"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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martedì, 27 novembre 2018La presentazione di Sicurezza a Formigine

Sono rientrato a Trento dopo nove giorni intensi di incontri, conversazioni, conferenze pubbliche e da ultimo uno spettacolo che attorno al libro “Sicurezza” ha messo insieme teatro, musica e parola.

Un viaggio in automobile attraverso l'Italia, accompagnato dalla pioggia e dal freddo. Non nascondo di essere un po' stanco, ma al tempo stesso confortato dal calore e dall'interesse incontrati, quello degli amici con i quali si è costruita nel corso degli anni una fervida comunità di pensiero, quello delle persone incontrate per la prima volta nel loro riconoscere i tratti di una ricerca che prova un racconto non banale del passaggio che stiamo attraversando.

Il primo tratto di questo “viaggio in Italia” ci ha portati a Guardiagrele, ai piedi del massiccio della Maiella ma dalla cui famosa terrazza si vede il mare. Qui si svolge il Consiglio nazionale di Slow Food Italia. Una due giorni che inaugura l'attività di un organismo eletto qualche mese fa a Montecatini e di cui faccio parte. Molte delle persone che sono qui si conoscono da tempo, ma per me non è così. Quindi mi guardo attorno, ascolto, cerco di capire le dinamiche, rivolgo qualche domanda alle poche persone che avevo già avuto modo di incontrare.

In questi quattro mesi, dall'assise di Montecatini ad oggi, il Comitato esecutivo eletto al Congresso si è messo al lavoro, un'attività di ricognizione di un corpo complesso che costituisce il nucleo principale di un'associazione che negli ultimi anni ha assunto una dimensione internazionale con una presenza in oltre sessanta paesi. In mezzo la grande kermesse di Terra Madre a Torino, la cui organizzazione ha richiesto l'impegno di centinaia di persone, forse di più. E ciò nonostante, mi sarei aspettato che a questo primo incontro del Consiglio venisse dato un profilo più alto che non un rapporto sullo stato dell'arte.

E l'obiezione che Chengdu (il Congresso mondiale) prima e Montecatini poi hanno già indicato la strada da seguire non è sufficiente a definire un'agenda in grado di declinare gli orientamenti e le scelte di fondo in azione politica e dunque ad evitare che anche Slow Food non si ritagli uno spazio rituale, incapace di incidere sui processi reali che vanno nella direzione esattamente opposta a quel che ci proponiamo, ahimè sotto ogni latitudine.

Perché l'affermarsi di personaggi come Trump e Bolsonaro in un contesto globale già inguardabile, il riemergere del fascismo in Europa e la deriva nazionalista e populista in Italia (compreso il Trentino) fanno il paio con la riduzione del pianeta ad un immenso mercato finanziario e con gravi processi di degenerazione culturale, sociale ed ambientale di cui i cambiamenti climatici, il cibo scadente, la crisi dell'acqua, le monocolture agricole, la riduzione delle biodiversità – ovvero i nodi cruciali che investono l'impegno di Slow Food – non sono che il risultato.

Se dunque ho accettato di dedicare un po' del mio tempo a questa associazione è perché ne colgo le potenzialità e la fondamentale intuizione che il cibo può diventare uno straordinario veicolo di inversione di questa tendenza. E così l'amore per la terra madre. Per questa ragione, nei miei quattro minuti in plenaria come nel lavoro di gruppo, provo a portare un mio contributo di pensiero proprio a partire dai segnali che la natura ci invia attorno alla nostra insostenibilità e alla necessità di far nostra la cultura del limite. Avverto sintonie e questo vuol dire che il corpo del Consiglio è reattivo. Al tempo stesso sono consapevole che la crisi dei corpi intermedi non si ferma alle soglie della chiocciolina. Penso altresì che di quel nuovo racconto di cui vado parlando, una grande rete qual è Slow Food potrebbe rappresentare un crocevia di conoscenza, di buone pratiche, di azione politica e di alleanze sui territori davvero importante. Mi congedo da Guardiagrele un po' più ottimista di come ci sono entrato.

Quando con Gabriella ripartiamo da questo antico borgo orgoglioso di aver ospitato con il Consiglio Nazionale le espressioni regionali di Slow Food ancora piove. E sarà così fino alla successiva destinazione, San Salvatore Telesino, nel Sannio, dove ci aspetta Guido Lavorgna.

Con Guido nei mesi scorsi abbiamo condiviso il “Viaggio nella solitudine della politica”, in alcuni dei suoi itinerari come nella gestione del blog che tale viaggio racconta. Insieme a Raffaella avevano provato a trasferirsi in Trentino, molte idee e progetti, ma non ne è venuto niente, questa nostra terra negli anni si è andata inaridendo e i risultati li abbiamo visti nell'ottobre scorso.

