«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene

Pace e diritti umani

Cinque per cento in armi… Forse “solo un dio ci può salvare”
La potenza del denaro

di Marco Revelli *

(10 luglio 2025) Il cinque per cento del PIL!!! Quando al vertice NATO dell’Aja del 24 e 25 giugno il Segretario Generale dell’Alleanza Mark Rutte ha sparato quella cifra iperbolica, in molti hanno pensato che fosse una sorta di scherzo, come dire? Un corollario dell’imbarazzante messaggio grondante servilismo da lui indirizzato, la vigilia, a Donald Trump, da prendere come la captatio benevolentiae di un maggiordomo zelante priva di valore reale. Un grido nel buio per confermarsi di esistere…

Quella percentuale corrisponde a una cifra terrificante: quasi un trilione di euro. Mille miliardi che ogni anno i Paesi europei aderenti alla Nato si impegnano a spendere dal 2035 per il settore militare . Un malloppo che fa impallidire il già mostruoso ReArm Europe di Ursula von der Layen. E che costituisce più del triplo dell’attuale spesa militare dei Paesi UE consistente in circa 330 miliardi, mica poco dal momento che già ora(!) rappresentano il doppio della spesa militare russa, la quale nel 2024, in piena guerra con l’Ucraina, non ha superato i 150 miliardi.

Nazionalismi e pulizia etnica in Bosnia Erzegovina (Prijedor 1990-1995)
la prima di copertina del libro

Presentazione del saggio di Simone Malavolti «Nazionalismi e "pulizia etnica" in Bosnia Erzegovina (Prijedor 1990-1995)», Pacini Editore, 2024

 

Martedì 1 luglio 2025, ore 20.00

Mori (TN), Oratorio parrocchiale, Via G.Battisti

Un incontro dedicato alla storia e alla memoria di uno dei capitoli più drammatici della dissoluzione jugoslava. Prijedor, teatro di atrocità negli anni ‘90, diventa il centro di un’analisi che intreccia ideologia, violenza, media e geopolitica.

Prijedor, cittadina bosniaca di quella che un tempo era la Jugoslavia, sale alla ribalta della cronaca internazionale per le terrificanti immagini dei corpi emaciati dietro il filo spinato di un campo di concentramento. È solo la punta dell’iceberg di un progetto iniziato con l’occupazione militare della città da parte dei nazionalisti serbi nella notte del 30 aprile 1992.

Un’escalation di violenza di massa che provocherà la fuga e la deportazione di migliaia di cittadini, l’internamento di 5.000 persone, l’uccisione di oltre 3.000 individui, la distruzione di interi villaggi e l’imposizione di una memoria pubblica unilaterale e negazionista.

 

Introduce e modera

Edvard Cucek, Gruppo Bosnia Mori – Brentonico

Intervengono

Simone Malavolti, autore del libro

Edin Ramulic, ricercatore e Attivista di "Jer me se tie" (Perché mi riguarda) Prijedor (BiH)

Michele Nardelli, scrittore, già presidente del Forum Trentino per la pace e i diritti umani

Ali Rashid, il suo ultimo messaggio e quell'ulivo che brucia
Ulivo che brucia in Palestina

Ali Rashid, il mio amico Ali, mio fratello Ali, non è più fra noi. Il suo cuore malandato si è fermato, non ce l'ha fatta a reggere oltre il dolore di una terra, la Palestina, per la quale aveva speso una vita.

Qualche giorno fa Ali mi aveva inviato le immagini di un ulivo millenario che bruciava da ore alimentato dal vento, anch'esso vittima designata della tragedia che si andava consumando nella Mezzaluna fertile per togliere di mezzo, con il genocidio della sua gente, anche le tracce della sua storia.

Quell'immagine rappresentava, non so quanto inconsapevolmente, il suo ultimo atroce messaggio, un editoriale senza parole perché tutte quelle possibili erano già state consumate. Il mio dolore è grande, caro Ali, alleviato solo dall'immaginare che il tuo corpo stanco ha finalmente trovato pace. 

 

§§§

 

Riporto la riflessione che Ali scrisse mesi fa di fronte al nuovo tragico capitolo di una guerra infinita nella sua terra.

 

Eppure una volta eravamo fratelli.

di Ali Rashid

(un numero insopportabile di morti fa) Corre il tempo e cambiano le idee, i concetti fondamentali e i significati. Come fosse arrivato a compimento la negazione di ogni valore! Dio è morto. Viva l’eroica morte, giusto l’annientamento del “nemico”. Dilaga il nichilismo e trionfa la tecnica.

Vivono in me i racconti di mio nonno. Andava a Safad in Galilea per comprare un fulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita all'inquisizione in Portogallo, avevano imparato la tessitura della seta dagli arabi in Spagna.

Mi ricordo di Khaiem, socio di mio nonno in una cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica, ma continuò a mandare alla nostra famiglia in esilio la parte del guadagno dell'impresa finché non morì.

Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello negli Stati Uniti, un mio caro e stimatissimo zio una settimana fa a New York, mentre la salma di mio nonno giace in un anonimo cimitero di Amman.

