"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Quella carovana, da rimettere in movimento

Il muro di Berlino e la Trabant

di Michele Nardelli

(21 ottobre 2012) Ale Pacher ha deciso di non ricandidare. Nelle scorse settimane me ne aveva parlato, condividendo con lui la fatica nel riconoscersi in una politica che ha smarrito i tratti di originalità e di ricerca che, pur da posizioni diverse, abbiamo contribuito a costruire nel corso di un arco politico avviatosi (almeno simbolicamente quella notte fra il 9 e il 10 novembre 1989) con la caduta del muro di Berlino.

In quelle straordinarie giornate che cambiarono il mondo, Achille Occhetto andò alla Bolognina e noi qui demmo vita a Solidarietà. Non era questione di sigle, cambiava lo sguardo sul mondo. Finiva la cosiddetta prima repubblica e con essa i partiti che l'avevano caratterizzata. Non finiva la storia, ma una storia certamente sì. Andò in pezzi anche la DC, il partito che aveva governato ininterrottamente l'Italia e il Trentino dal dopoguerra in avanti.

In Trentino prese corpo in quei mesi un percorso nel quale le appartenenze erano in gioco. Scegliemmo la strada del rimescolare le carte e trovammo su questo cammino altre soggettività disponibili a fare altrettanto. Grazie alla cultura autonomistica di questa terra, nacque qui - ben prima che in Italia - la Margherita. Un pezzo di mondo cattolico diede vita alla Rete. A sinistra - pur nella fatica di pensare/agire locale/globale - si mise in moto una carovana. Con passo lento, fra mille contraddizioni e nell'incertezza di pensarsi territoriali che ancora oggi ci portiamo dietro, abbiamo contribuito ad una stagione politica che ha rappresentato un punto di riferimento politicamente difforme in un nord segnato dallo spaesamento e dalla paura.

Credo sia giunto il momento che quella carovana riprenda il suo passo, nella consapevolezza che questo tempo richiede lo sguardo lungo dell'interdipendenza e quello profondo delle radici territoriali. E che il Trentino sappia confermarsi terra di sperimentazione politica originale.

 

