"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Oggi è sabato, domani è domenica *

Inverno

di Michele Nardelli

(3 marzo 2018) Le previsioni del tempo indicano che lunedì prossimo ci sarà ancora pioggia e neve sopra gli ottocento metri. Insomma non potremo rifugiarci in una bella giornata di sole. Ma non preoccupiamoci più di tanto, malgrado l'esito elettorale avremo a che fare con lo stesso paese del giorno precedente.

Sarà ancora notte quando le prime proiezioni elettorali sullo spoglio ci forniranno una fotografia di questo paese, delle sue paure e del suo smarrimento. Del resto, per mesi gli istituti demoscopici hanno indicato le tendenze di voto degli italiani e non penso che l'esito si discosterà in fondo più di tanto, salvo forse per il risultato di qualche partito minore che potrà rappresentare una qualche sorpresa.

Tutto invece si giocherà sull'avvicinarsi o meno alla soglia del 40% da parte della coalizione di destra (non ho mai pensato a Berlusconi come ad un uomo di centro) o del Movimento 5 Stelle, tanto che Salvini si è augurato negli ultimi giorni della campagna elettorale che il PD non vada sotto il 22% perché questo potrebbe significare un forte spostamento di quell'elettorato verso i pentastellati.

Lo so, fare i conti senza l'oste è sempre un po' pericoloso ma è sufficiente annusare l'aria per comprendere più o meno come andrà. Avevo previsto la vittoria di Trump e il vento che viene dall'Europa del filo spinato non è poi molto diverso. Non mi stanco di dirlo ma “American first” non è diverso da “prima gli italiani” e nemmeno da quel tragico “Deutschland über alles” che un popolo colto e moderno adottò con fervore. Il passato non elaborato si ripete e il villaggio è globale.

In ogni caso, già così com'era questo paese non mi piaceva. Lunedì la fotografia sarà semplicemente più nitida. A quel punto misureremo se a sinistra sarà rimasta un po' di onestà intellettuale o se invece ci si rifugerà negli alibi, un po' come è avvenuto per il referendum del 4 dicembre 2016.

Mentre scrivo questa nota mancano poche ore al voto e non so che margini di spostamento elettorale ancora ci siano, né se qualcuno si aspetti da me una qualche indicazione. Dico subito che non ci sarà, almeno se con questo si intende la proposta di un segno concreto da mettere sulle schede elettorali. Credo che io stesso deciderò, posto che a votare ci andrò, all'ultimo istante.

Quello che invece ci tengo a manifestare, come del resto ho già cercato di esprimere su questo piccolo spazio personale di pensiero, sono le ragioni della mia distanza dalle rappresentazioni politiche che hanno dato vita ad una fra le più inguardabili campagne elettorali cui abbia mai assistito.

A cominciare da una legge elettorale perfida, per molti versi peggiore del “porcellum”. E non tanto per le ragioni critiche che ho letto ed ascoltato da più parti relative al fatto di non dare al paese un governo certo il giorno dopo le elezioni, opinione largamente diffusa ma che contraddice il carattere parlamentare (e non presidenziale) della Repubblica Italiana, ma perché rafforza il potere delle oligarchie di partito e la loro natura centralistica. Fatto oltremodo grave nel momento in cui i partiti esprimono il più alto grado di autoreferenzialità e quello più basso di popolarità. Non so quanti andranno o non andranno a votare, ma sin d'ora possiamo dire che la percentuale di rappresentatività reale dei partiti andrebbe su questa base pressoché dimezzata.

La mia distanza, dicevo. Non c'è nulla di umorale in questo sentimento di estraneità, quand'anche l'empatia «lungi dall'offrire un rimedio al disordine mondiale, sta al centro delle contraddizioni contemporanee ed è una lente essenziale per descriverle»1.

Una distanza che investe il merito delle proposizioni politiche, le idee (quando ci sono) e i programmi. Penso a come nessuno abbia detto in questa campagna elettorale che l'umanità (e con essa questo paese) vive al di sopra delle proprie possibilità (l'Italia consuma ogni anno 3,4 volte quel che i suoi ecosistemi riescono a produrre) e che quindi sarebbe necessario ridurre e riqualificare i propri consumi. Che il lavoro andrebbe ripensato (quantitativamente e qualitativamente) a partire da un diverso approccio con il tempo. Che prima viene la vita degli esseri umani, non quella degli italiani o dei trentini, perché quando nella storia si è iniziato a dire “prima noi” ciò ha rappresentato l'inizio del “male assoluto”. E perché l'umanità dei barconi è il risultato della nostra insostenibilità (e delle nostre guerre per darle continuità). Che in un mondo interdipendente lo sguardo deve essere sovranazionale, immaginando non l'Europa degli stati (e nemmeno gli Stati Uniti d'Europa) ma una Repubblica federale europea2 com'era nel disegno di Ventotene. Che la sicurezza andrebbe restituita al suo significato etimologico, il prendersi cura. Sì, il prendersi cura dell'ambiente, del lavoro, della salute, delle relazioni... in una parola della qualità del vivere. Che la pace non è l'esito della guerra e non si realizza attraverso il richiamo retorico ma con l'educazione al conflitto e alla sua gestione nonviolenta. Fini e mezzi non possono andare in direzione opposta, per cui se si vuole la pace bisogna smantellare l'industria bellica, ridurre drasticamente gli eserciti delegando la difesa ad un sistema europeo e ad un serio lavoro di prevenzione delle controversie internazionali. Che la conoscenza (e dunque la formazione e l'educazione permanente) è alla base della capacità di abitare un tempo di grandi rivolgimenti sociali, economici, scientifici.

