"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

25/08/2016 -
Il diario di Michele Nardelli
Travnik, il Caffè da Lutvo

Ieri sera a Lavis, per parlare di Bosnia Erzegovina, di Europa e di noi venticinque anni dopo. Una serata di agosto, come era agosto quando le prime bombe incendiarie arrivarono sulla Vjiesnica, la grande biblioteca nazionale di Sarajevo. E già lì avremmo dovuto capire.

Così non è stato e quindi un po' mi sorprende vedere i tavolini dello spazio del bar al Parco Urbano del borgo a nord di Trento gremiti di persone, volti conosciuti(ma anche questo non è affatto scontato) e poi molte persone che non lo sono affatto.

Il pretesto è un racconto di viaggio di quattro amici, le immagini e le sensazioni che si sono portati via. E da lì partiamo per porci qualche domanda, semplice ed essenziale. Che cosa è accaduto nel cuore dell'Europa negli anni '90? E poi... Che cosa abbiamo imparato dalla “guerra dei dieci anni”?

Perché se avessimo compreso ciò che stava avvenendo e se ne avessimo successivamente tratto una qualche lezione, beh, forse oggi ci troveremmo un po' più attrezzati ad affrontare la guerra in cui siamo immersi. Diversa, certo, da quella che ha devastato le vite e i luoghi della Bosnia Erzegovina o del Kosovo, ma non per questo meno tragica e di cui vediamo quotidianamente gli effetti anche dove pensiamo di essere al riparo come nel nostro ricco Trentino. Siamo nell'interdipendenza, se non l'avessimo ancora compreso.

Perché – come provo a spiegare a chi mi ascolta – i Balcani sono stati una sfera di cristallo sulla postmoderntà, per comprendere che cosa sono le nuove guerre (gli affari, l'offshore...), i rinascenti nazionalismi (delirio del Novecento niente affatto elaborato tanto da commuoverci di fronte ad una bandiera), l'immensa sperimentazione sociale (nella creazione in piena Europa di una vasta regione in preda alla massima deregolazione), la demolizione del progetto politico europeo (nell'insorgere di nuovi stati e nuovi confini), il rancore verso la cultura (quale antidoto allo scontro di civiltà).

Non sono andato nel cuore dell'Europa per vent'anni semplicemente per portare aiuti e solidarietà a qualcuno che pure ne aveva bisogno. Ci sono stato per comprendere quel che stava accadendo, per vedere oltre l'apparenza e l'emergenza, per capire dove andremo a finire.

Si dice che i Balcani producano più storia di quella che riescono a consumare... dovremmo almeno cercare di farne tesoro. Così, evidentemente, non è stato ed anche chi ha attraversato quel mare che ci separa e ci unisce con le più buone intenzioni spesso si è fermato sulla soglia della storia, come annebbiato dagli orrori o dalla banalità del bene.

Per comprendere tutto questo un viaggio forse non basta, ma può servire. Parlarne in una serata di agosto nel parco di un borgo operoso come Lavis credo possa fare bene.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da ezio il 26 agosto 2016 21:32
    grazie Michele: riesci sempre a porci nuovi interrogativi.
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