"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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domenica, 26 maggio 2019il manifesto della serata

 

L'altra sera ero ad Ala per un incontro dedicato all'Europa promosso dal Circolo locale del Partito Democratico che mi vedeva come unico relatore. Non si trattava di un comizio elettorale, non avrebbe potuto esserlo visto che personalmente non ho ancora deciso a chi oggi andrà il mio voto. Era piuttosto un discorso attorno al progetto politico europeo, a come di è andata formando un'identità culturale europea pur sempre in divenire, alla sua storia indissolubilmente intrecciata con il Mediterraneo, alle nuove geografie che il Novecento ci ha consegnato, alla necessità di cambiare i nostri paradigmi a cominciare dal concetto di stato/nazione.

Ne è venuta una serata densa di immagini e di parole sull'Europa, ben diversa dal confronto spesso volgare cui abbiamo assistito in queste settimane di campagna elettorale tutto giocato sulla vicenda italiana e su quel clima di paura coltivato ad arte per affermare uno slogan che dell'Europa è la negazione: quel “prima gli italiani” che, esteso sul piano europeo nei tanti “prima noi”, significa semplicemente mettere in discussione il progetto politico europeo.

Perché non possiamo non riconoscere che il disegno federalista europeo si sia inceppato. Come già accadde nei primi anni '90 quando in discussione era la Costituzione Europea e quell'atto fondamentale s'infranse attorno all'inserimento nel testo costituzionale del riferimento alle radici cristiano giudaiche dell'Europa. Che avrebbe significato tagliare altre radici e altre storie europee, ma soprattutto quell'intreccio di culture che nell'incontro fra Oriente e Occidente hanno plasmato l'Europa. Non se ne fece nulla, ma il progetto politico europeo s'incagliò.

Ne parlo nel racconto “Europa, storie di confine” (http://michelenardelli.it/commenti.php?id=4302). Da quel momento infatti quel disegno che avrebbe potuto cambiare il corso della vicenda europea venne avversato in ogni modo: dalle guerre in seno all'Europa (Balcani e Ucraina testimoniano un'altra storia rispetto a quella che continuiamo a sentire sui “settant'anni di pace”) alla rinascita dei nazionalismi, dalla destabilizzazione dell'Africa (nella regione dei grandi laghi come in Somalia o in Libia), dal diffuso sorgere dei sovranismi alla Brexit.

Dalla presidenza della Commissione Europea di Romano Prodi che in quel disegno aveva creduto, dalla strategia dell'allargamento al Processo di Barcellona sul Mediterraneo, sembra sia passato un secolo. Con l'insorgere dei sovranismi nazionali e dell'euroscetticismo il clima verso l'Europa è cambiato, a prevalere sono tornati ad essere gli interessi nazionali, come se l'Europa si potesse fondare sulla logica della trattativa e dei rapporti di forza. Dimenticandosi (o forse senza nemmeno sapere) che un'Europa degli Stati nazionali veniva considerata dagli autori del Manifesto di Ventotene come l'equivoco maggiore sulla strada del progetto europeo.

E così siamo giunti alla situazione odierna, con il più basso indice di popolarità dell'Europa e delle sue istituzioni, con una Commissione ampiamente delegittimata (basti pensare a come è stato fatto saltare l'accordo di non proliferazione nucleare dell'Iran che vedeva garante proprio l'Unione Europea), con il processo di allargamento paralizzato, con un Mediterraneo lacerato da guerre causate dall'azione unilaterale di paesi europei (vedi Libia) o su cui si misura un confronto di influenza regionale fra le grandi potenze (pensiamo alla tragedia siriana), con una guerra di bassa intensità ancora in corso nel suo cosiddetto confine orientale (Ucraina). E con il Regno Unito in procinto di abbandonare l'Unione.

Come invertire questa tendenza? Serve un diverso racconto sull'Europa. Sì, un racconto sull'Europa a partire dal suo nascere “fuori di sé” di cui ci parla la mitologia greca; dell'incontro di civiltà quando il centro del mondo era a Oriente e da lì veniva il sapere; di un'identità culturale sincretica rintracciabile nelle parole, nella poesia, nella musica, nel cibo di cui ci ha parlato Predrag Matvejevic nel suo Breviario Mediterraneo; degli idiomi mediterranei scomparsi nel delirio degli stati nazione; del suo continuo divenire “sempre in conflitto fra meriggio e mezzanotte” come ebbe a scrivere Albert Camus1; del secolo di tenebra quando chi non aveva mai visto il mare2 decise di affermare il proprio primato e dell'incapacità – in assenza di elaborazione – di imparare dal passato; del saper leggere i segni del tempo quando anche la natura si ribella alle magnifiche sorti progressive dello sviluppo; del cambio di paradigma che s'impone di fronte all'insostenibilità del nostro modello di sviluppo.

