"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Non resta che il ritiro della delega?

Salvini

di Vincenzo Calì

(12 novembre 2019) Chi l’avrebbe detto, solo un paio di anni fa, che la metamorfosi di cui parla Marco Damilano (Salvini da leader estremista a capo dei moderati italiani) avrebbe dato il via anche in Trentino alla marcia trionfale della Lega?

Si avvicinano le elezioni comunali e non è difficile prevederne l’esito, con la vittoria leghista a Trento e Rovereto a coronamento dei risultati già raggiunti nelle elezioni politiche, provinciali ed europee.

A certificare il saldo insediamento leghista manca solo, in tempi di riscoperta del simbolismo religioso, la risalita in terra trentina delle tre colombe custodi dei martiri d’Anaunia, portatrici del messaggio del leggendario Alberto da Giussano.

“Prima gli italiani”, la parola d’ordine leghista il cui effetto dirompente richiama quello della tempesta Vaia, trova la sinistra trentina impreparata, incapace di rispondere rivendicando le buone pratiche che grazie all’autonomia speciale la comunità trentina sotto la guida del Centrosinistra Autonomista ha posto in essere negli anni, pur tra non poche contraddizioni.

Il susseguirsi di timidi balbettii, di strategie attendiste con lo sguardo rivolto ad un’inesistente centro moderato da conquistare, non può che portare alla sconfitta nella partita per la nomina dei primi cittadini.

Al cittadino impegnato che ha sempre votato per l’area progressista, a fronte dell’assenza di candidati e programmi chiaramente indirizzati a ridurre le sempre crescenti diseguaglianze, consapevole dell’inefficacia di un’azione d’opposizione istituzionale condotta da una dirigenza politica incapace di scelte incisive, non resta che il ritiro della delega, a favore della democrazia diretta, come unico segnale politico della necessità di una azione radicale di cambiamento.

Quando la barbarie si impone (che siano i milioni di giovani mandati ieri a marcire nel fango delle trincee, o le ancor più giovani vite date oggi in pasto al mare nostrum) torna, nuovamente inascoltato il monito di Rosa Luxemburg, che invano indicò la rinuncia a battersi per la rivoluzione sociale come l’anticamera della sconfitta dei lavoratori: ora come sempre, senza un rovesciamento di inutili tavoli coalizionali fra soggetti fantasma, la strada del possibile cambiamento delle condizioni di vita e di lavoro resta impraticabile; il caso delle acciaierie tarantine insegna: come è possibile conciliare lavoro e sicurezza ambientale stante l’attuale modello di sviluppo?

 

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