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Lo stato attuale del clima
Rispetto al Quinto rapporto di valutazione dell’IPCC (AR5) sono migliorate le stime basate sulle osservazioni e le informazioni dagli archivi paleoclimatici, che forniscono una visione completa di ogni componente del sistema climatico e dei suoi cambiamenti fino ad oggi. Nuove simulazioni dei modelli climatici, nuove analisi e metodi che combinano numerose evidenze, portano ad una migliore comprensione dell’influenza umana su un’ampia gamma di variabili climatiche, compresi gli estremi meteo-climatici.
È inequivocabile che l’influenza umana ha riscaldato l’atmosfera, l’oceano e le terre emerse. Si sono verificati cambiamenti diffusi e rapidi nell’atmosfera, nell’oceano, nella criosfera e nella biosfera.
- Gli aumenti osservati nelle concentrazioni di gas serra (GHG) dal 1750 circa sono inequivocabilmente causati da attività umane. Dal 2011 le concentrazioni in atmosfera hanno continuato ad aumentare, raggiungendo nel 2019 medie annuali di 410 ppm per l’anidride carbonica (CO2), 1.866 ppb per il metano (CH4), e 332 ppb per il protossido di azoto (N2O).
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(20 luglio 2016) Con la sentenza del Tribunale di Ivrea nel processo per le morti da amianto alla Olivetti è arrivata la condanna a cinque anni e due mesi di reclusione per Carlo e Franco De Benedetti, a un anno e 11 mesi per Corrado Passera. Le imputazioni, a vario titolo, vanno dal concorso in omicidio colposo alle lesioni e si riferiscono ai decessi di dieci operai, fra il 2008 e il 2013, che fra la fine degli anni 70 e l'inizio dei 90 lavorarono alla Olivetti e si ammalarono di mesotelioma pleurico. Siamo solo al giudizio di primo grado, ma intanto la cappa di impunità che fin qui ha coperto le responsabilità di chi conosceva il rapporto di causa-effetto nella lavorazione della fibra di amianto e l'insorgenza del mesotelioma pleurico comincia a scricchiolare.
Non dimentichiamo che l'amianto in gran parte del pianeta non è stato ancora messo fuorilegge e che anche laddove ciò è avvenuto, come in Italia, il lavoro di bonifica del territorio è ben lungi dall'essere realizzato. E lo stesso vale per il Trentino, dove pure nella scorsa legislatura abbiamo legiferato su mia proposta per l'obbligatorietà della bonifica. Si tratta della legge provinciale n.5/2012 la cui attuazione va purtroppo a rilento. Una legge all'avanguardia che però l'amministrazione provinciale ha finanziato a singhiozzo riducendo progressivamente gli stanziamenti e non attuando gli impegni di informazione previsti dalla legge presso la nostra comunità.
Un'eredità pesante ed ingombrante, per certi versi paradigmatica delle sorti magnifiche e progressive dello sviluppo.
Voglio riprendere la questione attraverso la ripubblicazione della scheda sull'utilizzo dell'amianto e il testo della LP 5/2012 (in allegato).
sabato, 30 aprile 2016 ore 17:30

Una passeggiata interculturale tra suoni, parole, pensieri
“Un posto non può solamente esistere, deve essere inventato nell’immaginazione (Amitav Gosh, “Le linee d’ombra”). Posti e luoghi non sono quel che sono finché qualcuno non li crea con il pensiero, non li costruisce abitandoli o anche solo non li immagina, riempiendoli di significato.
Così la montagna non è solo un territorio fisico, definito da altitudine e morfologia, ma un complesso sistema culturale fatto di segni, tradizioni, esperienze, pratiche che si sono sedimentate nei secoli: un sistema culturale in continua trasformazione, impossibile da immobilizzare nel tempo.
La montagna, per le comunità trentine di lungo insediamento, rappresenta un importante elemento di costruzione identitaria. Spazio dell’economia (l’alpeggio, la silvicoltura, l’agricoltura di versante …), fronte di guerra con la tragedia della Guerra Bianca, frontiera del moderno turismo, luogo privilegiato dello svago, del tempo liberato, del loisir.
Ancora oggi, pur condizionato dai continui mutamenti culturali e sociali, la montagna rimane dunque un fattore di grande importanza nella “pratica dell’identità”: lo sci d’inverno, il trekking d’estate, il pranzo la domenica in malga o in rifugio, l’uscita in mountain bike, non sono semplici attività di svago, ma definiscono un terreno comune di identificazione comunitaria. Identità qui intesa come prodotto culturale, non come elemento primigenio, assoluto, cristallizzato fuori dalla storia.
Trento, percorso nel cuore della città e Piazza Fiera

