"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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martedì, 1 settembre 2020L'incontro a Cavalese

Dopo Ala, di cui ho già parlato in questo diario, presentiamo “Il monito della ninfea” a Costalta di Cadore, Agordo, Castello Tesino, Cavalese, Dosoledo e, ultimo in ordine cronologico, in Val di Sella. In questi borghi e località delle valli dolomitiche Vaia ha lasciato il segno.

Due anni dopo la tragedia, soprattutto in provincia di Belluno ma anche in Trentino, si ha l'impressione che una buona parte degli alberi sradicati rimarranno dove il vento li ha sradicati o spezzati fino a consunzione. Perché le aree sono impervie, perché il legname migliore è stato prelevato, perché il costo del prelievo è maggiore di quanto si può ricavare dalla vendita, perché gli enti locali sono stati lasciati soli... le ragioni sono molte.

Anche là dove il legname è stato recuperato, il paesaggio che si presenta è di migliaia di ceppaie divelte e di declivi segnati pesantemente da strade forestali improvvisate percorse dai mezzi cingolati. Solo in alcune aree circoscritte sono in azione le ruspe per ripristinare un pascolo scomparso nel corso dei decenni di abbandono. Nella speranza che un processo di ritorno alla montagna si possa concretizzare.

Ai margini del bosco, laddove le piante si sono indebolite, il bostrico sta seccando migliaia di alberi. Come un'azione a scopo ritardato, questi insetti rappresentano l'onda lunga di Vaia. Così come il susseguirsi di altri eventi estremi che si abbattono su boschi resi oltremodo fragiliti dal vento di due anni fa.

E poi ognuno di questi luoghi ha una storia da raccontare, che in qualche modo fa da cornice alla tragedia di fine ottobre 2018.

Costalta di Cadore è una frazione di San Pietro di 480 anime, abbarbicata come recita il suo nome su una costa scoscesa del Monte Zovo a circa 1300 metri sul livello del mare. Siamo nel Comelico, la parte del Cadore a ridosso del confine con l'Austria, in provincia di Belluno. Una comunità ladina che ha saputo salvaguardare oltre alla lingua anche la struttura architettonica del borgo, con le sue tipiche costruzioni in legno che, con il turismo, rappresenta la principale risorsa del territorio. Non solo legname da vendere, ma anche materiale prezioso per lavorazioni artigianali di varia natura. Qui Vaia non ha prodotto danni diretti, ma nessuno può chiamarsi fuori. Al contrario l'affollamento estivo sembra attenuare anche le conseguenze della pandemia.

La persona che ci accoglie è Lucio Eicher Clere che con Marta, sono i continuatori in quarta generazione di una tradizione famigliare che ha garantito al paese di Costalta la bontà del "pön di Clere". Il panificio è anche ristorante nonché la sede dell'albergo diffuso. Il borgo è ben curato e malgrado nel tempo sia cresciuto è riuscito a mantenere pressoché intatto il suo fascino. Anche i Casonzei che mangiamo (proposti con 23 gusti di ripieno) sono strepitosi.

Lucio si aspetta una buona partecipazione alla nostra presentazione nella Stua Cultural, ma il cielo è carico di nubi e di pioggia e la temperatura non invita certo ad uscire di casa. Ciò nonostante un gruppo di coraggiosi partecipa alla presentazione che nel confronto con i presenti si protrae fino a tarda notte. Ad interloquire con gli autori è Samuele De Bettin. Samuele ha trovato il libro molto interessante tanto da paragonare il nostro lavoro come “lo sguardo dell'aquila”, una visione d'insieme che proviamo a trasmettere al pubblico presente. Del libto, Lucio ne prende dieci copie da mettere a disposizione nel panificio/ristorante/albergo diffuso dove lo si può trovare.

Il giorno seguente siamo ad Agordo. Un borgo importante lungo il fiume Cordevole, con una forte tradizione montana (fu una delle prime sedi del CAI) e industraile/mineraria considerato che qui nel 1961 è nata Luxottica, multinazionale della produzione degli occhiali ora presente in 150 paesi.