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Ridurre alla fame, quella forma di genocidio che uccide tutti noi
da Altreconomia

 

di Nicoletta Dentico*

Da Gaza allo Yemen fino in Sudan: l’assenza di viveri divora milioni di persone. E svela le nostre ipocrisie sui diritti umani. Dalla rubrica di Nicoletta Dentico su Altreconomia

Fame è una parola ambigua, impersonale eppure materica. Un processo di lotta del corpo. In queste settimane la pronunciamo per denunciare il genocidio impunito che si mangia i bambini a Gaza, sotto gli occhi del mondo.

La parola è buona anche per i conflitti oscurati: vale per il Sudan, dove il congelamento dei fondi umanitari americani ha smantellato l’80% delle cucine comunitarie mettendo sotto scacco la vita di due milioni di persone, esposte alla penuria di cibo più grave e diffusa al mondo. Vale per lo Yemen: in nove anni di conflitto la fame qui si è incistata come una piaga cronica, mentre i tagli all’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid) hanno chiuso il programma per identificarne i focolai più gravi tra i bambini.

 

 

2 giugno, che ridicole parate. La vera patria oggi è Gaza
matite per la Palestina

di Tomaso Montanari *

 

 

Mio Dio, prendi tutto | e lasciaci vicino al nostro mare

qui | vicino alle tombe dei nostri cari | qui | e alle nostre case qui.

Non ci assentiamo, | rimarremo vicini.

Prendici se vuoi… lasciaci se vuoi | quando vuoi, come vuoi

non siamo lontani dall’occhio del tuo cuore |oppure…,

oh, Dio, | sii la nostra muraglia:

non sfuggiremo, quando scenderà la notte, | alla nostra morte.



Mai come in questo 2 giugno 2025 ci sente remoti da una Repubblica che dovrebbe ripudiare la guerra, ma ancora festeggia la sua Costituzione facendo sfilare i carri armati sulla via fascista dell’impero coloniale. Se il linguaggio tronfio e grottesco del potere appare di questi tempi ancora più ripugnante, è quello della poesia a restituirci dignità.

Perché, come scrive Franco Marcoaldi nella sua ultima, mirabile raccolta poetica (Una parola ancora, Einaudi): “L’unica cosa buona dell’assoluto | caos in cui siamo finiti | è la misera fine dei pigri | cliché dei tempi andati: il Bene, | il Male, la Patria, l’Occidente. | Parole passe-partout che ormai | non aprono piú niente. Parole | cieche, sorde, disossate. Buone | soltanto per tornei, marce, | caroselli, ridicole parate”. Semmai qualcosa è capace di ridare un senso a quelle parole vuote non si trova certo dalle parti della ripugnante parata del 2 giugno, no. Ma semmai a Gaza: dove il Male è visibile, a occhio nudo. E dove perfino la parola ‘patria’ può recuperare un senso.

Fermiamo l’eccidio di Gaza, fermiamo il piano Netanyahu
Il manifesto dell'iniziativa

Contro genocidio e occupazione, per l'autodeterminazione palestinese, per il rispetto del diritto internazionale e umanitario

 

Presidio

Sabato 10 maggio 2025 - ore 17.30

Trento, Piazza Loderon

 

Il piano approvato dal Consiglio di Sicurezza del Governo israeliano che prevede l’invasione, l’occupazione e l’annessione della Striscia di Gaza ad Israele, con la deportazione e l’espulsione della popolazione palestinese, viola i più elementari fondamenti del diritto internazionale e umanitario e darà vita a nuove violenze, guerre e potrà condurre solo a una ulteriore destabilizzazione della regione mediorientale.

Ci rivolgiamo al Presidente della Repubblica, al Governo, al Parlamento italiano, alle istituzioni europee e internazionali affinché agiscano con immediatezza, mettendo in campo ogni strumento politico, diplomatico e di pressione economica nei confronti del governo di Israele per chiedere di fermare immediatamente questo piano di occupazione e deportazione del popolo palestinese dalla propria terra.

«Gaza non esiste più: questo è genocidio»
Da Invictapalestina

Sabrina Provenzani intervista Amos Goldberg*, studioso dell’olocausto **

“Quello che Israele sta commettendo a Gaza è un genocidio”. Amos Goldberg è professore di Storia dell’Olocausto presso il Dipartimento di Storia Ebraica e Studi Contemporanei dell’Università Ebraica di Gerusalemme. “Mi sono avvicinato allo studio del genocidio perché credo che, studiandolo, possiamo comprendere meglio i pericoli e le minacce che affrontiamo come individui, società e culture. Mettiamo da parte l’Olocausto per un momento: quasi sempre i genocidi, per chi li perpetra, sono reazioni di autodifesa rispetto a una minaccia reale o immaginaria. Ora, ed è molto importante sottolinearlo: il 7 ottobre è stata una catastrofe. Un trauma profondo, un crimine atroce, che ha colpito persone a me molto vicine. Siamo rimasti tutti scioccati; l’abbiamo vissuta come una minaccia esistenziale. Non abbiamo nemmeno potuto elaborare il lutto. Ma anche quel crimine deve essere compreso – non giustificato – nel suo contesto: la Nakba, l’occupazione, l’assedio, l’apartheid… La risposta di Israele è stata completamente sproporzionata, e nessun crimine, per quanto atroce come quello del 7 ottobre, giustifica un genocidio.

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