di Ugo Morelli
(20 maggio 2016) Se vogliamo uscire dalle strettoie dei confini come gabbie, quei confini li dobbiamo reimmaginare. In questo compito storico le società locali hanno e possono avere una funzione decisiva. Quelle autonome e di frontiera, poi, potrebbero essere laboratorio di soluzioni originali.
Non si può, naturalmente, fare nulla di tutto questo oggi, senza connettere il tema dei confini con quello delle migrazioni e della crisi degli Stati-Nazione. Come si intuisce la questione è tale da indicare ai sistemi locali come Bolzano e Trento un autentico salto di qualità nel modo di pensare e di pensarsi.

La vittoria del SÌ al referendum del 17 aprile potrebbe dare una spallata ad un castello di bugie e mostrare che la strada verso la democrazia energetica, verso una promozione sostenibile dei talenti sani dei nostri territori (paesaggio, cultura, turismo, pesca e agricoltura sostenibili, eccellenze agro-alimentari) è segnata e che non si torna più indietro.
di Annalisa Corrado*
(31 marzo 2016) Pensavo fosse incompetenza o mancanza di visione. Fresca di laurea, folgorata sulla via dell’energia come “madre di tutte le battaglie” da combattere (contro le crisi internazionali, i ricatti dei potenti detentori delle risorse, contro le crisi sociale, ambientale e poi anche economica), ero ingegneristicamente innamorata dell’idea che sole, vento, biomassa, maree e calore della Terra, assieme alle intelligenti evoluzioni della tecnologia, avrebbero mostrato di lì a poco la via per costruire una nuova “democrazia energetica” e, ingenuamente, pensavo il freno fosse causato “solo” dalla manifesta incapacità strategica di un apparato politico/burocratico stanco, cinico e clientelare. invece sbagliavo di grosso.

Dal sito https://pontidivista.wordpress.com/ la bella riflessione di Federico Zappini
di Federico Zappini
(30 aprile 2016) A due settimane esatte dal referendum sulle trivellazioni in mare (domenica 17 aprile) non avrebbe senso tornare sui numeri (tanti? pochi?), così come non sarebbe d’interesse alcuno – Ilvo Diamanti lo ha già fatto puntualmente… – soffermarsi sui molteplici significati dell’astensionismo e sul valore dello strumento referendario. Non cercherò neppure di orientare la mia breve riflessione dentro il poco entusiasmante (almeno per me) percorso che condurrà alla battaglia d’autunno sulle riforme costituzionali. Altro referendum – ma senza quorum – con le amministrative di primavera come passaggio intermedio. E’ necessario invece chiedersi cosa – “fenomeno” #ciaone a parte – rimanga oggi del dibattito nato attorno alla mobilitazione #notriv.

