"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Duemilauno. Politica e futuro

Massimo Cacciari

Duemilauno. Politica e futuro

Colloquio con Gianfranco Bettin

Feltrinelli, 2001


Più che una riflessione, quella avviatasi dopo il voto che ha portato la “Casa delle liberta” al governo del paese sembra una lamentazione, quasi la ricerca di un capro espiatorio, piuttosto che un’analisi sulle dinamiche sociali e culturali che attraversano il nostro paese.

Non che non ci siano responsabilità precise anche sul piano delle scelte politiche dei leader del centro sinistra, prima fra tutti quella di aver liquidato l’Ulivo in nome del primato dei partiti, in Italia come in Trentino. Ma sarebbe fuorviante, oltre che insopportabilmente rituale, affrontare la questione facendo saltare qualche testa senza peraltro discostarsi sul piano delle scelte di fondo. Ecco perché a mio avviso è necessario guardare all’esito elettorale da una diversa angolatura, cercando di capire cosa sta avvenendo nei corpi sociali, nelle culture, nei comportamenti.

Allora il problema non è che ha vinto Berlusconi – cosa peraltro più o meno prevista, anzi fin troppo prevista, tanto da far rinunciare in partenza il centro sinistra a ricercare convergenze con Rifondazione e Di Pietro – ma che nelle coscienze, nelle aspirazioni, nell’immaginario di almeno la metà degli elettori di questo paese l’idea del “diritto naturale”, ovvero che lo stato, le leggi, la politica non servano, siano solo ostacoli verso l’antipolitica, ovvero il dispiegarsi del darwinis-mo sociale, la legge del più forte.

È questa la suggestione che ha fatto breccia nel modo di pensare delle persone, che si può fare a meno della politica, che ciascuno arrivi dove può e sa arrivare, e dove al governo è data tutt’al più la possibilità, come c’era scritto sui manifesti, di aiutare chi è rimasto indietro.

Come diversamente leggere il risultato emblematico della Sicilia, dove la “Casa delle libertà” fa il pieno dei 61 parlamentari espressi dall’isola? Esattamente come nella geniale interpretazione di Guzzanti, nella “Casa delle libertà” si fa quel che si vuole, anche costruirsi la seconda casa nella Valle dei Templi o sul mare, nella considerazione che la proprietà di un suolo possa essere sufficiente per farci quel che ti pare. Ma ciò che nell’“Ottavo Nano” veniva ridicolizzato, corrispondeva all’involuzione culturale di questo paese: il lasciateci lavorare, il “ghe pensi mi”, analogamente all’invocazione di meno lacci alle imprese, di meno ostacoli alle adozioni, una giustizia meno persecutoria, slogan tutt’altro che casuali, rappresentavano un programma ideologico capace di entrare in sintonia con l’antipolitica del cittadino medio.

«… Intollerante  di ogni dipendenza, dogmaticamente certo della “naturale bontà”dei propri appetiti (come la “scienza” economica gli certifica), egli però è anche costantemente bisognoso di protezione, incapace di vera solitudine, e pronto perciò, non appena i suoi “diritti” gli appaiono minacciati, a trasformarsi in massa. La sua pretesa di integrale “libertà”, che significa volontà di porre il proprio particolare interesse immediatamente come l’universale, conduce necessariamente all’organizzazione di tali interessi, alla “palude delle consorterie”, che affermano legittimo soltanto quel potere che immediatamente li rappresenta – e che conducono perciò alla distruzione dell’idea stessa di rappresentanza.»

La questione non riguarda dunque tanto Berlusconi, il conflitto d’interessi, il suo passato e il suo presente (cose rilevanti, sia chiaro), bensì le trasformazioni epocali che oggi tendono a mettere in un angolo la politica e rispetto alle quali la politica che c’è balbetta, talvolta rincorre, altre volte esorcizza. Perché, a pensarci bene, queste idee – primo fra tutti il primato della tecnica – hanno sfondato anche a sinistra e non già, come qualcuno crede, nel non tener fermi gli antichi ideali, ma nel non saperli ripensare nel contesto attuale e alla luce delle macerie del ‘900.

«… con la caduta dei muri e con le rivoluzioni avvenute a partire dall’89, si è cominciata ad avvertire una povertà nuova nella politica. Si è stati incapaci di tematizzarne nuovamente la prospettiva, oltre alle ragioni correnti. Così, la tragicità, il dramma della stagione appena trascorsa hanno fatto scadere nella mediocrità le forme e le questioni attuali. Che tuttavia sono non meno cruciali e intense delle altre, anche se non c’è ancora un linguaggio che le declini adeguatamente, né protagonisti che sappiano evocarle nel loro senso autentico, nei drammi nuovi, per certi versi inauditi, che abbiamo di fronte.»

