"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Movimento disordinato. Equilibrio da trovare.

Movimento...

di Federico Zappini

(13 aprile 2018) Non c’è che dire. Neanche il tempo di segnalare – da parte del Presidente Ugo Rossi in persona – che i risultati delle elezioni politiche non avevano poi grande relazione per la situazione trentina ed ecco che proprio il contesto locale subisce una serie di scossoni.

Scricchiolano le coalizioni, quella di centro-sinistra in particolare. Si muovono, disordinatamente, i partiti. Fanno capolino, creando più o meno scompiglio, ragionamenti che richiamano alla discesa in campo di non meglio identificati pezzi di cittadinanza, non soddisfatti della proposta politica presente sul campo.

Tutti in movimento quindi, non senza una certa confusione. Forza Italia prova a coprire il fronte territoriale con una serie di liste civiche, dalla rappresentatività tutta da valutare. Vorrebbe riequilibrare il rapporto con la Lega, che mai si è fermata ed è riuscita a imporre agenda politica, linguaggio e senso comune anche in Trentino, dove mai era stata così forte e decisiva. Il Patt – con Ugo Rossi in prima fila – non chiude ad alcun orizzonte, disposto a spostarsi all’occorrenza lì dove possa essere confermato il proprio ruolo di potere, a costo anche di repentini cambi della linea ideale, come sta avvenendo in queste ultime settimane. Il PD tenta delle mosse – per il momento – solo al proprio interno, subendo però contemporaneamente i riflessi della crisi nazionale del partito e la difficoltà di capire cosa possa significare essere partito territoriale, ma non localista. Il M5S è alla ricerca invece di un moltiplicatore (il candidato Presidente?) del proprio peso elettorale – quasi interamente “di simbolo” – che in Trentino non sfonda il 20%.

Parallelamente si muove la galassia del civismo, con tutte le ambiguità che questo termine porta con sé. In forme diverse – il manifesto di Geremia Gios o l’appello/incontro di Renzo De Stefani, le oscillazioni dei Sindaci – ci dicono che ognuno è impegnato ad alzare la polvere che può, a dissodare il terreno che gli sta più vicino, a mettere insieme quelli che si trova attorno. Questo perché sembra sempre più evidente che la transizione politica trentina, pur già in corso da qualche tempo, ha nell’ultimo mese subito una repentina accelerazione.

Cosa ne sarà di tutta questa agitazione? Si dissiperà nel breve volgere delle prossime settimane finendo per agire solo sulla scomposizione e ri/composizioni (simboli, liste, aggregazioni, candidature) della prossima campagna elettorale o sarà da stimolo per la trasformazione anche della struttura sociale e politica – in termini davvero radicali – del Trentino? Come si depositerà il pulviscolo che in questo momento impedisce una visione d’insieme ma che parallelamente descrive una potenziale vitalità dello scenario trentino, tanto sociale quanto, di conseguenza, politico?

C’è lo spazio – non è la prima volta che provo a scriverne – per ipotesi ambiziose, che tengano conto del rapporto stretto tra territori e mondo, che propongano modelli economici e di produzione/consumo circolari e sostenibili, che abbiano il coraggio di disegnare strumenti e processi di partecipazione democratica più diffusi, orizzontali e inclusivi, che sappiano sfidare i luoghi di confort dentro i quali ognuno preferisce galleggiare, che sappiano coniugare responsabilità nei confronti dei beni comuni e capacità collettiva di disegnare futuri desiderabili. Che sappiano, per capirci, offrire un nuovo scenario dentro il quale riconoscersi e del quale voler far parte, per il quale impegnarsi.

Solo chi riuscirà a farsi carico – con buona lungimiranza, oltre che di un certo tasso di utopia, con sufficiente spirito federatore – della “comunità che viene” (dentro un orizzonte autonomistico di tipo europeo; meno identitario, retorico e difensivo, così come anche le pericolose conseguenze del corto circuito catalano ci suggeriscono) più che della “comunità che c’è” farà un buon servizio alla comunità stessa e non solo al proprio destino e alle proprie ambizioni personali. Quelle ambizioni personali che ancora, in attesa di vederci più chiaro, sembrano reggere i fili di ogni movimento e impediscono di trovare un pur fragile e non definitivo equilibrio.

 

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