"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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sabato, 15 febbraio 2020Un'immagine dell'incontro alla Libreria Arcadia di Rovereto

C'è una comunità di pensiero che, malgrado il protrarsi della crisi dei corpi intermedi, non ha mai smesso di osservare in maniera attenta e curiosa il proprio tempo, di interrogarsi sull'intrecciarsi delle crisi che devastano il pianeta, di riflettere criticamente sui paradigmi della modernità che ne sono all'origine e di immaginare nuovi scenari.

E' questa la considerazione che mi viene dalla serata di presentazione del libro “Il monito della ninfea” alla libreria Arcadia di Rovereto. Ad interloquire con gli autori Diego Cason e Michele Nardelli era l'antropologo Annibale Salsa, già presidente del Club Alpino Italiano e presidente del Comitato Scientifico di Accademia della Montagna del Trentino. E davvero la sintonia si è rivelata profonda, a partire da alcuni temi cruciali come la cultura del limite, il rapporto fra uomo e natura nella costruzione del paesaggio, il federalismo. Paradigmi che faticano a trovare cittadinanza politica, tanto è vero che le culture politiche novecentesche li hanno marginalizzati rendendoli eretici.

Non è casuale che la presentazione di un libro sugli effetti e sul messaggio di Vaia sia partita proprio dalla questione dell'autogoverno. Perché se c'è una questione che la tragedia di un anno fa ha evidenziato è la relazione fra abbandono della montagna e tenuta degli istituti di governo del territorio. Come non è casuale che questo sia stato il cuore della relazione avviata una decina d'anni fa fra gli autori del libro proprio attorno al tema della formazione della Regione Dolomiti come progetto sovraregionale in una prospettiva europea.

Per investire – nel corso della serata – i grandi nodi del nostro tempo, laddove la devastazione dei boschi dolomitici si connette con l'acqua alta di Venezia, con lo scioglimento dei ghiacciai alpini e quelli dell'Artico, con il fuoco che incenerisce l'Australia, la foresta amazzonica o la California, con le locuste che fanno terra bruciata di aree già provate ed impoverite del Corno d'Africa, con l'inurbamento senza limiti ed il formarsi di megalopoli dove l'insorgere di nuove e gravi patologie è all'ordine del giorno, facce diverse di un'unica crisi climatica e sociale che dell'oltrepassamento del limite è l'espressione ormai evidente.

Una comunità di pensiero che si ritrova. Dobbiamo ringraziare la Libreria Arcadia di aver favorito questo incontro, di persone e di libri. Perché qualche settimana prima de “Il monito della ninfea” è uscito per l'editore Donzelli “I paesaggi delle Alpi”, due libri che dialogano fra loro senza che gli autori ne avessero avuto prima l'occasione. Così quella di Rovereto, in una libreria gremita malgrado l'orario insolito di un sabato sera, si potrebbe rivelare la prima di una serie di altri momenti comuni e di altre serate come questa.

sabato, 1 febbraio 2020Marina Pivetta

«Se nella relazione si considera l'altro, o l'altra, non un oggetto ma un soggetto

 viene spontaneo mettere in atto comportamenti come l'ascolto,

 la capacità di darsi e il senso del limite.

 Nasce così un dialogo in grado di accrescere le potenzialità di entrambi

 e questo è il presupposto del cambiamento di ciò che ci circonda»

 

Marina Pivetta

 

(intervento nel convegno “Se vuoi la pace, prepara la liberazione”

svoltosi a Trento il 13 aprile 1991)



Sapevo del male contro cui stava lottando. Stefano me ne aveva parlato qualche mese fa. Ma proprio non avevo messo in conto di andare a Castelluccio (borgo nei pressi di Porretta Terme, nel cuore dell'Appennino tosco-emiliano) per un ultimo saluto a Marina. Nella sua amata “casa rossa” che lei aveva immaginato come dimora degli anni in cui tirare il fiato dopo una vita senza mai risparmiarsi, fra le braccia di quella sua terra madre e di una storia famigliare di cui andava orgogliosa.

Ci eravamo visti con Marina Pivetta e Stefano Semenzato dieci anni fa, era il 27 aprile del 2010 (così mi racconta questo mio diario). Ero andato a Roma per cose che già in partenza sapevo che non valevano la pena e, come spesso accadeva, avevo trovato rifugio in quel luogo amico che era la loro casa. Quella volta in realtà era andata diversamente. Era un tardo pomeriggio e mi aspettava l'ultimo volo per Verona. Così andammo a cena insieme a Fiumicino, in riva al mare, in fondo non molto distante dal luogo da cui sarei ripartito verso casa.

Ricordo una buonissima frittura di pesce. Ma soprattutto il calore e la dolcezza di quella serata, come in un reciproco coccolarsi nella crescente estraneità verso le cose del mondo e delle meschinità della vita. Nessun reducismo, nessun rancore. La consapevolezza, invece, del lavoro profuso, del valore delle relazioni intessute e del piacere del riprendersi il tempo in altre stagioni mai lesinato.

Per Marina aveva significato, e ancora significava, un lungo tragitto attraverso l'universo femminile e femminista, mettendo in gioco tutta se stessa, la sua sensibilità e la sua competenza. Marina era insieme tante cose: donna e madre, militante e giornalista. E poi, come sabato scorso ci ha raccontato Stefano, anche un po' strega. E tutte queste cose sapevano abitare in lei naturalmente, senza separatezza.

Immagino che non ci sia luogo dell'arcipelago delle donne con il quale Marina non abbia in qualche modo interagito. A partire dalle sue creature, “Radio Donna”, “Quotidiano Donna”, “Paese delle donne” in Paese Sera, “Il Foglio de il Paese delle donne” e “paesedelledonne-on line” e tante altre esperienze ancora, Marina c'era sempre. Che non si fermava di certo sulla soglia del suo impegno professionale di giornalista, nel Quotidiano dei lavoratori prima e in Rai poi, perché non si è “prestati alla politica”, ma si è politica, come scrive Sandra Macci (http://www.womenews.net/per-marina-pivetta-un-rcacconto-di-sandra-macci/), soprattutto quella politica delle donne «che ci ha fatto vivere, divertire, ballare e scrivere».

Di questa dimensione inclusiva, che sa accogliere e prendersi cura, e che di Marina costituiva il profilo essenziale, parlano i ricordi e le testimonianze. Anche a Castelluccio tutto questo si poteva avvertire. Risuonava nelle parole “così avrebbe voluto Marina” con cui Stefano e Paola ci hanno proposto un vin brulè per riscaldarci. Valgono per Marina le parole che Hans Jonas dedicò ad Hannah Arendt proprio nel giorno del suo funerale: «Aveva il genio dell'amicizia».

Grazie Marina, per il calore di dieci anni fa e per tutto quello che hai saputo dare nel tuo percorso di vita. (m.n.)

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