"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
(5 giugno 2014) Qualche giorno fa uno sceicco del Qatar, intervistato a proposito della compravendita dei voti per l'assegnazione dei mondiali del 2022 all'emirato, rispondeva mostrando il suo orologio d'oro ed affermando che anche quello era un regalo. Voleva dire che l'ingraziarsi il sostegno è cosa normale e che è sempre stato così.
Nell'ascoltare quell'intervista il sentimento che dominava i miei pensieri era lo stupore, mi chiedevo che idea potesse avere costui non dico verso l'uguaglianza degli esseri umani ma semplicemente verso lo stato di diritto.
Dopo la prima reazione, riflettendoci un attimo, ho dovuto amaramente riconoscere come la realtà corrisponde più al pensiero dello sceicco che non ai miei valori. In fondo, la cultura del favore o dello scambio (anche quello politico, che non è necessariamente reato) è profondamente radicata anche nelle nostre moderne democrazie, se solo pensiamo al potere delle grandi lobby economico finanziarie nell'indirizzare le scelte dei governi, il pensiero dell'opinione pubblica, la stessa società civile.
Non ho mai creduto e ancora non credo al “grande vecchio”, penso che i processi di cambiamento possano essere reali e che in ogni sistema, anche quello più chiuso, ci siano le crepe dove agire per tenere aperte e fare evolvere le contraddizioni. Credo altresì che questo debba valere a maggior ragione per l'animo umano, nel quale gli istinti più aggressivi e la fascinazione del potere possano trovare contenimento.
Ma come stupirsi che, nel delirio del tutti contro tutti e nella mancata sedimentazione culturale (che è cosa diversa dal corso della giustizia nelle aule dei tribunali) dello stato di diritto, la gestione dei grandi appalti non produca lo scempio che stiamo vedendo per l'Expo di Milano o per il Mose di Venezia?
Sì, fa specie che persone di cultura democratica e non certo indigenti come il sindaco di Venezia – fatto salvo il principio di presunta innocenza – siano coinvolte in prima persona in quello che sembra configurarsi come un vero e proprio sistema del malaffare. Ma in un mondo dove la finanza annichilisce l'economia reale e i derivati mettono sul lastrico milioni di esseri umani, queste vicende non sono che l'esito tutto sommato prevedibile dell'enorme ipocrisia seguita alla fine di una storia che ancora non abbiamo saputo elaborare. Nella considerazione che si può perdere senza per questo necessariamente smarrire la propria lucidità.
Quella lucidità che ci potrebbe aiutare nel costruire approcci culturali e ricercare gli strumenti affinché a tutto questo si possa mettere le briglia. Dovrebbe essere il ruolo della politica, purché questa non sia parte del problema.
PS. Lo stesso si potrebbe dire per la realizzazione del Mose, un'opera particolarmente costosa e della cui inutilità sono convinti larga parte dei veneziani, specie se proseguirà l'accesso delle grandi navi al Canal Grande.
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