"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Editoriali

Più resilienti dei ratti
dal blog https://adoraincertablog.wordpress.com/

di Francesco Picciotto

(1 aprile 2020) Figlio della mia formazione ambientale ed ecologica ho pensato per lungo tempo che il concetto di resilienza fosse un concetto esclusivamente positivo. L'idea che le comunità naturali, gli habitat, le specie, potessero reagire alle avversità recuperando, in tempi ragionevoli, salute ed equilibrio mi è sempre sembrata la via che Gaia ci indicava per dirci “ecco come si fa...imparate da me e nulla potrà farvi del male in maniera irreparabile”.

Poi ho capito che anche la resilienza stava diventando uno strumento pericoloso in mani di altri. Non ho capito bene cosa ne ha fatto la psicologia, ambito che non conosco e del quale quindi non mi sento di discutere, anche se la sensazione è che il termine in quel campo sia stato utilizzato in maniera esagerata almeno “quantitativamente” parlando.

So però, soprattutto grazie alla lettura di un libro, la sorte che è toccata alla resilienza quando si parla per esempio di cooperazione internazionale. Li il sistema è stato capace di imporre il proprio punto di vista passando da una situazione nella quale, magari maldestramente, si riusciva ad immaginare un mondo più giusto per raggiungere il quale bisognava dare a tutti le stesse risorse e le stesse possibilità ad un'altra situazione (nel tempo appunto della resilienza) nella quale il sistema si rende conto che su questo pianeta non ce ne è per tutti e invece di immaginare una rivoluzione dei consumi, un cambiamento dei sistemi produttivi e degli stili di vita, una (udite udite....che orrore!) decrescita felice, si immagina piuttosto che non è detto che “tutti possano e debbano farcela”. Così si tira fuori dalla manica la resilienza: “tu uomo o donna (meglio donna che dirlo fa figo!) di quello che non chiamo più terzo mondo (perché dirlo non fa più figo!) vuoi salire sul mio carro (ahimè sempre più stretto)? Allora devi dimostrare a me, secondo i miei parametri, che sei resiliente”. In sostanza devi dimostrarmi di essere capace di reagire positivamente ai disastri e alle vessazioni che i miei stili di vita reiterati ed imperituri hanno prodotto alla tua vita e al tuo ambiente e solo allora io ti garantirò uno strapuntino sul mio treno lanciato verso un futuro radioso.

Utopia quotidiana e necessaria
da https://pontidivista.wordpress.com

di Federico Zappini *

[Questa sera ho passato tre ore e mezza su Zoom, sia lodato!, per una riunione con altre trenta persone circa. Avevamo tempo – come tutti in queste settimane – e un lungo ordine del giorno da affrontare. E’ stato bello!]

In questi giorni sento un’urgenza totale – allo stesso tempo passionale e ansiogena – di Politica e di fare Politica. Un bisogno primario, un desiderio profondo, di confronto e azione condivisa che prende spinta (non inizia…) dentro quella che è una fase caotica e priva di certezze, se non quella che dovremo far fronte a trasformazioni di tipo epocale e mai viste nel nostro recente passato.

Andrà tutto bene, se…
Un salto di fede © Adtamo

di Federico Zappini *

Nell’ultimo pacco di libri che è arrivato e ho aperto in libreria – ormai due giorni fa, il prossimo sarà immagino tra diverso tempo – c’era Un’altra fine del mondo è possibile, scritto a sei mani (e una miriade di cervelli) da Pablo Servigne, Raphaël Stevens, Gauthier Chapelle. Non è un testo pessimista, anzi. Si trova nella collana Visioni, scelta editoriale lungimirante dell’Istituto Treccani. Una serie di volumi importanti, alcuni fondamentali.

Alcune cose si vedono bene solo con occhi che hanno pianto”. La citazione di Henri Lacordaire – illuminante – che introduce un ragionamento articolato che tenta di partire da dove siamo (sull’orlo di un precipizio, da prima della comparsa del Covid19) per metterci nelle condizioni di arrivare a un’altra fine, intesa non come tragedia ineluttabile ma come opportunità di attivarsi per un Mondo diverso e migliore. “Per ripensare il modo in cui vediamo il mondo, cioè l’essere nel mondo.” La chiamano collassosofia.

Stato di eccezione
Campo di Jesenovac

di Simone Casalini *

Il tempo della città è sospeso, scardinato. È saltata l’organizzazione interna, il metro unico che la regola, il moto perpetuo che cambia solo alle leggi dell’economia. Il “tempo vuoto e omogeneo” descritto da Walter Benjamin, modellato dal capitalismo, si è insabbiato. Si sono annullate anche le coordinate culturali, i diagrammi del pregiudizio che si espandono ora con altre direttrici. Nemesi del virus. Anche se i soggetti vulnerabili restano tali, ultimi anche nell’epidemia. Con il loro recipiente di pietà sempre più vuoto, accasciati lungo le vie del centro, o nella resilienza quotidiana di una disabilità o nella diagonale della precarietà e della massa, quella che non può rispettare le misure di sicurezza. La malattia conserva le gerarchie, non omologa.