Nella Sala Don Tamis grande a sufficienza ad ospitare il folto pubblico ad una distanza di sicurezza, si svolge un confronto moderato dal giornalista Gianni Santomaso e che vede protagonista, oltre agli autori del libro, anche il professor Cesare Lasen, botanico feltrino molto noto e stimato, primo presidente del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi e membro del Comitato scientifico della Fondazione Dolomiti Unesco. Qui come altrove abbiamo la positiva sensazione che la crisi climatica possa rappresentare un terreno di riflessione capace di scompaginare gli approcci culturali e gli schieramenti tradizionali e che le nostre considerazioni possano essere capaci di parlare almeno a chi s'interroga sull'incertezza del presente.

E' questo infatti un libro zeppo di dati, quasi un bignami sulla fragilità dell'ambiente (e delle comunità) delle montagne dolomitiche, da cui si parte per un indagine su quelle della nostra amica fragile, la Terra. Un approccio concreto che ci aiuta a sostenere la necessità di rivedere in profondità i paradigmi sui quali si è fondato il pensiero moderno e il suo delirio antropocentrico.

Così il sindaco di Agordo Roberto Chissalè va oltre il saluto di circostanza, per ringraziarci di una riflessione che propone uno sguardo d'insieme sulle crisi che attraversano il nostro tempo. Accadrà anche Cavalese con l'ex sindaco Mauro Gilmozzi e a Malga Costa con il sindaco di Borgo Valsugana, Enrico Galvan.

Non facciamo in tempo ad iniziare l'incontro all'aperto presso il Centro flora e fauna che il cielo si rabbuia e si scatena un forte temporale. Il che si rivelerà non male perché la nostra presentazione avverrà in un ambiente del tutto particolare che ci racconta di quanto la nostra specie sia parte della natura, ben oltre la presunta signoria dell'uomo detto sapiens-sapiens.

Siamo a Castello Tesino, nel principale borgo di quella Valle da cui partivano nella seconda metà del Settecento i mercanti di stampe proibite, un'affascinante storia europea raccontata da Paolo Malaguti1. L'incontro è promosso dalla biblioteca civica e a fare gli onori di casa è Nicola Sordo, consigliere delegato alla cultura, per altro al suo ultimo giorno di mandato. Che per prima cosa, ma la sua domanda non è certo casuale, chiede ai presenti se siano del luogo oppure ospiti di un turismo che ha scelto la quiete del Lagorai. Il veloce sondaggio fra i partecipanti ci dice che soltanto due sono i residenti del posto (un'amica venuta a salutarci e lo stesso Nicola) mentre tutti gli altri vengono dall'Emilia Romagna, dal Veneto, dalla Lombardia e dal Trentino. Nicola non si ricandiderà.

C'è da chiedersi la ragione di una siffatta disattenzione attorno ad un tema come quello che il nostro libro affronta, tutt'altro che estraneo alla comunità del Tesino anche se qui Vaia è stata più clemente che altrove. Forse riconducibile proprio alla metafora che ha dato il titolo al libro, quel monito della ninfea che fino al giorno precedente alla saturazione dello stagno ancora non sembra preoccupare lo sguardo disattento di chi non sa vedere oltre il proprio naso.

Come sta accadendo nelle presentazioni di questo libro, il confronto animato da Walter Nicoletti è stimolante e non si ferma solo alla tragedia che ha investito le Dolomiti due anni fa, ma investe il presente e l'insostenibilità del nostro modello di sviluppo. Un confronto politico con la P maiuscola, quel che dovrebbe ricercare ogni corpo intermedio in un tempo tanto denso di inquietudine ma che, fra autoreferenzialità e aridità, non avviene.

