«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene

Editoriali

Andare, restare, tornare? Un lessico per il Trentino di oggi e domani.
Foto Ottani

di Federico Zappini

(6 settembre 2025) Ogni città possiede ed elabora un proprio vocabolario. Gesti, luoghi, sentimenti, movimenti. C’è chi arriva, chi parte, chi resta. Perché si parte? Perché non lo si fa? E ancora, cosa serve ad una città per essere riconosciuta come luogo nel quale investire un pezzo della propria esistenza?

Questi interrogativi mi accompagnano da qualche tempo. Si sono rafforzati con l’ormai prossima partenza – direzione sud – di una carissima amica. Una studiosa di grande sensibilità, ricercatrice vivace e militante, compagna di riflessioni su politiche trasformative per le terre alte, cultura e welfare di prossimità, partecipazione civica e animazione comunitaria. La sua scelta mi ha colpito profondamente. Sul piano personale, certo, ma anche per un segnale più generale che mi sembra ci inviti a cogliere. Non “solo” una perdita individuale, ma una linea di faglia su cui ci muoviamo.

La cattivocrazia
da https://salto.bz/it

di Mauro Cereghini

Ci sono segni che spiegano più delle parole. La violenza, l'insulto, il bullismo che vediamo nei gesti politici contemporanei ci dicono di un tempo nuovo, in cui sono immersi tanto i leader quanto i loro governati. Il tempo della cattiveria.

(29 agosto 2025) Il presidente turco Erdogan ha sorriso leggermente quando, incontrando la Presidente della Commissione Europea von der Layen insieme al Presidente del Consiglio UE Michel, ne ha palesemente sminuito il ruolo politico sedendola defilata rispetto al collega maschio. Il ministro israeliano Gvir invece è apparso tronfio mentre illustrava le foto sulla distruzione di Gaza appese nei corridoi di un carcere. “I detenuti palestinesi le devono vedere tutti i giorni, uno di loro ha anche riconosciuto i resti della sua casa” – ha commentato compiaciuto, concludendo – “Così dev'essere”. Più esplicito ancora il presidente USA Trump all'inaugurazione del controverso centro di detenzione per migranti irregolari nelle paludi della Florida: “Gli alligatori come guardie costano poco”.

Il messaggio politico del terremoto urbanistico milanese
da Il passo giusto

di Riccardo Laterza *

(21 luglio 2025) Commentare una sentenza è già di per sé discutibile e complicato, figurarsi commentare quello che è soltanto l’avvio di un’inchiesta, della quale traspaiono di giorno in giorno elementi parziali sui giornali. Tuttavia, c’è un dato extragiudiziario evidente legato alle indagini sull’urbanistica milanese: queste hanno, intenzionalmente o meno, messo al centro dell’attenzione un dato politico che, al netto dei risvolti penali, era già ben noto a tutti: il modello di sviluppo milanese, quello che da alcuni è definito il “grande successo” del capoluogo lombardo, è non solo trainato, ma nei fatti interamente governato dalla speculazione immobiliare e dalle sue dinamiche, in larghissima parte slegate dall’andamento dell’economia reale e dalla ricerca di una risposta ai bisogni della maggioranza sociale di chi abita, o vorrebbe abitare, la città, a partire dal bisogno di avere un tetto sopra la testa.

Quella dell’“urbanistica facile” è, d’altronde, una vera e propria ideologia, che si è fatta largo nel senso comune dando per scontata una lettura della realtà tanto semplice e lineare, quanto falsa: la prosperità di un contesto urbano è determinata dalla facilità, da parte degli operatori privati, di realizzare sempre e comunque i propri investimenti; la realizzazione degli interessi di chi possiede i capitali coincide con l’interesse della città; è necessario attrarre gli investimenti, semplificare le procedure, agevolare le operazioni edilizie; qualsiasi regola, limite, obbligo, che si interpone tra l’interesse astratto dell’operatore privato e la sua realizzazione concreta, è perciò un ostacolo burocratico che va rimosso.

Emilio Molinari. L'amore per la vita e il genio dell'amicizia.
Emilio Molinari

«Benvenuta la vita». Con queste parole Emilio e Tina, più o meno tre settimane fa, hanno salutato l'arrivo nella nostra casa di Baloo, un cucciolo di pastore maremmano che vi ha fatto irruzione con la gioia di chi scopre la vita. Se c'è un'espressione che forse più di altre può dirci di Emilio Molinari, credo sia proprio questa, benvenuta la vita. Potrebbe sembrare banale, perché certamente Emilio è stato, nel suo impegno sociale e politico, tanto anzi, tantissimo altro. Ma nel suo percorso umano che pure si intreccia indissolubilmente con quello politico, questo tratto – la gioia di vivere – emergeva più di ogni altro. Nell'affrontare le sfide sempre nuove che gli si presentavano davanti, nella curiosità con la quale si apriva al mondo, nella sensibilità del rinnovare il pensiero come nel non arrendersi alle patologie che di volta in volta si è trovato ad affrontare. Emilio amava la vita come pochi. Ha attraversato il suo tempo con la voglia di esserci e insieme di comprenderne i segni.