Allora ha deciso di rientrare nelle aree interne del Mezzogiorno, trovando nella sua terra natia lo spazio cercato altrove. Guido mi racconta i progetti che intende realizzare, mi porta a vedere a Cerreto Sannita un convento che nel passato remoto era di clausura e che ora vorrebbe trasformare in un incubatore sociale. Una sfida che fa leva soprattutto sull'intelligenza e sulla fantasia, anche in considerazione che le risorse finanziarie non bastano.

Pranziamo nella casa dei genitori di Guido, fra l'altro più o meno nostri coetanei. Abitano in campagna e quello che ci offrono è il prodotto del loro lavoro, tutte cose buonissime. La loro gentilezza è un tratto di irriducibile civiltà. Noi abbiamo portato un po' di vino, ce ne andiamo carichi di ogni ben di Dio.

Proprio a Cerreto il giorno successivo si svolge l'incontro per la presentazione di “Sicurezza”. Fuori un tempo da lupi e le strade sembrano torrenti scoscesi, considerato che l'ultima volta che hanno visto asfalto nuovo era il secolo scorso. Ciò nonostante una decina di persone ci accompagnano nella conversazione e, malgrado l'informalità dell'incontro, alla fine della mia introduzione scatta un applauso inaspettato. Fra loro anche Bruno Tomasiello, storico di San Lupo che nell'itinerario “Nelle terre dell'osso” (http://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=4126) ci aveva accompagnati alla scoperta del Matese e dell'insurrezione anarchica del 1877. Una giornata che ricordo ancora con emozione.

Ne viene una tavola rotonda a trecentosessanta gradi che spazia sui grandi temi del nostro tempo e che mi parla di quanto bisogno pensiero pulito vi sia, laddove la politica si svolge altrimenti, fra piazze mediatiche e feudi di consenso. Gianluca prende questa occasione per parlare delle cose più scabrose, dell'oggettività della paura e del fatto che l'esito della sconfitta in queste terre ha avuto effetti ancora più pesanti, giovani in fuga tanto per cominciare, il degrado ambientale, ma anche un aumento dei furti che qui non ti saresti aspettato. Un fallimento nel fallimento. L'esperienza culturale ed artistica che ci racconta Giovanni, indica invece che anche nella difficoltà è importante investire nelle persone e nella creatività. Mentre parla mi viene in mente quando, nell'immediato dopoguerra bosniaco, insistevo sul fatto che la bellezza potesse giocare un ruolo importante nella ricostruzione sociale. Alla fine della presentazione Boris, un altro dei partecipanti, mi ringrazia per l'occasione e mi dice che quella discussione era così nelle sue corde che avrebbe potuto durare ben più delle due ore che ci siamo dati. Così decidiamo di proseguirla con chi è disponibile davanti ad una pizza.

Scendendo da Cerreto Sannita verso San Salvatore si fa fatica a decifrare il perimetro della carreggiata, come a confermare che i cambiamenti climatici di cui abbiamo parlato nell'incontro avvengono del nostro presente e che il limite l'abbiamo ormai oltrepassato.

Il mattino seguente il maltempo ci dà tregua per un paio d'ore e, salutati Guido e Raffaella, ne approfittiamo per rimetterci in viaggio. Vorremmo regalarci una serata a Napoli, mia città prediletta, ma nella capitale partenopea c'è allarme arancione e allora ci dirigiamo in altra direzione, la Ciociaria e Roma. Ci fermiamo a Isola del Liri per una breve passeggiata e per vedere le sue famose cascate, una massa d'acqua imponente i cui vapori disegnano un grande arcobaleno nel cuore del borgo. Neanche un paio d'ore di sole e torna a diluviare. E allora non ci resta che raggiungere Roma e il B&B Mammarampa (http://www.mammarampa.it/) ormai diventato il mio piacevole riferimento quando devo soggiornare nella capitale. Livia, la proprietaria, è un'amica impegnata nelle attività della Scuola politica “Danilo Dolci” (http://scuolapoliticadolci.blogspot.com/) con la quale da ormai più di dieci anni si è sviluppata un'intensa e piacevole collaborazione.

E' proprio in questo ambito che l'indomani avviene la presentazione romana del libro “Sicurezza” (la prima presentazione visto che fra qualche giorno, il 9 dicembre alle ore 11.00 nella fiera “Più libri, più liberi”, ci sarà una nuova occasione per parlare del libro), ospitati dal Coworking Millepiani alla Garbatella. Quando parlo di una comunità di pensiero immagino proprio una rete di esperienze politiche come la “Danilo Dolci”, che nel corso degli anni si è ritagliata uno spazio di autorevolezza e di attenzione nel deserto della politica romana. Qui ormai sono di casa, tanto che i nostri percorsi si intrecciano come se in tutti questi anni fossimo stati gomito a gomito, senza mai smettere di dialogare quand'anche a distanza.

