"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Nessi, misura, mondi migliori

Federico Zappini con Alberto Winterle al quartiere delle Albere a Trento

di Federico Zappini *

Spiazzato, perchè privato di un luogo di socialità. Spezzato, vista la presenza divisiva di via Brennero. Sfruttato, data la ridondanza di grandi spazi commerciali lungo lo stesso asse viario.

Il comitato 3.0 – Solteri – Magnete e Centochiavi in un documento, rivolto ai candidati e alle candidate, descrive il proprio quartiere attraverso questi tre aggettivi. Ne aggiunge poi un quarto, particolarmente importante.

Il quartiere è vivo. Capace di tenere accese relazioni e di valorizzarne le specificità.

Proprio della migliore vivibilità dello spazio urbano si dovrà occupare la prossima amministrazione comunale. Predisponendo luoghi adeguati alla con-vivenza e alla con-divisione. Ricucendo brani interrotti di città, decretando la prevalenza di una funzione (servizi per la coesione sociale? il verde urbano? la mobilità pedonale e ciclabile?) rispetto ad altre (le auto? i loro parcheggi? nuova edilizia abitativa? ulteriore Grande Distribuzione Organizzata?). Ponendo al centro della quotidianità democratica metodi dialogici e processi di co-progettazione, da attivare con cittadini e cittadine.

Immaginando insieme una città che ancora non c’è.

A tal proposito si sente spesso ripetere – i diversi candidati del centro-destra con particolare insistenza – che Trento deve tornare a crescere, accelerando il proprio sviluppo sulla base di investimenti dedicati alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali.

Bisogna ri-partire si dice, mostrando i muscoli. Uguale, o maggiore, velocità. Stessa rotta. Obiettivi invariati. Come se neanche l’esperienza tragica del Covid19 – evidenziatore a livello globale della fragilità strutturale dell’attuale modello di sviluppo – ci avesse insegnato nulla dell’insostenibilità della nostra impronta ecologica rispetto al pianeta Terra.

Tale approccio quantitativo dimentica come i fenomeni di spiazzamento, frammentazione e sfruttamento derivino proprio da modelli di produzione intensivi e dalla loro irrefrenabile ingordigia. Gli impatti di quella stagione (novecentesca e non solo…) sono ancora ben visibili dentro la mappa urbanistica della città.

Cosa sono altrimenti lo spostamento del fiume Adige ai margini della città, le aree inquinate o abbandonate della Sloi e dell’Italcementi, il sedime ferroviario dello scalo Filzi, la pervasiva rete stradale (fino a pochi anni fa conficcata fin dentro il quartiere di Piedicastello), la spettrale profilo notturno del (non) quartiere delle Albere?

Ecco che allora per offrire un’alternativa al pensiero unico della crescita a ogni costo serve contrapporre un’idea di città – qualcuno la chiamerebbe addirittura visione – che, come ci ha ricordato Roberto Bortolotti non si accontenta di elencare grandi progetti (la Funivia del Bondone, l’interramento della Ferrovia, la cittadella dello sport) ma si occupa soprattutto dei nessi e delle connessioni, dei piccoli e puntuali interventi che strada per strada dimostrano la realizzabilità della transizione ecologica coniugata alla giustizia sociale.

Sempre in quest’ottica l’orizzonte a cui tendere è quello che punta alla riscoperta del tema del limite e – come ci ha ricordato Ugo Morelli in un altro recente editoriale – alla definizione di un nuovo ordine. Di un diverso senso comune. Di una misura adeguata al contesto Mondo che abitiamo.

Basti pensare ai temi del turismo e del rapporto con la montagna. Dell’agricoltura, della filiera alimentare e dei nostri stili di vita che alcuni (pazzi e/o ciechi) vorrebbero ancora orientati a consumi in aumento. Dell’università e della ricerca, della cooperazione e del welfare.

Non dobbiamo far ripartire il modello economico precedente, ma ripensare l’economia, rendendola più dolce, inclusiva e civile. Fare meglio con meno è un imperativo che deve incrociare utopia e concretezza, prospettiva globale e azione mirata nei frangenti più prossimi della città che con Franco Ianeselli nel ruolo di Sindaco vorremo governare nei prossimi anni.

A quel punto forse potremo rispondere anche alle domande che Simone Casalini si poneva rispetto al tratto che un nuovo ciclo politico potrebbe dare a Trento e al Trentino tutto.

Non un’eredità da esibire, ma un pianeta e una città ricevuti in prestito da lasciare in condizioni migliori rispetto a come li abbiamo trovati al momento della nostra nascita.

Sarebbe già moltissimo.

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