In realtà, qua e là, qualche spunto lo possiamo trovare, ma è nel cambio di paradigma (ovvero in un pensiero complesso) che vorrei misurare la capacità della politica di dare le risposte che questo passaggio di tempo richiede.

E' chiedere troppo? Quando dieci anni fa decidemmo che la Carta dei valori del nascente Partito Democratico avrebbe potuto fornire uno spazio utile per dare cittadinanza alla nostra storia politica, credemmo possibile un sincretismo capace di coltivare questo cambio di paradigma. Ma di questa ricerca come di quella Carta si sono perse le tracce. Non è solo la mia opinione, è anche quella di chi allora curò la stesura di quel documento – il professor Mauro Ceruti – con il quale nei mesi scorsi mi sono incontrato nell'ambito del “Viaggio nella solitudine della politica”.

Non vivo sulla luna, almeno non ancora. Andrò a votare perché so bene che il fondo del barile non esiste e che non c'è un unico indistinto. Domenica mi affiderò alle quasi impercettibili sfumature, è forse questo l'ambito di promiscuità possibile. Senza per questo rinunciare a quell'inedito inizio attorno al quale con un po' di amici stiamo ragionando a fronte del crepuscolo di un sistema3. E che da lunedì si porrà con ancora più urgenza.

* Vinicius de Moraes, Il giorno della creazione. Dall'album “La vita, amico, è l'arte dell'incontro”, 1969

1Laura Boella, “Empatie”, Raffaello Cortina Editore, 2018

2Ulrike Guérot e Robert Menasse, il “Manifesto for the founding of a European Republic”

 

4 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Maurizio il 05 marzo 2018 22:49
    Grazie Michele. Ci serve per ricominciare.
  2. inviato da Stefano De Marco il 05 marzo 2018 22:47
    Come non essere d'accordo. In queste occasioni la "solitudine" che pratichiamo si fa sentire molto di più....
  3. inviato da Guido Lavorgna il 05 marzo 2018 22:45
    Condivido la tua riflessione e, come spesso accade in Italia, avverto l’aria che si respira quando si va a giocare una partita con il terrore di perdere e con la speranza di spuntarla per sorte (magari con un pareggio che vale la qualificazione). Oltre all’assurda legge elettorale siamo difronte a una “strategia” poco illuminata di contenimento del Movimento. Sul piano locale (ma non sembra un fatto isolato) le due coalizioni hanno accentuato le spaccature al proprio interno candidando fazioni opposte tra camera e senato. Risultato? Una campagna all’interno delle coalizioni mirata a consolidare posizioni post voto. Conosco sindaci o circoli di partito che hanno fatto campagna elettorale indicando (ad esempio) PD alla Camera e Forza Italia al Senato. Questo porterà più persone a votare come ha portato più persone a fare campagna elettorale. È triste ma d’altra parte in questi partiti non vedo donne e uomini capaci di - o semplicemente motivati a - pensare strategie diverse
  4. inviato da vincenzo il 03 marzo 2018 15:54
    caro Michele,
    ti scrivo dalla Luna, dove da tempo mi sono trasferito in spirito e dove ti aspetto. Mi sono preso una breve vacanza terrena candidandomi per il Senato con la lista Liberi e Uguali (ho fisicamente girato in lungo e in largo il collegio del Trentino orientale (a fianco della granitica Antonella Valer). Il pensiero ora torna ai fondamentali, teso ad immaginare l'Europa di domani, la "Repubblica di Ventotene" di cui tanto abbiamo discusso da mezzo secolo in qua. Non si tratta di una fuga in avanti: è l'unica strada, quella indicata dal pensiero federalista, che dovremo percorrere, tenendo ben saldi i principi fondamentali della nostra Costituzione. Ci vorranno partiti europei ben articolati nei territori (e il nostro è quello della Regione alpina dolomitica), metodi democratici, salvaguardia del patrimonio naturale. Urge costituire un partito regionale articolato sulle due provincie che raccolga tutte le voci della sinistra. A portare a "scendere dalla Luna" i tanti che come il sottoscritto si sono volontariamente ritirati sul nostro silenzioso satellite ci stanno pensando gli attuali detentori del potere, una compagnia di giro per la quale calza a pennello la definizione del poeta Arcadio Borgogno: "I è come quei baloni, che se 'ntriga a star per aria, non se sa en che modo pieni de boria, ma se i urta en ciodo, paf! na s-ciopada. E tuta la fadiga per farse bei, per finzerse zent seria, la casca en tera en te'na volta sola...".
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