Una piccola folla riempie la sala di Millepiani. A fare gli onori di casa è l'amico Silvano Falocco, a colloquiare con me ci sono Marta Bonafoni, capogruppo della Lista Civica Zingaretti in Consiglio Regionale del Lazio, e Giulio Marcon, deputato nella scorsa legislatura, animatore di “Sbilanciamoci” e tante altre cose. Sbircio nei loro appunti e colgo il rigore con cui hanno preso il compito di interloquire con me su questo libro che Silvano definisce un “discorso politico” attorno ad una parola come “sicurezza” diventata il mantra che sta intorpidendo l'immaginario collettivo.

Nonostante una recentissima operazione Giulio ha voluto comunque essere qui. Fisicamente è provato ma le sue parole analizzano con puntualità quattro aspetti che questo libro pone: la scelta di smarcarsi da una trattazione del tema tipica della polemica da tifoseria, a favore invece di un approccio d'insieme, polisemico, che accetta la sfida di prendere in considerazione la paura nelle sue molteplici sfaccettature; l'indagine sulle parole, specie se queste sono “di plastica”, ovvero adattabili ad intenzioni e scenari molto diversi e il rovesciamento dei significati, considerato che solo quarant'anni fa essa veniva associata al welfare e a politiche di inclusione; il rapporto fra sicurezza e difesa, tema che fu al centro di una polemica fra padre Balducci e Lidia Menapace dopo la caduta del muro di Berlino e che il libro solo accenna; l'approccio che la sinistra dovrebbe avere per mettere in campo politiche di sicurezza di fronte alle precarietà e alle incertezze di questo tempo.

Marta si dice riconoscente per questo libro, una sorta di bussola per alzare lo sguardo. Tocca le mie corde. Partire dalle parole quando il discorso pubblico appare sovvertito dagli slogan da bar tanto da diventare governo diviene fondamentale. Parole che richiedono nuovi significati, specie negli scenari metropolitani, quando un luogo “abbandonato” dalla speculazione diviene “occupato”, assumendo così tutt'altro significato. Quel che è accaduto nel rione di San Lorenzo insegna. Marta coglie alcuni dei tratti chiave di un libro “che disvela” con coraggio nodi complessi, come nell'indagare quel che accomuna inclusione ed esclusione, oppure nelle pagine dedicate alla crisi del pacifismo, o ancora nell'affrontare le dinamiche urbane, compresa la necessità da parte della politica di riprendere contatto con la normale insicurezza urbana (“la politica manca di profumo di mondo”) e di saper cogliere quanto di positivo continui a crescervi malgrado tutto. Riprendendo l'“elogio della mitezza” che fu di Bobbio, Marta riconosce a questo libro il coraggio di dire. Non è detto che noi dobbiamo appiccare il fuoco: all'aggressività si può rispondere con l'umanità. Il richiamo ad Hannah Arendt va da sé.

Non mi dilungo sulle mie considerazioni, se non per dire che prima di entrare nel merito delle tesi del libro e nel dialogo con i miei interlocutori ho voluto proporre un paio di considerazioni. La prima attorno alla fine dell'anomalia trentina fatta a pezzi certamente da un centrosinistra autonomista privo di un racconto ma anche dal vento della paura che fa breccia pure in uno dei territori più sicuri del mondo. La seconda considerazione riguarda i nodi veri di incertezza come quell'altro "vento" che nella notte fra il 28 e il 29 ottobre ha cambiato il volto delle foreste dolomitiche.

L'incontro è trasmesso in streaming dalle pagine facebook della Scuola Danilo Dolci. Novecento contatti mi dirà Silvano, niente male. Lo potete seguire per intero in https://www.facebook.com/MillepianiCoworking/videos/2234025926873054/?t=0

Siamo così arrivati a giovedì, giorno senza impegni formali. Così decidiamo di andare a trovare Ali ad Orvieto. Ali Rashid è stato vice-ambasciatore di Palestina in Italia, attività diplomatica interrotta con l'elezione a deputato della Repubblica italiana (ragione per la quale aveva preso la cittadinanza italiana), quand'anche nella legislatura più breve del secondo dopoguerra. Ma Ali è soprattutto un caro amico, con il quale ho condiviso nella seconda metà degli anni '80 quattro anni di convivenza a Roma e, negli anni successivi, quando le nostre vite hanno preso strade diverse, un esserci reciproco nei progetti come nelle cose della vita. Devo dire che nelle scelte più importanti Ali ha sempre fatto di testa sua, quasi temendo che i miei consigli – testardo e orgoglioso com'è – sarebbero andati in direzione diversa. Ma fra tante cose che finiscono, la nostra amicizia non è mai venuta meno.

