Europa e Mediterraneo

Il muro, le mura

di Marjola Rukaj e Davide Sighele

(da Osservatorio Balcani e Caucaso)

Nel 1989 Fatos Lubonja era in carcere, come prigioniero politico. Ha vissuto lì le prime notizie su quanto succedeva nell'Europa dell'Est. E all'inizio sembrava che ciò che stava accadendo non avrebbe avuto alcuna conseguenza in Albania. Un'intervista.

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Un progetto politico di nome Europa

di Michele Nardelli

Ma davvero noi elettori stiamo per eleggere il nuovo Parlamento Europeo? Sarà, perché di tutto si parla in questa campagna elettorale, tranne che di Europa. Il che riflette il grado di affezione verso il progetto europeo oggi ridotto ai minimi termini. In Italia come altrove. Eppure la parabola dell'Irlanda dovrebbe pur insegnarci qualcosa sul valore dell'Europa e della moneta unica. Nei salotti televisivi e nei media proprio l'Europa è la grande assente. Ecco perché vorrei porre qualche domanda sull'Europa.

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Le atrocità delle galere libiche

Bruno Zorzi intervista Mamadou Sow (da L'Adige del 16 maggio 2009)

 Partiamo da qui: ad un certo punto il telefono di Mamadou Sow, 42 anni, senegalese, commerciante, in Italia da anni, già «ospite» delle galere di Gheddafi prima di approdare in Italia, suona. Lui risponde in un lingua stranissima e dopo un minuto mette giù.

«Questo era mio fratello. Mi chiama dal mio villaggio natale che si trova quasi in mezzo alla savana. Telefonini e televisioni in Africa le trovi ovunque, ormai anche in mezzo alla foresta, e il guaio è questo: la gente ha il mito dell'occidente.

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Messaggi europei
di Michele Nardelli

L'esito del voto per il rinnovo del Parlamento Europeo porta con sé più messaggi sui quali vale la pena soffermarsi un attimo. E sbaglieremmo nel dire che il voto europeo, più in libertà di altri, va considerato con una certa relatività. 

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Ora come duemila anni fa

di Ali Rashid

Ora come duemila anni fa, in una Palestina dal volto trasfigurato alla quale si cambia perfino il nome, si intrecciano dimensioni locali, regionali ed internazionali, ingarbugliando sempre di più la matassa. Elementi religiosi e nazionali, storie e narrazioni contrapposte, fatti compiuti che esprimono il delirio della potenza accanto ad un’immane ed indescrivibile sofferenza, avvelenano l’umanità di ciascuno e mettono a dura prova la ragione, persino consigliano ai più di voltare altrove lo sguardo.

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10 anni di Osservatorio sui Balcani
Venezia, 5 giugno 1999. Da pochi giorni le armi tacciono e gli accordi siglati a Kumanovo sembrano tenere, nonostante la beffarda occupazione dell’aeroporto di Pristina da parte dei soldati russi entrati in Kosovo prima della Nato. Anche gli aerei che partivano dall’Italia carichi di ordigni di morte per tornarsene vuoti rimangono a terra.

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L’amore verso i Balcani

Uno sguardo attento e curioso verso l’area balcanica che nasce molto tempo fa. Da quando andavo in vacanza nella vecchia Jugoslavia ma anche per quel che essa rappresentava nel contesto regionale, ovvero un paese che aveva scelto una propria strada originale, nella resistenza al nazifascismo prima e, successivamente, nella rivendicazione della propria autonomia dall’Unione Sovietica.

Note bastarde che parlano al cuore dell'uomo
La moschea Sinan Pascià di Prizren (Kosovo)

"Note bastarde, voci e frequenze che bucano i confini, ignorano i visti, i passaporti e le lingue, per andare dritti al cuore dell'uomo"


(27 giugno 2013) Nell'ambito della manifestazione "L'Europa che non conosci. Viaggi, racconti e immagini tra il Trentino e i Balcani", domani giovedì 27 giugno, nel tardo  pomeriggio (ore 19.00) presso il Castello del Buonconsiglio, si svolgerà un  incontro dal titolo "Un caffé da Lutvo" con l'attrice Roberta Biagiarelli e il presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani Michele Nardelli. Per l'occasione lo scrittore Paolo Rumiz ci ha inviato un suo scritto inedito di grande fascino di cui verrà data lettura nella serata con l'accompagnamento musicale del violinista Mario Sehtl.

di Paolo Rumiz

Potrei parlarvi di odio e scannamenti, di profughi e kalashnikov; dirvi di una terra lacerata con l'occhio gelido della geopolitica. Invece no. Vi dirò dei suoni di un  mondo inquieto, dell'acustica che nasconde l'anima dei suoi luoghi. La mia anima è piena di quelle frequenze. Essa li cerca come Orfeo e la sua cetra, gli va dietro oltre il confine del mondo dei vivi, là dove abita Persefone. Sente che quei suoni partigiani resistono alla grande omologazione globale, alla tirannia del pensiero unico.

