"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Quel che la natura ci insegna e quel che vogliamo comprendere...

Verso il passo del Manghen

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (97)

di Diego Cason e Michele Nardelli *

Un anno dopo. Osserviamo in tutta l'area colpita dalla tempesta Vaia un susseguirsi di eventi per ricordare la tragedia che in una notte ha spazzato via 18 milioni di alberi e cambiato il volto di intere vallate dolomitiche.

Crediamo sia bene non dimenticare. Sarebbe altrettanto necessario riflettere sul messaggio che la natura ci ha consegnato.

Se riteniamo che Vaia non sia stato un evento casuale, come possiamo farne tesoro ed evitarne il ripetersi? E poi, che cosa è cambiato nei nostri comportamenti come nelle nostre scelte collettive dopo quella tragedia?

In questi mesi ci siamo spesso sentiti dire che c'è un tempo per l'emergenza e uno per la riflessione. Non è così. L'emergenza non è finita e non finirà a breve. Non abbiamo il tempo di attendere che finisca per incominciare a riflettere. Nonostante lo straordinario lavoro di migliaia di professionisti e volontari impegnati negli interventi di messa in sicurezza del territorio, per il ripristino delle infrastrutture, per la preparazione dei piazzali per l'allestimento del legname, per il recupero, lo stoccaggio e la vendita di una parte significativa delle piante abbattute, siamo ancora ben lontani dal ritorno ad una normalità peraltro niente affatto estranea agli eventi. E, inoltre, perché solo la riflessione ci può aiutare nel comprendere la natura di quanto è accaduto e ad indirizzarci nelle scelte della stessa emergenza.

Proprio negli eventi del primo anniversario di Vaia si è parlato di comunità che, nelle avversità, hanno manifestato coesione e solidarietà. Conosciamo bene la natura della gente di montagna e la sua indole a non rassegnarsi di fronte alle avversità. Ma se non vogliamo cadere nella retorica, di fronte ad una tragedia come Vaia che ci accompagnerà nei prossimi decenni (senza peraltro poter escludere il ripetersi di eventi analoghi), è necessario uno scarto, nel pensiero come nell'agire.

Proponiamo qui due brevi considerazioni, rimandando il lettore per un maggiore approfondimento al libro sul quale stiamo lavorando e che contiamo di portare nelle librerie prima di Natale.

La prima. Fenomeni come Vaia ci insegnano che, nel suo ribellarsi, la natura non conosce confini. Pensare di salvarsi da soli non va bene. Eppure così è stato. Fra le Regioni colpite da Vaia non c'è stata la ricerca di un coordinamento che avrebbe potuto aiutarci ad affrontare in maniera più efficace la situazione. Al contrario, ciascuna realtà territoriale si è mossa nella logica del “si salvi chi può”.

Nella relazione conclusiva della “Commissione speciale di studio sui danni causati dalla perturbazione meteorologica eccezionale che ha colpito il Trentino alla fine del mese di ottobre 2018 e sulle conseguenti misure di intervento” dell'utilità di un’azione di coordinamento se non sovra-regionale almeno interregionale non c'è traccia. Eppure avrebbe potuto riguardare sia il recupero e la vendita del legname, sia l'orientarsi nelle scelte di ripristino e rinascita delle aree colpite.

Anche in questo caso il “prima noi” non ci aiuta. Quando capiremo che siamo tutti parte di un comune destino terrestre sarà sempre troppo tardi.

La seconda. Vaia (come la fine dei ghiacciai, l'innalzamento dei mari, la perdita delle biodiversità ...) è l'esito, ancora iniziale e limitato, del cambiamento climatico. Quel che ci aspetta nei prossimi decenni – sono le stime prudenti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite – potrebbe rendere irreversibile l'aumento della temperatura del pianeta, con conseguenze disastrose per l'intera specie umana sulla Terra.

Che l'umanità abbia oltrepassato il limite viene indicato dai ricercatori del Global Footprint Network che ogni anno monitorizzano l'andamento della nostra impronta ecologica. Consumiamo complessivamente ogni anno 1,7 volte quello che gli ecosistemi terrestri sono in grado di produrre, in questo modo sottraendo futuro alle generazioni a venire. In Europa e in Italia il peso dell'impronta ecologica è ben più alto (2,7 volte) e questo è grosso modo il dato anche delle nostre regioni alpine. Ma questo non sembra affatto determinare un cambiamento di rotta, ovvero la scelta di mettere in discussione l'attuale modello di sviluppo.

Uscire dall'insostenibilità significa rivedere i paradigmi che ci hanno portato sin qui, in primo luogo il mito delle magnifiche sorti progressive. E con essi l'urgenza di riconsiderare i nostri stili di vita.

Lo stiamo facendo? No anzi, li consideriamo “non negoziabili”.

Se non ci poniamo queste domande e se non cerchiamo risposte inedite, gli eventi per ricordare la tragedia di un anno fa rischiano di essere un’auto celebrazione che non ci aiuterà ad affrontare e risolvere i formidabili e difficili problemi che Vaia ci ha posto dinanzi con violentissima chiarezza.

* Questo intervento è apparso oggi 29 ottobre 2019 sul Corriere del Trentino. Diego Cason, sociologo, esponente del BARD (Belluno Autonoma Regione Dolomiti); Michele Nardelli, saggista e ricercatore, è stato consigliere della Provincia autonoma di Trento

 

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