Erano mesi che non ci vedevamo e questa visita lo rallegra, quand'anche per lui sia questa una fase difficile, fra salute cagionevole, il venir meno delle ragioni di una vita e una dimensione professionale che ha dovuto reinventare. Nelle ore che trascorriamo assieme, in casa e per le viuzze del centro storico ancora più bello nel silenzio e nelle luci della sera, il confronto spazia fra le miserie del mondo e quelle di casa nostra, ritrovando velocemente sintonie e sguardi. Non sono certo in questa fase una fonte di ottimismo, eppure non mi sono mai stancato di cercare strade originali, con curiosità e disposto alla meraviglia. Eccoci quindi a parlare di uno degli itinerari del “viaggio nella solitudine della politica” (http://www.zerosifr.eu/), quello dentro ciò che rimane delle primavere arabe, un viaggio fra Tunisia, Egitto, Libano, Siria e, naturalmente, Palestina, che vorrei realizzare nel corso del 2019. Gli intellettuali da incontrare, le esperienze da visitare, i mondi nuovi (anche sul piano generazionale) che sono nati con le primavere e che potrebbero indicare vie diverse rispetto a quelle conosciute e risultate generalmente fallimentari. E' il primo passo preliminare per questo nuovo itinerario che ritengo indispensabile nel puzzle che stiamo cercando di disegnare.

Ho portato dal Sud pane, olio, pomodorini, olive, taralli... una signora amica di Ali ha preparato le fettuccine, Ali il ragù... non servono ristoranti. Il piacere di stare in casa e di condividere cibo buono e le nostre considerazioni su questo tempo, che pure viviamo senza rancore e con il distacco delle persone non più giovanissime.

Il mattino seguente ancora piove. Ci muoviamo di buon ora, destinazione Formigine, in provincia di Modena. Dove abbiamo l'ultimo appuntamento di questo viaggio attraverso l'Italia. A Formigine Luigi Ottani e Roberta Biagiarelli hanno organizzato nell'ambito del Festival della migrazione una performance fra parole, teatro e musica proprio attorno al tema della sicurezza, un modo bello ed efficace per presentare un libro che intende far riflettere le persone fuori dagli slogan. Anche nella pianura emiliana piove e fa freddo, non esattamente le condizioni ideali per uscire di casa la sera. Ma il salone del Castello medievale di Formigine vede i posti a sedere quasi tutti occupati. Le parole di amici scrittori e qualche brano di “Sicurezza”, i racconti di Leonardo Sciascia interpretati da Sandro Fabiani, la voce che viene dalla terra lacerata dalle radici divelte nei luoghi del fronte della prima guerra mondiale interpretata da Roberta Biagiarelli, la maestria dell'accompagnamento musicale di Luca Barbari... rendono unica questa presentazione. Un po' imbarazzato per questa attenzione, provo a proporre alcune immagini che hanno a che fare con la genesi di questo libro, con la notte fra il 28 e il 29 ottobre quando la natura ci ha inviato un messaggio inequivocabile, con la terza guerra mondiale in corso e che non vogliamo vedere, con una declinazione del concetto di sicurezza come prendersi cura e, infine, con l'Angelus Novus di Paul Klee e quel che ne scrisse Walter Benjamin, apolide che scelse di farla finita di fronte all'ennesimo confine invalicabile. Proprio una serata intensa.

Questo nostro libro si rivela uno strumento davvero utile per almeno provare a disegnare una cornice culturale sul tema sicurezza, per evitare quella subalternità e quella rincorsa che la politica ha dimostrato in questi anni. Mentre scrivo queste righe viene approvato in Parlamento il decreto "sicurezza", una pagina nera e probabilmente incostituzionale. Ma dobbiamo dirci senza infingimenti che questo approccio è l'esito di una deriva che ha ridotto la questione sicurezza ad un problema di ordine pubblico e che ha fatto propria l'idea che un essere umano possa essere clandestino. Senza mai dimenticare che abbiamo usato il pianeta come riserva di caccia di un modello di sviluppo insostenibile.

Da Formigine a Trento sono due ore di automobile. Ho voglia di casa ma rientrare in Trentino non ha più il sapore di prima, quando eravamo una terra che, pur fra mille contraddizioni, ha rappresentato per oltre vent'anni un'anomalia positiva in tutto l'arco alpino. Oggi piove... e il governo è quello che ci meritiamo.

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