Certo, il modo con cui il centro sinistra è andato a queste elezioni non ha certo aiutato, dall’aver demolito l’Ulivo (con la liquidazione di Prodi) a favore del primato di partiti, al modo con cui sono state scelte le candidature e sono poi state calate sui collegi, al non aver ricercato le possibili (e dunque doverose) convergenze con Rifondazione e Di Pietro.

Ma la questione decisiva sta proprio nell’incapacità di interpretare il presente, di abitare con intelligenza la globalizzazione, di comprenderne le dinamiche, dallo spaesamento alla perdita di identità sociale, dai nazionalismi alla disintegrazione dell’est europeo, dal prendere corpo di nuovi poteri extraterritoriali all’incapacità di delineare un’alternativa al pensiero unico. Ed infine di comprendere l’involuzione culturale,  quasi antropologica, che va modificando in profondità il contesto sociale che ha caratterizzato tutto un secolo, avvertendone la profondità. E dunque agire per entrare in comunicazione con la società che cambia, consapevoli della necessità di ripartire da uno sforzo di pedagogia politica, cioè l’opposto dell’assecondarne le pulsioni corporative.

«… ma le forze prevalenti oggi sono a immagine e somiglianza di tale individuo, di tale “idiota”, e c’è da tremare all’idea che ne possano, ancorché imbrigliare le pulsioni, scatenarle, portandole al centro del sistema, della democrazia.»

Se non ripartiamo da qui, dalle ragioni profonde della sconfitta, potremo anche consolarci che in fondo la conta dei voti sarebbe favorevole al centro sinistra e che il problema risiede essenzialmente nell’unità da ritrovare, ma non andremo tanto lontani. Una necessità che riguarda anche il Trentino, nonostante la sua diversità, strettamente correlata alla sua struttura economica, alle forme avanzate di autogoverno, alla diffusa rete di partecipazione, e dunque nient’affatto casuale. Perché l’onda lunga dell’antipolitica arriva anche nelle nostre valli e perché i luoghi della diversità o sono capaci di rinnovare la propria scommessa oppure non saranno in grado di resistere all’omologazione. Per farlo, attraverso quali soggettività sociali e politiche, è ancora un altro problema.

Il laboratorio trentino batte in testa: la Margherita, intuizione formidabile, sta appassendo nel contesto soffocante di un malinteso terri-torialismo che sposa i poteri forti; la sinistra, nella rinuncia ad una sperimentazione federalista che ne avrebbe fatto un riferimento non solo locale, ha buttato all’aria tante speranze ed energie, adagiandosi su un’improbabile autosufficienza; l’Ulivo, riposto in soffitta in primo luogo dai suoi parlamentari che nel reciproco sostenersi avevano bisogno di consorterie sicure (e qualcuno c’è rimasto sotto), nonché dalla preoccupazione (motivata) che i luoghi tradizionali (e spesso vuoti) della politica potessero venire travolti o messi profondamente in discussione da un nuovo e diffuso protagonismo.

«… Spesso si ha la sensazione che lo spazio per la politica stia finendo , proprio perché le ragio-ni che strutturalmente sostenevano quelle forme sono tramontate. Ma, ecco il punto, questo significa che il tramonto della vecchia politica è tramonto della politica tout court? Che è impossibile ricostruire un percorso politico? Non lo credo, no. E come è possi-bile ricostruire questo discorso? Innanzitutto, criticando l’ideologia corrente, che ti impedisce di vedere le forme attuali del dominio, del potere, la sostanza auten-tica della politica che oggi viene prodotta malgrado se ne proclami la fine a destra e a manca.»

Credo sia necessario non lasciare nulla di intentato, proseguendo nello sforzo di questi anni che hanno caratterizzato Solidarietà come soggetto unitario e al tempo stesso di richiamo rigoroso ai contenuti. In primo luogo rilanciando il percorso della “sinistra trentina”, con chi ci sta, dentro e fuori i partiti, nel territorio, nella società. Costruire comunità nasce proprio come risposta all’arrestarsi di questo percorso, e dunque nella sua rimessa in moto può giocare un ruolo fondamentale. Contestualmente rilanciare l’Ulivo trentino, unica condizione per vincere la scommessa di governo che oggi attorno ai temi della sostenibilità, dell’autogoverno locale, dei patti territoriali, della formazione, della qualità del lavoro e dello stato sociale, si gioca tutto il senso di una legislatura.
Infine, dare un’occhiata in giro, per cercare di capire se questa nostra solitudine è condivisa da qualcun altro, se «c’è qualcuno che, come te, affronta le questioni chiave».

 

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