Il referendum per fermare le trivellazioni alla scadenza delle concessioni non ha raggiunto il quorum necessario del 50% più uno degli aventi diritto, fermandosi a quota 31,2%. E' prevalso l'appello all'astensionismo, nobilitando la diserzione dalle urne e la crescente disaffezione verso la partecipazione. Che il governo Renzi si faccia forte di questo risultato, manifestando disprezzo verso milioni di persone che hanno espresso con il voto la loro opinione e il loro senso civico non fa che approfondire la distanza (certamente la mia) da questa politica.
Per un quadro dettagliato sull'esito del referendum www.repubblica.it/static/speciale/2016/referendum/trivellazioni
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di Michele Nardelli
(14 aprile 2016) E' la prima volta che il popolo italiano è chiamato ad un referendum proposto dalle Regioni, più precisamente da nove Consigli Regionali (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto). Che ciò avvenga su un tema che investe l'idea stessa di sviluppo ci racconta molte cose.
Il neo-centralismo statalista
Ci racconta in primo luogo di un decreto (il “Salva Italia”) che ha espropriato le Regioni dalla competenza in materia energetica che con fatica le stesse avevano conquistato. Solo grazie alla nostra autonomia in Trentino ci siamo salvati dalla ri-nazionalizzazione delle centrali idroelettriche, ma la tendenza neo-centralistica appare inequivocabile.
E' bastato creare nell'opinione pubblica un clima ostile alle Regioni ed è stato un gioco da ragazzi far riemergere una cultura centralistica avversa ad ogni forma di autogoverno. Su questo aspetto, ahimè, non c'è destra o sinistra che tenga, quello centralistico è un approccio che passa in maniera trasversale nell'insieme del panorama politico.

«Tempi interessanti» (33)
di Michele Nardelli
... Possiamo forse far finta di nulla? Allora la domanda che si pone il teologo Paul Renner nel suo forte richiamo di questi giorni sul Tunnel di base del Brennero è più che mai legittima. Immaginiamo che fra vent'anni, quando forse l'opera sarà conclusa, non sia cambiato nulla? Se fosse così il Tunnel del Brennero potrà anche essere percorribile ma lo scenario tutto intorno sarà di certo ben poco desiderabile. E non solo per le sorgenti prosciugate, ma perché il deserto (non solo ambientale) sarà più ampio e inquietante.

di Giuliano Beltrami *
Uomini e animali, un rapporto millenario e leale. Ci fu un tempo... La prendiamo alla larga per dire (senza romanticismi o nostalgie. Vuoi avere nostalgia per la povertà?), ci fu un tempo, dicevamo, in cui ogni paese dell’arco alpino, in un’economia chiusa, aveva le sue malghe, sempre monticate. E i suoi riti. Come la scelta del “vachèr”, del sottoposto, del “casèr”, degli aiutanti. Per dirla in italiano, il pastore, il casaro e giù giù fino ai bocia. La strada che conduceva ai pascoli e alle malghe in alcuni paesi veniva sistemata attraverso il lavoro degli stessi allevatori, che davano le “ore” (di volontariato) in base al numero di vacche che avevano nella stalla. In quel tempo (sono passati alcuni decenni, ma nemmeno tanti) a metà stagione si faceva la pesa del formaggio, e se ne faceva una (definitiva) alla fine della stagione.