A Cavalese siamo ospiti della Magnifica Comunità, antica istituzione di autogoverno delle proprietà collettive della Valle di Fiemme. Nel cortile dello splendido Palazzo realizzato intorno alla fine del XIII secolo è stato allestito lo spazio per la presentazione del libro “Il monito della ninfea”, in ossequio alle regole del distanziamento. E malgrado la concomitanza con un altro evento culturale i posti a sedere sono tutti occupati. A fare gli onori di casa è Mauro Gilmozzi, per tanti anni sindaco di Cavalese e poi assessore della Provincia Autonoma di Trento per due legislature. Storie politiche, le nostre, molto diverse ma è proprio per questo che le sue parole sul nostro libro sono ancora più significative, a testimonianza di un percorso di ricerca personale tutt'altro che banale. A moderare la serata è Domenico Sartori, giornalista de “L'Adige” particolarmente attento al territorio che, rivolgendosi al professor Ugo Morelli e agli autori, chiede: “che cosa deve ancora accadere?” Domanda cruciale, perché chiama in causa non solo gli aspetti relativi alla crisi climatica ma anche la nostra capacità di percezione, la nostra (falsa) coscienza e di rimozione, il nostro rapporto con gli altri esseri viventi e, infine, con la nostra paura che non va esorcizzata ma riconosciuta e accompagnata. Ed è proprio attorno a questi nodi cruciali che si sviluppa l'intervento di Ugo Morelli, particolarmente seguito ed apprezzato con un significativo applauso delle molte persone presenti. Che seguiranno gli interventi degli autori e il dibattito che ne segue fino a tardi.

Anche a Dosoledo nel Comelico la presentazione del libro – che si svolge significativamente nel Palazzo della Regola – è molto partecipata. Personalmente non sono nel Comelico anche perché devo rivedere il testo del libro e apportare qualche piccola correzione. L'editore ci annuncia infatti che si va alla ristampa, essendo pressoché esaurita la prima. Il che significa che già quasi mille copie (malgrado tre mesi di lockdown) sono già state vendute, niente male davvero. Seguo quindi a distanza la serata, con un breve saluto e qualche osservazione in diretta, cercando di mettere in rilievo come, a fronte del fatto che le regioni colpite da Vaia non abbiano avvertito la necessità di coordinarsi sugli interventi immediati, né sulla gestione del patrimonio boschivo abbattuto e tanto meno sul futuro, questo libro ci aiuti a mettere in comunicazione “la regione che non c'è”, quella Regione Dolomiti che – in una visione europea – potrebbe indicarci la strada per una nuova dimensione politico/istituzionale a geografia variabile. Perché i nostri territori sono già così, nella loro storia come nei flussi culturali e dunque nelle loro identità sempre in divenire.

Un confronto sul tema dell'autogoverno, fin qui lasciato alla gestione dei sovranisti del “prima noi” che del federalismo hanno fatto strame. “Prima noi” nel caso di Vaia ha significato che i più forti hanno spuntato un prezzi del legno molto superiore di chi aveva meno strumenti e più bisogno di risorse economiche. Vorrei dire che un libro scritto a quattro mani, trentine e bellunesi, è in sé un'indicazione di prospettiva.

Da ultima, sabato scorso, la Val di Sella. Ospiti di Arte Sella, prima esperienza in Italia di land art, pesantemente colpita in prima persona dalla furia di Vaia, questa presentazione aveva per noi un valore tutto particolare. E così è stato. Perché nonostante una pioggia torrenziale che ci riportava a quella tragica notte dell'ottobre 2018, la presentazione non solo si è svolta puntualmente ma la sala di Malga Costa era affollata e il confronto particolarmente stimolante. Se c'era un luogo in cui il bosco non poteva essere ridotto ad un ammasso di metri cubi di legname era proprio questo e così è stato. Grazie a Walter Nicoletti che ha moderato il confronto, grazie alle anime di Arte Sella (Giacomo Bianchi ed Emanuela Montibeller), grazie agli interventi dal pubblico fra i quali il sindaco di Borgo Valsugana e all'impostazione che abbiamo cercato di dare con i nostri interventi, l'incontro è stato – a detta di molti dei presenti – un'interessante disamina del nostro tempo, delle inquietudini come dei pensieri che lo attraversano. Per mettere in luce l'urgenza di un cambiamento che, prima ancora che di governo, dovrebbe essere dei paradigmi che ne sono alla base.

La pioggia non si placa, i fiumi si ingrossano fino ad esondare. Facciamo in tempo a ritornare verso le nostre case, che cominciano ad arrivare le notizie dei disastri che questo ennesimo evento estremo sta provocando in territori sempre più infragiliti dall'incuria e dal delirio di onnipotenza dell'uomo. Frane, esondazioni, allagamenti, raccolti distrutti, alberi abbattuti, vite andate perdute... temo che del monito della ninfea ne dovremo parlare ancora a lungo.

1Paolo Malaguti, I mercanti di stampe proibite. Santi Quaranta editore, 2013