"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Una nuova guerra e l'onda lunga del Novecento

Aleppo, la storia bombardata

di Ali Rashid

E' dal 2011 che la guerra dilania la Siria. Oltre seicentomila morti, lo sfollamento di più della metà della popolazione all’interno del suo territorio e oltre confine, la distruzione di un patrimonio storico e culturale di tutta l’umanità e lo smembramento di un tessuto sociale esito di migliaia di anni di convivenza. Una storia simile a quella avvenuta in Iraq e che continua fino ai nostri giorni, con la differenza che nel caso iracheno era stata una coalizione internazionale a guida nordamericana, fuori dalla legalità internazionale, ad assumere la responsabilità dell’invasione di quel paese con motivazioni risultate in seguito prive di ogni fondamento.

Quanto accaduto in Siria negli ultimi otto anni ha avuto un'origine almeno in parte diversa, laddove le istanze di democrazia che una primavera nonviolenta contro il regime di Assad avevano coinvolto milioni di persone sono state brutalmente represse e lasciate sole da un'opinione pubblica distratta e da cancellerie che si muovono solo a partire dai propri interessi. A partire dai quali hanno invece foraggiato la guerra in un paese chiave della regione, compreso il dilagare dello Stato Islamico, usato per giustificare tale intervento.

In una condizione di guerra civile internazionalizzata dal coinvolgimento delle grandi potenze, perdono rilevanza i fattori e i protagonisti tradizionali; alcuni di essi subiscono una sorta di mutazione genetica per adeguarsi alla nuova fase. Questo fenomeno si è palesato e si tocca con mano tanto in Siria quanto in Iraq. Non a caso la nuova costituzione irachena, scritta sotto dettatura statunitense, che ha diviso quel paese su base etnica e religiosa, gettando le basi per una guerra senza fine, è stata condivisa da un ampio schieramento che ha compreso anche le minoranze politiche e nazionali.

Allo stesso modo, appare schizofrenico dichiarare di voler promuovere la democrazia, la convivenza e la pace sotto l’ombrello militare degli USA, con il sostegno finanziario della Arabia Saudita e degli Emirati Arabi in accordo con Israele. Arabia Saudita ed Emirati Arabi dall’inizio dell’anno hanno stanziato quattro miliardi per sostenere le formazioni militari presenti ad Est dell’Eufrate. Quando si comprenderà che nessun fine giustifica i mezzi (e che fini e mezzi sono in buona sostanza la stessa cosa)? Vale per tutti, curdi o palestinesi che siano...

Le mire espansionistiche della Turchia nel nord della Siria sono note e di vecchia data. Tutti i pretesti che si potrebbero avanzare per giustificare l’invasione del territorio siriano non attenuerebbero le gravi violazioni del diritto internazionale, che la Turchia sta commettendo, peraltro quale responsabile diretta di ciò che è avvenuto in Siria. L’80% dei combattenti stranieri entrati in Siria sono passati dal territorio turco. Armi, munizioni, logistiche varie e addestramento avvenivano in territorio turco e giordano. Sono stati spesi centinaia di miliardi di dollari e falciato un incalcolabile numero di vite umane, sotto il coordinamento di due quartieri generali, uno ad Ankara, l’altro ad Amman.

Le conseguenze dell’intervento turco saranno drammatiche e irreversibili, perché la zona sicura che la Turchia intende creare, lunga 500 km e profonda 30-50 km, in parte è storicamente abitata dai cittadini siriani d’etnia curda. Si attuerà ineluttabilmente una pulizia etnica, come avvenuta ad Efrain occupata da ormai 3 anni, la cui popolazione è stata “sostituita” da altri siriani, fuggiti da varie zone del paese. Il piano di intervento militare prevede la costruzione di 140 comuni nuovi per ospitare 3 milioni di profughi siriani, fuggiti in Turchia, e separare la popolazione curda in territorio turco da quella in territorio siriano. Questo significa gettare le basi per una guerra etnica senza fine. A questo proposito, va osservato che del crimine di pulizia etnica, tutti gli attori, senza alcuna eccezione, ciascuno dal territorio controllato, si sono già macchiati le mani.