6 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Michele Nardelli il 24 ottobre 2012 21:23
    Ciao Maurizio, che piacere. Sollecitato dalle tue parole, scrivo di getto questi pensieri, fra la passione che viene da una immutata inquietudine e il disincanto verso le miserie dell’uomo.
    Una vita fa scegliemmo una strada difficile e dolorosa (e non da tutti i nostri stessi compagni di allora condivisa), che ci portò a rimescolare idee e appartenenze nel nostro piccolo laboratorio politico locale. Quel rimescolamento ci permise di fare di questa nostra terra l’unica realtà dell’arco alpino non omologata alla deriva berlusconiana e allo spaesamento. Così “‘a nuttata”, da queste parti, l’abbiamo resa un po’ meno buia e, ti assicuro, non è stato cosa da nulla. Tanto che, se tornassi sui miei passi, rifarei in buona sostanza quelle stesse scelte.
    Uso il singolare perché se la ricerca di cui parlo fu collettiva, nel corso degli anni non esitammo a mettere in gioco la nostra stessa soggettività politica (Solidarietà) in processi più ampi nei quali ciascuno di noi ha portato il proprio bagaglio ma anche le sensibilità personali che nel frattempo avevano trovato mille rivoli di sperimentazione. Nel mio caso, in particolare, l’impegno e l’elaborazione sui temi dell’interdipendenza e del conflitto.
    Non la sola testimonianza, né la limitazione del danno di cui tu parli, dunque, ma la sfida di agire in mare aperto per condizionare in positivo questa nostra terra, in un processo di trasformazione che considero affatto esaurito.
    Negli ultimi anni il PD del Trentino è stato il luogo dove realizzare questo corpo a corpo (non esaustivo, per altro: se hai un attimo, prova a navigare i siti www.politicaresponsabile.it oppure www.balcanicaucaso.org o ancora www.forumpace.it ), mettendo in gioco (e in un certo senso in protezione) le idee, facendole diventare azione di governo. Sempre con la tensione politica di non considerare chiuso il processo di scomposizione e ricomposizione che avviammo in quell’ormai lontano novembre di ventitre anni fa.
    Se c’è una cosa di cui vado orgoglioso è che in tutto questo tempo non mi sono mai trovato nella condizione di rincorrere gli avvenimenti, cercando di abitarli e di ascoltare i messaggi che via via ci inviavano, dal vicino oriente alla guerra dei dieci anni, dalle insurrezioni per l’autogoverno alla messa in discussione dei paradigmi nazionali, dalle “locande del rancore” alle primavere… con lo sguardo strabico del pensare/agire - locale/globale.
    Disposto a cambiare e a tradire, piuttosto che ostinarsi a leggere la realtà cercando conferme di quel che già si andava pensando. E anche oggi, almeno con il pensiero, sono già oltre le attuali appartenenze, in una nuova sfida insieme territoriale ed europea ancora tutta da delineare.
    Questo per dirti, senza tirare il fiato, che ancora la meraviglia riesce a prevalere sul disincanto. Anche se devo dire che avverto ogni giorno di più un bisogno quasi fisico di passare la mano, che poi altro non significa che provare ad elaborare il proprio tempo.
    Che altro dire? Se passi da queste parti, fatti vivo. Il vino buono a casa mia non manca mai.
    Un abbraccio. Michele
  2. inviato da maurizio scarpa il 24 ottobre 2012 15:11
    Caro Michele
    Ci conosciamo da molti anni. Come sai non condivisi allora la scelta dei compagni trentini di dare vita a Solidarietà, e non perché non ci fosse l’esigenza di aprire nuovi laboratori di ricerca, ma perché allora come oggi, ritenevate definitamente superati i valori fondamentali di un’esperienza come quella del pensiero comunista. E non eravate i soli a pensarla così e ciò si aprì una diaspora verso i mille rivoli della politica.
    A questa conclusione arrivaste sovrapponendo la disastrosa esperienza del socialismo reale sovietico all’idea di modello sociale, economico, culturale che sorreggeva il pensiero marxista.
    Fu questo, in quegli anni, il pensiero dominante di una sinistra che è andata via via perdendo la propria identità. Solidarietà è l’organizzazione che ha sostituito Democrazia Proletaria trentina. Appunto solidarietà, uguaglianza coesione sociale sono i valori positivi di un nuovo modello di società e di sviluppo. Possiamo oggi, dopo quasi trent’anni, fare un bilancio almeno su un punto: sono compatibili, possono coesistere questi valori con il modello sociale ed economico capitalista? Parrebbe proprio di no, soprattutto dopo la fine dell’equilibrio basato sul terrore della guerra fredda.
    Il neoliberismo si nutre di competitività, egoismo, individualismo. Come diceva la Thatcher la società non esiste. Senza riaprire le grandi dispute ideologiche dei tempi passati, possiamo ritrovare un terreno comune “a sinistra” che abbia come locomotiva la valorizzazione del Lavoro, inteso non solo come fonte di reddito, ma come elemento centrale della società. Possiamo dire che non è la centralità dell’impresa e del profitto il collante della società ma al contrario la valorizzazione del Lavoro che non produce solo beni o servizi, ma uomini liberi e consapevoli del proprio ruolo sociale?
    Oggi ancor più che negli anni 90, la ricerca di un’alternativa è fondamentale. La crisi del sistema (e non solo in Italia), è così profonda che come sempre accade nella storia o c’è un salto in avanti o si arretra sprofondando nel baratro. I vent’anni trascorsi con l’avvento del Berlusconismo, variante burlesque del reaganismo/ tatcherismo, hanno dimostrato che una politica che si adopera solo alla limitazione del danno, ne ha solo prodotto la sua “rateizzazione” senza modificare il risultato finale. Personalmente ho molte domande e poche (o forse nessuna) risposta. Ma almeno porsi la fatidica domanda “che fare” è l’indispensabile inizio.
    Ciao, un abbraccio
    Maurizio Scarpa
  3. inviato da Stefano Battocletti il 22 ottobre 2012 11:42
    Non mi riferivo alla tua analisi, lucida come sempre... sto pensando a quello che accade nel PD, a Pacher che lascia, a Veltroni e chi altro che se ne vanno... una grande idea non dovrebbe morire così...
  4. inviato da Michele Oss il 22 ottobre 2012 11:39
    condivido grazie Michele !!
  5. inviato da Michele Nardelli il 22 ottobre 2012 11:38
    Non c'è nulla che non sia alla luce del sole. C'è un percorso che inizia vent'anni fa con il definitivo sgretolarsi del comunismo, che porta con sé anche la fine del Novecento e delle sue rappresentazioni politiche. C'è il tentativo di costruire una originale sintesi culturale e politica capace di far tesoro degli insegnamenti e delle tragedie del XX secolo, che richiede uno sguardo nuovo sul presente, nuove categorie interpretative e nuovi paradigmi. Ma invece cambiano i contenitori e non i contenuti. Cosi il processo si ferma. Quel che non si ferma, invece, è una realtà segnata dal neoliberismo che penetra in profondità nella nostra società. Qualcuno pensa che si possa cambiare semplicemente perché Berlusconi viene travolto dal suo cesarismo. Ma il cambiamento o avviene nella cultura e nei comportamenti diffusi oppure è solo di facciata. Cambiare, oltretutto è complicato. Richiede studio, elaborazione, ricerca di coerenza fra il pensiero e l'azione. La politica molto spesso preferisce rincorrere i destini personali, il consenso facile, il potere. Per questo, la fine di Berlusconi non è la fine del berlusconismo. E se il centrosinistra vuole governare questo paese deve cambiare. In altre parole, riprendere quel cammino avviato vent'anni fa. Se non sarà capace di farlo prevarranno i colpi di teatro, dopo Berlusconi... Renzi. Non un processo collettivo che ci aiuti a comprendere quel che è avvenuto in questo paese con la seconda repubblica, com'è cambiato e come siamo cambiati, ma l'alternanza. Ovvero, la continuità.
  6. inviato da Stefano Battocletti il 22 ottobre 2012 11:32
    Faccio un po' (a dire il vero molto) fatica a comprendere tutto questo...
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