di Francesco Picciotto *
(27 gennaio 2016) In questi giorni Gustavo Zagrebelsky ci ripropone una riflessione importante (dico ci ripropone perché la stessa, con qualche piccola variazione, era stata alla base di un suo intervento nel 2012 al Science & Democracy Forum).
Zagrebelsky articola il suo pensiero a partire dalla lettura di un testo che io apprezzo molto (Collasso: la scomparsa della civiltà) scritto da un autore che apprezzo moltissimo: Jared Diamond (la differenza fra molto e moltissimo sta nel fatto che il suo testo che apprezzo di più è “Armi, acciaio e malattie”).
In breve (per quanto sia possibile trattare in breve una tesi così articolata) Zagrebelsky afferma che ciò che è accaduto sull’Isola di Pasqua sia di fatto un “esperimento in vitro” di ciò che potrebbe accadere (e che forse sta già accadendo) sul nostro pianeta. Questa sua affermazione secondo me viene da una lettura un po’ troppo semplificata della teoria di Diamond (d’altra parte Zagrebelsky è un giurista e per quanto ne sappia anche l’unico in Italia che tenti, a partire dal suo campo, una sintesi interdisciplinare coraggiosa fra giurisprudenza, sociologia, antropologia ed ecologia) che nel suo mettere a confronto diverse “esperienze umane” in varie parti del mondo e in varie epoche, riconosce alla componente ambientale ed ecologica una responsabilità fondamentale nell’avvenuto collasso di alcune civiltà o nell’aver trovato, da parte di altre, una soluzione. Ma in uno con la componente ambientale ne riconosce, se non vado errato altre 11, che definiscono una vera e propria matrice che una volta applicata ci dice di più sulle ragioni di successo o di un successo di una civiltà all’interno del proprio contesto storico ed ambientale.
giovedì, 14 gennaio 2016 ore 20:30
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Qual è la portata degli accordi raggiunti a Parigi? Basteranno a limitare l’innalzamento della temperatura al di sotto dei 2°C? Ci si poteva aspettare di più? Cosa può fare il singolo cittadino?
Per rispondere a queste e ad altre domande abbiamo invitato a parlarne:
Luca Mercalli - climatologo e meteorologo, autore di diverse pubblicazioni e conduttore della trasmissione televisiva “Scala Mercalli”. Presidente della Società Meteorologica Italiana, direttore della rivista Nimbus (www.nimbus.it), svolge intensa attività didattica per scuole e università e di informazione come editorialista per La Stampa e La Repubblica.
Agenzia di Stampa Giovanile - delegazione trentina alla COP21, nell’ambito del progetto promosso dall’Associazione In Medias Res e dall'Associazione Viração con il sostegno dell’Assessorato Provinciale alla Cooperazione e allo Sviluppo.
Modera l'incontro:
Roberto Barbiero - climatologo, Osservatorio Trentino per il Clima.
Trento, Muse - Museo delle Scienze, Corso del lavoro e della scienza 3

di Tonio Dell'Olio
(15 dicembre 2015) Il risultato finale della Conferenza mondiale sul clima di Parigi è stato quasi universalmente salutato come un successo. La verità è che sono pochi ad averci capito qualcosa.
Al di là dell’esigenza di sopravvivenza di isole e paesi che già oggi sono drammaticamente chiamati a fare i conti con l’innalzamento delle temperature, con l’avanzamento della desertificazione e con l’aumento del livello dei mari a causa dello scioglimento dei ghiacciai, solo a pochissimi addetti ai lavori appare chiaro quali soluzioni abbiano poi trovato l’accordo dei paesi partecipanti alla Conferenza stessa.

(13 dicembre 2015) Dopo una notte insonne, come da tradizione delle conferenze UNFCCC, la CoP21 di Parigi è arrivata all'accordo finale o, come viene definito, il Paris Outcome, che avrà valore dal 2021. Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha presentato la bozza finale, che nel tardo pomeriggio di oggi, sabato 12 dicembre, è stata votata in seduta plenaria dai 195 Paesi che partecipano alla conferenza nell'assemblea finale. In allegato il testo finale.

di Michele Nardelli
(17 dicembre 2015) Come giudicare l'accordo di Parigi sul clima? Il confronto che si è aperto dopo la conclusione unanime della Conferenza mondiale delle Nazioni Unite ruota attorno al dilemma di sempre: il bicchiere lo dobbiamo vedere mezzo pieno o mezzo vuoto?
Le risposte, come si può immaginare, spaziano dall'ottimismo al pessimismo a seconda della lettura che se ne fa o, forse meglio, a partire dal proprio posizionarsi verso le cose del mondo. Entrambe legittime, per carità.
Perché se la conferenza sul clima non si fosse nemmeno tenuta le cose non sarebbero certo migliori e il fatto che i rappresentanti di 190 paesi si siano riuniti a discutere di come far fronte al surriscaldamento della Terra ha se non altro reso palese la gravità della situazione, “ultima occasione prima del disastro” è stato detto. Aspetto, non di poco conto, considerato che per decenni l'allarme lanciato nell'ormai lontano 1972 dal primo rapporto su “I limiti dello sviluppo” del Club di Roma nemmeno veniva preso in considerazione, tacciato come catastrofismo.