Di questo ho parlato ad Ala e lo stupore nelle persone che forse si aspettavano un comizio (come del resto poteva essere normale ad una settimana dal voto) si è tramutato nell'apprezzamento per il regalo (così lo ha definito Paolo Mondini) di una riflessione di cui nella campagna elettorale proprio non c'è stata traccia.

Nelle prossime ore il voto, ben più delle mie parole, ci fornirà un'istantanea dello stato dell'Unione Europea, dei suoi fantasmi come delle sue speranze. Mi accontenterei semplicemente di una riduzione del danno e con questo spirito oggi andrò a votare, per tenere aperta – pur nella difficoltà di riconoscermi nelle rappresentazioni politiche che sono in campo – almeno una possibilità, verso quel progetto sovranazionale di cui avverto come non mai la necessità e che l'Europa ai miei occhi continua a rappresentare.

1 Albert Camus, L'uomo in rivolta. Bompiani, 1994

2“...Sanno che a perder di vista il mare, si perde il tremolar della marina: si perde l'intelligenza...” Alberto Savinio

mercoledì, 22 maggio 2019La presentazione a Venezia

Firenze, Udine, Venezia, Vicenza... e poi in Trentino, a Cles. Una serie fitta di presentazioni del libro Sicurezza, ma a guardar bene qualcosa di più della semplice proposta di un lavoro editoriale. Come a sentire il polso di altrettante comunità di persone, talvolta molto diverse fra loro ma anche per questo spaccati di una fatica e di uno smarrimento diffusi, laddove i corpi intermedi hanno in buona parte perso la propria capacità di visione e di formazione permanente.

Eppure emerge ovunque il bisogno di spazi di pensiero, pulito dalle scorie di un agire politico scandito dalle emergenze, dalle scadenze elettorali, dai rituali (o quel che ne rimane) della politica ridotta ad esercizio di potere.

Non intendo affatto banalizzare la realtà delle forme associative, posso dire di conoscerla bene e di considerarla comunque più dignitosa rispetto alla logica privatistica dei consigli di amministrazione o, peggio ancora, delle logiche plebiscitarie dei “padri-padroni”. Ma proprio perché ne conosco le dinamiche, so bene quanto sia oggi marginale la dimensione collettiva come terreno di crescita e di confronto.

Vivo personalmente questa solitudine. Dopo una vita di impegno politico attivo mi ritrovo senza un partito di riferimento. Fatto insolito in un percorso politico che, a fronte del non riconoscersi in alcun soggetto politico nazionale, non ha esitato a dar vita a nuove sperimentazioni politiche di natura territoriale. Solitudine che avverto anche sul piano dell'impegno sociale e del volontariato, riscontrando anche in questi luoghi l'incapacità di alzare lo sguardo e di tracciare nuove coordinate di pensiero/azione.

E' questa del resto la ragione prima del Viaggio nella solitudine della politica intrapreso due anni fa e che mi porta ad attraversare i tanti limes di questa lunga transizione fra il non più e il non ancora. Un viaggio di cui ancora non vedo la conclusione e che forse non avrà mai fine, almeno fin quando non verranno meno il piacere della meraviglia e l'energia vitale della ricerca.

Potranno cambiare le forme, certo. In questi mesi ne ho diradato gli itinerari per dedicare un po' di attenzione alla presentazione del libro scritto con Mauro Cereghini su un tema cruciale come quello della “sicurezza”. Eppure anche la presentazione di un libro può diventare essa stessa un itinerario del “viaggio” che mi sta portando sin qui in decine di città italiane e anche qui, in questa terra che fatico a riconoscere, per rendersi conto di quanto sia avvertita la necessità di un nuovo racconto, a fronte di una rappresentazione politica inguardabile, fatta di estenuante ricerca di consenso e per questo usa a dire quel che l'opinione pubblica vuol sentirsi dire.