L’emergenza sta generando, come è ovvio, visioni differite, binarie, contrastanti. “Nulla sarà più come prima” è un verdetto che si depone con facilità perché l’emozione è viva e pulsa. Ma, a parte la lacerazione della morte, è improbabile che il coronavirus spinga il sistema economico e sociale in un punto di caduta tale da rovesciarne gli addendi. Non è avvenuto nemmeno con la Grande crisi del 2008 che ha stimolato una manutenzione o poco più. E ora le imprese chiedono un Piano Marshall per uscire dal buio dell'isolamento e la politica offre pacchetti di resistenza che servono a mitigare la traversata nell’epidemia, a ricomporre lo status quo. Il Covid-19 non aprirà e non chiuderà un ciclo storico-economico.

La grande cecità
Stanley Kubrick. 2001: Odissea nello spazio

«Tempi interessanti» (100)

Che i tempi siano interessanti non c'è dubbio. Inquietanti pure. Evidenziano la fragilità del castello di carte sul quale si regge l'attuale ordine mondiale. Non solo per l'intrecciarsi delle crisi – ecologica, finanziaria, demografica, sociale, politica, morale – ma anche per lo svelarsi della fede nel veleno, di quell'insano meccanismo che, malgrado gli ammonimenti che nel tempo ci hanno messo in guardia rispetto ai limiti dello sviluppo, ci ha fatto credere nel mito moderno del progresso e che la scienza e la tecnica avrebbero comunque trovato le soluzioni alla sua insostenibilità. Rivelano altresì, per usare le parole di Luigino Bruni, un'immensa impotenza. «Abbiamo messo in piedi un sistema economico estremamente vulnerabile. Niente come un virus mostra che il re capitalista è nudo. Come sapeva già Keynes i piedi di argilla del capitalismo sono i sentiments e le emozioni della gente. I grandi strumenti, i potentissimi mezzi dell'economia e della finanza oggi non possono nulla. La mano invisibile si è totalmente inaridita e le voci dei suoi paladini zittite...»

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In medio stat virus
Biopolitica

di Marco Revelli *

Alla velocità della luce siamo arrivati a una sorta di ground zero. La decisione del Governo di trasformare l’intero Paese in un’unica “zona rossa” – di arrestare la vita sociale ed economica per salvare la vita biologica – ne è l’emblema. Nell’arco di meno di una settimana il mondo consueto in cui vivevamo si è rovesciato, e siamo regrediti, d’un balzo, a un grado zero non solo dell’attività – dei movimenti, del lavoro, della produttività – ma della relazionalità. E anche, vogliamo dirlo? della civiltà. E’ quanto accade quando repentinamente la politica si rivela come bio-politica. E più che le regole umanizzate della Polis valgono quelle elementari della sopravvivenza, del Bios. Il fatto che il provvedimento preso appaia al tempo stesso terribile e ragionevole – un ossimoro – ci dice quanto a fondo in effetti il male sia arrivato a toccarci “nell’osso e nella carne” (per usare le parole che nel libro di Giobbe il satana rivolge a dio), polverizzando d’un colpo ogni nostra consolidata abitudine. Ogni precedente “pensato” orientato alla convivenza civile in un “sistema sociale”, travolto dalle nuove – pre-umane, dis-umane – regole dei “sistemi viventi”.

Reinventare la Politica, insieme
da https://pontidivista.wordpress.com

di Federico Zappini

Provo a intervenire nel dialogo iniziato da Giuliano Muzio e dal direttore Paolo Mantovan sulle pagine de Il Trentino. Mi ha molto colpito il sondaggio proposto da La Repubblica nell’edizione di domenica. Un elettore su quattro si dice attratto dal “partito” delle Sardine. Lasciando da parte qualunque tipo di speculazione, è interessante interrogarsi sul significato della rilevazione statistica offerta da Ilvo Diamanti.

Che due settimane di mobilitazioni sanamente pre-politiche determinino un tale scostamento in termini di consenso – almeno potenziale – ci dice di un tessuto sociale frammentato e incerto, di un’opinione pubblica che reagisce in maniera adrenalica e scomposta a sollecitazioni che basano il proprio successo su quella che Anne-Cécile Robert chiama “strategia dell’emozione”. Una reattività umorale che mette in secondo piano – quando non lo esclude – il tempo necessario dell’analisi. E’ il primato della percezione. Il prevalere del “sentire” sul pensare, che prende il posto di un dialogo fecondo tra ragione e sentimento, di un vicendevole – e generativo – completamento tra le componenti fondamentali dell’essere umano.

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