"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

L'aula può dare di più

Michele Nardelli in Consiglio Provinciale

Ringrazio Enrico Franco, già direttore del Corriere del Trentino, per questo articolo. Veder riconosciuto il proprio impegno fa sempre piacere. Contestualmente  devo prendere atto con rammarico nel veder venire meno uno degli elementi essenziali della cultura istituzionale, laddove la funzione legislativa, come sottolinea Enrico, dovrebbe spettare all'Assemblea consigliare e ,aggiungo io, le leggi approvate si dovrebbero applicare, oppure cambiare o abrogare. Alcuni dei provvedimenti legislativi di cui sono stato primo firmatario e approvati dal Consiglio Provinciale sono rimasti infatti lettera morta. I Presidenti del Consiglio dovrebbero esserne garanti. (m.n.)

di Enrico Franco *

Mentre a Trento e Bolzano i presidenti delle Province autonome cercano di comporre il mosaico delle rispettive giunte, con difficoltà diverse ma in entrambi i casi con più tessere a disposizione rispetto ai posti da riempire, gli aspiranti a uno scranno sgomitano. Lo fanno non solo per ambizione e per una più o meno sana brama di potere, ma anche perché convinti che altrimenti sarebbero condannati a cinque anni di irrilevanza.

In nome dell’efficienza di governo, infatti, l’azione dell’esecutivo si è estesa sempre più, al punto che di fatto ha assorbito quasi totalmente anche la funzione legislativa. I consiglieri, così, si sentono ridotti a parti in commedia, chiamati ad alzare la manina quando richiesto, senza concrete possibilità non solo di veder approvato un proprio disegno di legge, ma perfino di riuscire a modificare quelli portati nell’Aula dal governatore o dagli assessori.

D’altronde questo è precisamente il quadro che recentemente ha dipinto pubblicamente un «ex», confessando la frustrazione, il senso di inutilità del suo impegno nonostante appartenesse a un partito della coalizione di maggioranza. E rivelando come le alternative scelte da alcuni suoi colleghi siano altrettanto prive di costrutto (nel caso si tratti di produrre interrogazioni e mozioni a raffica), oppure fuorvianti rispetto al mandato ricevuto (quando si traducono in un’attività di «patronato» a servizio degli elettori, per quanto ciò possa pagare in termini di consenso).

Ma il quadro è davvero così deprimente? Non del tutto. Certo, per chi crede che la politica si riduca a una serie di tweet e rifugge dalla fatica di studiare, elaborare, portare avanti con pazienza le proprie proposte, il ruolo di consigliere è avaro di soddisfazioni.

Guardando indietro, tuttavia, vediamo come chi stava all’opposizione abbia svolto una preziosa opera di controllo dell’amministrazione, che talvolta ha fatto cambiare le decisioni di governo o ha addirittura fornito alla magistratura elementi per avviare delle indagini. E chi ha lavorato sodo pur non avendo un assessorato è riuscito a farsi approvare diversi disegni di legge: in Trentino, ad esempio, Michele Nardelli, eletto per il Pd nel 2008, è stato il primo firmatario di norme importanti, tra cui quelle sulle filiere corte e l’educazione alimentare, sull’obbligatorietà della bonifica dall’amianto, sull’apprendimento permanente e altre ancora.

Si dirà: i tempi sono cambiati. È vero solo parzialmente: è indubitabile che oggi sia più difficile ottenere qualche risultato stando fuori dalla stanza dei bottoni, però qualcosa si può ancora portare a casa purché si scavi con serietà e non ci si limiti a navigare in superficie. Prendiamo lo strumento delle interrogazioni: se è svalutato, lo si deve soprattutto al cattivo utilizzo fatto negli ultimi anni. Quando ho iniziato a fare il cronista, sul finire degli anni Settanta, ricordo che le spulciavamo attentamente, perché spesso trovavamo notizie interessanti. Oggi sarebbe tempo perso: ribaltando la logica, molte interrogazioni ormai riassumono gli articoli dei giornali domandando al presidente della giunta «se sia a conoscenza che» e cosa intenda fare a riguardo. Molte altre, invece, chiedono conferma di voci incontrollate, quando non di autentiche maldicenze che pertanto trovano un’insperata cassa di risonanza.

Non è in tal modo, ovviamente, che si può lasciare il segno. Se, tuttavia, chi non sarà assessore riuscirà comunque a guardare agli interessi della comunità prima che ai propri e avrà spirito di sacrificio, allora i prossimi cinque anni non saranno spesi invano.

* editoriale apparso sul Corriere del Trentino del 9 novembre 2018

 

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