Il tema della “sicurezza” in questo è rivelatore. Non solo perché è diventato il mantra degli imprenditori della paura ma prima ancora perché rivela appunto tutta l'inadeguatezza dei vecchi paradigmi con i quali ci si ostina a leggere un tempo presente rispetto al quale, effettivamente, c'è di che essere preoccupati. Questo è Sicurezza, un discorso politico sul presente. Attorno al “non più” non ancora elaborato e al “non ancora” che si fatica ad assumere proprio perché i paradigmi disponibili sono ancorati ad un tempo che non c'è più.

Parlarne diviene l'occasione per essere meno soli. Tanto è vero che in ognuna di queste presentazioni emerge una sorta di stupore che avverto nei presenti di fronte al mio racconto così diverso dall'argomentare (si fa per dire) nei talk show televisivi, come se non si aspettassero una traiettoria che prova ad indagare le parole ed il loro significato prima ancora di quel che accade e che fatichiamo a mettere a fuoco.

Di questi incontri vi avrei voluto parlare nel mio diario pressoché in tempo reale, ma davvero non ce l'ho fatta a trovare il tempo per scriverne. Per questo ho deciso di farne una piccola sintesi, anche per conservarne io stesso memoria.

Firenze, la buona politica a teatro

Rifredi. Rione popolare di Firenze dove ancora vivono strutture comunitarie come la Misericordia. Appena tornato da Sarajevo, la Misericordia mi ricorda il Vakuf, complesso comunitario donato alla città dal bey[1] composto in genere da moschea, caravanserraglio, scuola coranica, mensa caritatevole, complesso termale. Alla Misericordia oltre alla chiesa (la Pieve di Santo Stefano in Pane risalente a prima dell'anno Mille) ci sono il pronto soccorso e gli ambulatori di assistenza, la mensa e diverse strutture sportive e ricreative. Fra queste un bar affollato da persone anziane che giocano a carte come se ne vedono sempre più raramente (ma qui, mi spiega l'amico Neri, le Case del Popolo ancora resistono) e il Teatro Nuovo Sentiero, un punto di riferimento per giovani e meno giovani che offre opportunità formative ed un intenso cartello di rappresentazioni. E' nel foyer del teatro che si svolge la presentazione di Sicurezza. Un piccolo spazio che con una ventina di persone sembra affollato, il grande pubblico è altrove e ai piccoli numeri siamo abituati. Come nelle molte presentazioni sin qui realizzate (vedi http://www.michelenardelli.it/temi/sicurezza/pagina-1.html) c'è il desiderio di fornire uno spazio di dialogo politico e con esso il piacere del pensare pulito. E i miei interlocutori, Neri Pollastri e Massimo De Micco, interpretano perfettamente il senso di questa nostra conversazione per cui il clima che si crea fra i presenti è insieme informale ma di grande attenzione. L'amico Neri ne ha già raccontato nel suo blog (ripreso qui in http://michelenardelli.it/commenti.php?id=4295) e non ho nulla da aggiungere. Se non dell'emozione che mi prende nell'ascoltare le parole di Alessandro Becherucci, direttore artistico del teatro, quando a conclusione della presentazione, mi ringrazia per aver portato fin qui la mia riflessione su un tema tanto complesso, invitandomi pubblicamente a ritornare in quel luogo sempre aperto alla politica nel suo significato più nobile e profondo di confronto delle idee.