Il presidente turco Erdogan ha annunciato ufficialmente l’operazione militare. Le prime azioni dell’esercito turco sono volte ad interrompere le vie di rifornimento attraverso il Kurdistan iracheno e l’occupazione di una zona centrale con scarsa presenza della etnia curda lunga 120 km. Nello stesso tempo, le forze d’opposizione siriane sotto il controllo turco hanno annunciato di unire le loro forze – 80 mila soldati – sotto un commando unitario. Evidentemente a loro spetterebbe il lavoro più sporco. Un piatto avvelenato offerto da Trump ad Erdoghan con conseguenze drammatiche per tutti.

Purtroppo in quella parte sfortunata del mondo la prima guerra mondiale non è ancora finita. Da quella guerra, che ha visto i vincitori tracciare confini di nuovi stati nazionali su misura dei loro stessi interessi, ci hanno lasciato un quadro condannato alla destabilizzazione eterna, dalla Palestina fino al Kurdistan.

La natura fascistoide, militarista, razzista, corrotta dei regimi succedutisi ci lascia poca speranza. Dovremmo avere più coraggio nell’indicare altre vie d’uscita che vadano nella direzione di mettersi alle spalle quella divisione di stampo neocoloniale, in direzione di un progetto democratico, sovranazionale e fondato sullo stato di diritto, dove cioè la cittadinanza non dipenda dalla nazionalità o dal credo religioso delle persone.

Questa è la direzione da prendere, che manca nel Vicino Oriente, non quella di vecchi e nuovi stati “etnici/etici”. L’amara esperienza della nostra generazione ha dimostrato che la guerre in generale, e in particolare quelle finanziate da potenze internazionali, non fanno altro che peggiorare ancora di più il quadro. E, come amico, devo dire che la FDS ha sprecato un’occasione, nella speranza che le conseguenze di questa breve esperienza non siano troppo drammatiche.

La Commissione delle Nazioni Unite per la Siria, ha approvato la composizione dei membri del comitato nazionale siriano per riscrivere la costituzione, un comitato largamente rappresentativo. La FDS non ne fa parte perché, forte del sostegno militare americano, puntava su altri obiettivi e scorciatoie di carattere militare. Forse è giunto il momento di prendere parte a questo sforzo collettivo di tutti i siriani e dare un forte contributo alla fine della guerra civile ed inizio ad un processo di vero rinascimento.

Ferma deve essere la nostra opposizione all'invasione militare turca e così la nostra solidarietà a tutte le donne e gli uomini che lottano per la libertà, la democrazia, la dignità. Il ritiro americano (che peraltro escludo) va invece auspicato perché potrebbe rendere più facile la soluzione dei problemi. Sarebbe il colmo se dovessimo chiedere anche noi la permanenza illegale delle truppe USA. Tale compito lo lasciamo all’industria bellica e all’establishment politico e militare statunitense, che detto per inciso lo sta facendo.

Infine, per una lettura obbiettiva della situazione, va sottolineato che dopo la distruzione della Siria e dell'Iraq, l'asfissiante assedio all'Iran, la Turchia è entrata nel mirino per essere il prossimo obiettivo. Nessuno dei suoi interlocutori nell'alleanza occidentale di cui fa parte accetta una sua completa integrazione o un suo ruolo da protagonista sulla scena regionale e internazionale. Evidentemente anche per questo paese la prima guerra mondiale non è ancora finita.

Così come gli Stati Uniti si sono resi conto che la guerra ha dei costi enormi, anche Turchia sarà costretta, al più presto spero, a comprendere che i problemi vanno risolti diversamente, in un quadro di comprensioni regionali, nel rispetto dei diritti umani e di quelli comunitari. Ma per questo serve fare i conti fra l'altro anche con la propria storia.

 

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