso una volta che l'hanno sgamato. Quindi buona analisi (nel senso del lettino) anche per Schwazer, di buono c'è che lui ha i soldi per pagarsela, lo invidio. :-/
  3. inviato da Michele il 12 agosto 2012 10:18
    Ciao. Non è facile uscire dal tunnel della dipendenza, questo è il problema. Le forme della dipendenza sono molteplici, ma non ci sono solo le droghe o il gioco, c'è anche il successo o il potere. Riguarda il mestiere di vivere. Scriveva Fernando Pessoa: "Ogni uomo che meriti di essere celebre sa che non ne vale la pena".
  4. inviato da claudia il 12 agosto 2012 09:36
    Ciao. Scusa l´ignoranza: non faccio sport a livelli agonistici e vivo pure all´estero. Non ho nemmeno la tv. Ma la mia domanda é:
    ma se Schwazer non ce la faceva piú e non riusciva ad accettare una possibile sconfitta, non poteva semplicemente smettere di correre? Aveva una pistola puntata alla testa?
    No, perché, se la vediamo sotto questa ottica, allora possiamo dire che anche tutti i bancari che si sono giocati miliardi di euro durante la crisi erano vittime del sistema finanziario? ;-)
  5. inviato da stefano fait il 11 agosto 2012 12:33
    Se le Olimpiadi servissero a diffondere una cultura della sconfitta onorevole e matura forse Michele non sarebbe lì a doversi fare il mazzo per convincere la gente ad accettare ed apprezzare i nostri limiti. Sembra che al giorno d'oggi non
    si riesca a trovare il giusto mezzo tra la necessaria aspirazione a migliorarsi e migliorare le circostanze di vita altrui e l'altrettanto necessaria umiltà di chi constata ed accetta che non siamo i padroni del pianeta e i signori di chi dipende da noi o è meno forte di noi.
    In un mondo diverso Schwazer avrebbe accettato la sconfitta, come hanno peraltro fatto tanti altri atleti olimpici che sapevano di avere scarse chance di ripetersi. Dovrebbe essere nostro compito quello di costruire un mondo in cui Schwazer e ciascuno di noi non sia indotto a sbagliare e rovinarsi la vita.
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