Udine, in un vecchio caffè

Non avrà la storia del Caffè degli specchi di Trieste ma il Caucigh nel centro storico di Udine ha un suo fascino particolare, come se la storia dei tanti oggetti che ne compongono l'arredamento ne disegnasse un'identità nuova ed antica al tempo stesso. La sala al piano superiore, tutta in legno e riscaldata con una stufa di ghisa, la si potrebbe collocare – fuori dal tempo – in un qualche vecchia città della Polonia ashkenazita, un po' come il suo proprietario un tempo venditore di tappeti ed oggi animatore di questo luogo fra jazz e culture di mezzo. Che si riempie di una piccola comunità politica su invito del Patto per l'Autonomia proprio attorno alla presentazione di Sicurezza. In sala vecchi amici con i quali ho condiviso la ricerca federalista quando a sinistra questa parola rappresentava una sorta di eresia e della Lega che ne farà uno scempio non c'era ancora traccia. Ma soprattutto persone che non conosco, richiamate anche dalla presenza di Mauro Cereghini, sudtirolese d'adozione ma friulano d'origine. A presentarci davanti alla sala gremita è il consigliere regionale Massimo Moretuzzo. Insieme a Giorgio Cavallo, Emilio Gottardo ed altri ci eravamo incontrati qualche mese fa ad Ovaro, in Carnia, nell'itinerario dedicato alla tempesta Vaia del Viaggio nella solitudine della politica. E prima ancora con Giorgio ed altri vecchi amici a Pieve di Soligo, a parlare di autonomia nel giorno del referendum lombardo veneto che naturalmente ha visto la sinistra andare al mare. Facile dunque sintonizzarci su una comune lunghezza d'onda. E la declinazione che proponiamo della parola sicurezza trova un terreno comune di riflessione nei numerosi interventi che seguono gli spunti iniziali e che s'intrecciano con un approccio europeo che qui in particolare, in questo crocevia di mondi, è la risposta a vecchi nazionalismi e nuovi sovranismi. La distanza da Trieste è qui ben più grande dei sessantatre chilometri che la separano dal capoluogo friulano. Ne abbiamo una netta percezione anche il giorno seguente quando la presentazione si sposta nella redazione di Radio Onde Furlane, radio libera che trasmette in lingua furlana da quasi quarant'anni senza far parte di alcun network nazionale. O, per altro verso, nella Fieste dal Pais di San Marc dove si svolge la tradizionale sagra, in questa occasione dedicata alla costituzione della prima Comunità di Slow Food del Friuli cui partecipo con Angelo Giovanazzi. La filiera di questo progetto è quella del Pan e farine dal Friûl di Mieç che oggi coinvolge decine di soggetti fra enti locali, aziende agricole, panifici, piccole botteghe, impegnati nella produzione, trasformazione e distribuzione del frumento, prodotto senza l’utilizzo di pesticidi o fertilizzanti chimici nel territorio del Medio Friuli.

Venezia, nel salotto di Micromega in campo san Maurizio

Non è una piazza facile, Venezia. Ma quel che non ti aspetti, accade. La sala dell'associazione Micromega Arte e Cultura è affollata, evidentemente il loro prestigioso impegno nella presentazione di libri si riverbera anche sul nostro lavoro. Sin dalle parole iniziali di saluto da parte di Franco Avicolli e Roberto Carlon è l'indagine sulle parole a stimolare la nostra conversazione. Sicurezza è senza dubbio una parola scivolosa, una sua declinazione diversa niente affatto scontata. Con Elisabetta Tiveron, che qualche mese fa ci accompagnò nella tappa veneziana dell'itinerario dedicato al limes nord adriatico, partiamo proprio da qui per dar vita ad un confronto che coinvolgerà un pubblico attento e quasi sorpreso dal fatto che la polemica quotidiana non abbia qui alcuna cittadinanza. Insomma, quel che i presenti non si aspettano, la proposta di un pensiero laterale che prova un diverso racconto. Che chiama in causa questo nostro passaggio di tempo, un'interminabile transizione fra una storia conclusa ed un presente che fatica a darsi nuove chiavi di lettura e nuovi paradigmi. Avverto nel volto delle persone e nelle domande che mi vengono rivolte che forse posso spingermi oltre, laddove il pensiero politico (sinistra compresa) mostra i segni più evidenti di inadeguatezza (o di subalternità). Inutile dilungarmi: credo che più delle mie impressioni valga il video https://www.facebook.com/micromegartecultura/videos/304046177178556/?t=0 dell'incontro. Aggiungo solo che a conclusione della presentazione una signora nel chiedermi una dedica su una copia del libro mi dice che in sessant'anni non ha mai avvertito tanto coraggio nell'affrontare nodi così insidiosi. Da rimanere imbarazzato, come del resto nella richiesta di autografare le copie del libro vendute. Questa sera Venezia mi sembra accogliente come non mai.