Basterebbe percorrere il suo tragitto per comprenderlo. Emilio è stato parte di una generazione nella quale un perito industriale della Borletti poteva divenire classe dirigente. Minoranza politica, s'intende, ma capace di declinare la condizione operaia con la conoscenza dei processi produttivi, la vita reale con lo sguardo sul mondo. E di trasferire questo sapere fin dentro le istituzioni della sua città, la Milano a cavallo fra gli anni '60 e '70, quel «laboratorio unico che produsse l'autunno operaio più lungo e il conflitto sociale più ricco» dove «si mischiavano volontà di cambiare e serietà, ideali forti con moderazione e ordine, fede e bisogno di cose concrete, ragionate, non urlate, non banalizzate in frasi ad effetto...»1

leggi | 12 commenti - commenta | leggi i commenti
Ali Rashid, il suo ultimo messaggio e quell'ulivo che brucia
Ulivo che brucia in Palestina

Ali Rashid, il mio amico Ali, mio fratello Ali, non è più fra noi. Il suo cuore malandato si è fermato, non ce l'ha fatta a reggere oltre il dolore di una terra, la Palestina, per la quale aveva speso una vita.

Qualche giorno fa Ali mi aveva inviato le immagini di un ulivo millenario che bruciava da ore alimentato dal vento, anch'esso vittima designata della tragedia che si andava consumando nella Mezzaluna fertile per togliere di mezzo, con il genocidio della sua gente, anche le tracce della sua storia.

Quell'immagine rappresentava, non so quanto inconsapevolmente, il suo ultimo atroce messaggio, un editoriale senza parole perché tutte quelle possibili erano già state consumate. Il mio dolore è grande, caro Ali, alleviato solo dall'immaginare che il tuo corpo stanco ha finalmente trovato pace. 

 

§§§

 

Riporto la riflessione che Ali scrisse mesi fa di fronte al nuovo tragico capitolo di una guerra infinita nella sua terra.

 

Eppure una volta eravamo fratelli.

di Ali Rashid

(un numero insopportabile di morti fa) Corre il tempo e cambiano le idee, i concetti fondamentali e i significati. Come fosse arrivato a compimento la negazione di ogni valore! Dio è morto. Viva l’eroica morte, giusto l’annientamento del “nemico”. Dilaga il nichilismo e trionfa la tecnica.

Vivono in me i racconti di mio nonno. Andava a Safad in Galilea per comprare un fulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita all'inquisizione in Portogallo, avevano imparato la tessitura della seta dagli arabi in Spagna.

Mi ricordo di Khaiem, socio di mio nonno in una cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica, ma continuò a mandare alla nostra famiglia in esilio la parte del guadagno dell'impresa finché non morì.

Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello negli Stati Uniti, un mio caro e stimatissimo zio una settimana fa a New York, mentre la salma di mio nonno giace in un anonimo cimitero di Amman.

leggi | 20 commenti - commenta | leggi i commenti
2 giugno, che ridicole parate. La vera patria oggi è Gaza
matite per la Palestina

di Tomaso Montanari *

 

 

Mio Dio, prendi tutto | e lasciaci vicino al nostro mare

qui | vicino alle tombe dei nostri cari | qui | e alle nostre case qui.

Non ci assentiamo, | rimarremo vicini.

Prendici se vuoi… lasciaci se vuoi | quando vuoi, come vuoi

non siamo lontani dall’occhio del tuo cuore |oppure…,

oh, Dio, | sii la nostra muraglia:

non sfuggiremo, quando scenderà la notte, | alla nostra morte.



Mai come in questo 2 giugno 2025 ci sente remoti da una Repubblica che dovrebbe ripudiare la guerra, ma ancora festeggia la sua Costituzione facendo sfilare i carri armati sulla via fascista dell’impero coloniale. Se il linguaggio tronfio e grottesco del potere appare di questi tempi ancora più ripugnante, è quello della poesia a restituirci dignità.

Perché, come scrive Franco Marcoaldi nella sua ultima, mirabile raccolta poetica (Una parola ancora, Einaudi): “L’unica cosa buona dell’assoluto | caos in cui siamo finiti | è la misera fine dei pigri | cliché dei tempi andati: il Bene, | il Male, la Patria, l’Occidente. | Parole passe-partout che ormai | non aprono piú niente. Parole | cieche, sorde, disossate. Buone | soltanto per tornei, marce, | caroselli, ridicole parate”. Semmai qualcosa è capace di ridare un senso a quelle parole vuote non si trova certo dalle parti della ripugnante parata del 2 giugno, no. Ma semmai a Gaza: dove il Male è visibile, a occhio nudo. E dove perfino la parola ‘patria’ può recuperare un senso.

Ridurre alla fame, quella forma di genocidio che uccide tutti noi
da Altreconomia

 

di Nicoletta Dentico*

Da Gaza allo Yemen fino in Sudan: l’assenza di viveri divora milioni di persone. E svela le nostre ipocrisie sui diritti umani. Dalla rubrica di Nicoletta Dentico su Altreconomia

Fame è una parola ambigua, impersonale eppure materica. Un processo di lotta del corpo. In queste settimane la pronunciamo per denunciare il genocidio impunito che si mangia i bambini a Gaza, sotto gli occhi del mondo.

La parola è buona anche per i conflitti oscurati: vale per il Sudan, dove il congelamento dei fondi umanitari americani ha smantellato l’80% delle cucine comunitarie mettendo sotto scacco la vita di due milioni di persone, esposte alla penuria di cibo più grave e diffusa al mondo. Vale per lo Yemen: in nove anni di conflitto la fame qui si è incistata come una piaga cronica, mentre i tagli all’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid) hanno chiuso il programma per identificarne i focolai più gravi tra i bambini.

 

 

pagina 1 di 76

123456789101112Succ. »