Vicenza, la fatica dei corpi intermedi

Quando Valentina mi ha chiamato qualche settimana fa per chiedermi di presentare il libro a Vicenza, non avevo inteso che questo sarebbe stato un confronto con la locale Coalizione Civica, una soggettività politica che di fronte al dilagante sentimento di paura intendeva interrogarsi su quali potessero essere le risposte alternative alle politiche di un'amministrazione che dopo le panchine ha pensato bene di tagliare anche il WiFi nei luoghi frequentati dagli stranieri. Per non parlare delle telecamere e di tutto il resto. Quello che dunque avviene al Vicenza Time Cafè è piuttosto una riunione con gli attivisti che non un confronto pubblico, ma va bene così. In fondo può essere utile di tanto in tanto mettere il naso in questi luoghi e confrontarsi con persone impegnate quotidianamente nel cercare un'alternativa alla deriva securitaria. Così nel mio cercare di proporre un profilo alto al confronto, Valentina e le altre persone presenti mi riportano su un terreno ben più pragmatico, ovvero quel che farei se io vestissi i panni dell'assessore comunale alla sicurezza urbana. Provo a smarcarmi nell'insistere sul fatto che se oggi le persone più deboli sono anche quelle più esposte al “prima noi” occorre un nuovo racconto la cui assenza, dopo la fine delle ideologie otto-novecentesche, ha reso le persone ancora più sole. Ma niente da fare, mi riportano lì. Mi fa arrabbiare l'idea che si debba accettare la logica dell'ultimo miglio, quel terreno emergenziale (e almeno in parte fuorviante) senza nemmeno interrogarsi su un umanesimo ipocrita e privo di mondo che abbiamo più o meno consciamente coltivato in nome delle magnifiche sorti progressive dello sviluppo. Mi viene in mente un brano della Storia di un impiegato, quando Fabrizio recita «se fossi stato al vostro posto... ma al vostro posto non ci so stare». Perché serve uno scarto di pensiero, senza il quale le buone pratiche servono a ben poco. Un riposizionamento che è la cornice del quarto capitolo di Sicurezza dedicato al prendersi cura, altrettante tracce di lavoro sulla rigenerazione urbana, sul welfare comunitario, sulla conoscenza, sulle relazioni intergenerazionali, sull'impronta ecologica, sulla pace, sulla cooperazione internazionale... che riprendo una ad una come altrettanti stimoli verso il possibile agire di un assessore alla sicurezza o alla cultura, di un sindaco come di un consigliere di opposizione. Ma com'è difficile cambiare registro...

Nella capitale delle mele e del veleno

L'ultima presentazione di cui vi voglio dar conto è quella che si svolge a Cles. Nella Sala Borghesi Bertolla la presentazione di Sicurezza avviene attraverso un dialogo fra il sottoscritto e il nostro editore. Frate Fabio Scarsato prima di dirigere le Edizioni del Messaggero di Padova era il Guardiano del Convento dei Francescani di Sanzeno, proprio qui in Val di Non. A quel tempo con fra' Fabio nacque un dialogo attraverso le giornate che con il Comune di Sanzeno i frati promuovevano sui grandi temi del nostro tempo. E' così che nel 2009 e nel 2011 partecipai come relatore a due seminari che avevano come oggetto di riflessione il tema della violenza (Meno male) e dell'incontro con l'altro (Gli altri siamo noi). Non era affatto scontato che parlare del «tragico amore per la guerra» o del nostro debito di conoscenza verso il vicino Oriente trovasse ascolto, ma quello sguardo non banale fece breccia. Così nasce Sicurezza, la proposta di arricchire la Collana Parole allo specchio di una parola che nel giro di qualche anno è stata stravolta dal suo significato profondo, quello appunto del prendersi cura. Il dialogo fra noi è stimolante e le persone presenti ci seguono con grande attenzione. Davvero una bella serata, che intendo replicare altrove e non solo in Trentino. E che avrebbe meritato una partecipazione ben maggiore di pubblico (una trentina i presenti) se non fosse che oggi la gente tende ad ascoltare quel che vuol sentirsi dire. Le nostre parole non lisciano il pelo, semmai dicono cose sgradevoli parlando della nostra insostenibilità o della guerra che ciascuno di noi ha dichiarato verso il prossimo quando ha affermato la non negoziabilità del proprio stile di vita. Perché questo è lo scandalo, lo sono i conti correnti cresciuti avvelenando la terra, lo è la cultura dell'indifferenza e dello scarto di cui parla Papa Francesco, lo è quel prima noi che anche in questa valle che pure ha conosciuto il dolore della miseria e dell'emigrazione è prevalso nelle ultime tornate elettorali. Scorgo nelle parole di Fabio l'amarezza della solitudine ma anche la nostalgia verso questa terra e la sua gente. Così ci promettiamo di tornarci insieme.

Altre presentazioni ci attendono a breve, Belluno, Lavis, Brescia...

Quando con Mauro ci siamo cimentati nella scrittura di questo libro non eravamo del tutto convinti del nostro lavoro. Oggi dobbiamo ringraziare fra' Fabio perché questo libricino ci offre uno strumento molto efficace di dialogo la cui attualità cresce con la fatica e l'inquietudine di questo povero tempo nostro. Tanto che a breve ci aspetta una seconda ristampa.