Sono figlio della frontiera. Italiano di lingua, tedesco di cultura, slavo di stomaco e fegato, turco di canto e di cuore, ebreo di fascinazione. I Balcani abitano nel mio stesso cognome, che contiene la radice "Rum "di Rumelia, la parte europea - romana - dell'impero ottomano.  Credo, di conseguenza, di avere dentro di me qualcosa che mi aiuta a sentire nel modo giusto quello spazio del mappamondo.

E allora cominciamo così a caso, là dove mi porta la memoria del lungo viaggiare. Cominciamo da due ex belle donne di Novi Sad, alte sul metro e ottanta, che si avvicinano a un fisarmonicista seduto davanti al Danubio, gli mettono in mano una banconota, gli dicono "dài, facci piangere", gli fanno spremere dallo strumento oceani di tristezza e secoli di sradicamenti, ballano e si abbracciano senza badare ai passanti.

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“Oltre la crisi di civiltà. Cultura, politica e religioni per costruire alternative nel Mediterraneo”
Il Danubio

Intervento di Michele Nardelli, Osservatorio sui Balcani, in occasine della Conferenza di Medlink (Roma, 12 dicembre 2007)

 
(12 dicembre 2007) Ho pensato di proporvi tre immagini, un contributo che mi viene da uno specifico punto di osservazione, ovvero una delle sponde – forse fra le più inquiete – del Mediterraneo. Una sponda – quella balcanica – che è presa in considerazione solo quando scorre il sangue per poi tornare nell’oblio, dimenticandoci così di un piccolo particolare: che il Novecento nasce e muore a Sarajevo. Non credo sia affatto casuale, ma – al contrario – l’esito di una dislocazione geografica che ne ha condizionato e ancora ne condiziona le vicende politiche e culturali, ovvero il rappresentare la grande faglia fra oriente ed occidente nel cuore dell’Europa.

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Aspromonte

Tonino Perna

Aspromonte

I parchi nazionali nello sviluppo locale

Bollati Boringhieri, 2002

 
Il tema è quello del parco naturale, concepito originariamente nei grandi spazi del Nordamerica, riprodotto in Australia, Canada ed Europa settentrionale, e giunto negli anni novanta anche nel bacino del Mediterraneo, dove assume connotati profondamente diversi.

In ambienti caratterizzati dall’antica e densa presenza dell’uomo, il parco naturale diventa – o meglio può diventare – un vero e proprio laboratorio dello sviluppo locale autosostenibile, il luogo di una ricerca sul campo di un nuovo e più avanzato equilibrio tra natura, società ed economia.
Con le complicazioni rappresentate in Italia dalla diversa situazione dei parchi al Nord, dove soffrono della pressione dello sviluppo senza limiti, e al Sud, dove dello sviluppo si mimano gli aspetti esteriori in un quadro di gravi difficoltà economiche e sociali.
Come dimostra l’esperienza del Parco nazionale dell’Aspromonte, la mobilitazione delle forze locali – amministrazioni, associazioni, imprese e singoli cittadini – intorno a un progetto di tutela e valorizzazione del territorio può avere immediati effetti benefici sia sulla società sia sull’ambiente.

Avvio ed accompagnamento del Progetto Vino di Cana

Relazione conclusiva del progetto

Con la presentazione di questa relazione può considerarsi conclusa la fase preliminare del Progetto “Vino di Cana” che si proponeva lo studio di fattibilità del progetto in questione, ovvero la verifica delle condizioni sul territorio (Galilea – Israele e Aboud – Cisgiordania) sia di tipo tecnico progettuale (qualità dei terreni, condizioni climatiche, disponibilità idrica, reperimento materiali…), che di natura socio-politica (le forme di animazione del territorio derivanti dall’attivazione del progetto), che infine di natura soggettiva (l’individuazione dei soggetti di riferimento del progetto sul territorio).

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Israele e Palestina. Ricostruire i ponti che la guerra abbatte
Mozione approvata dal Consiglio della Provincia autonoma di Trento nella seduta del 25 febbraio 2009

Sabato 17 gennaio 2009 i cannoni israeliani hanno cessato temporaneamente il loro frastuono tra le abitazioni civili della Striscia di Gaza, alcune ore dopo Hamas ha sospeso i lanci di missili sulle vicine località israeliane. Si è avviata così una delicata e difficile tregua dopo tre settimane di inaccettabile conflitto che ha lasciato sul campo oltre mille morti, molti dei quali donne e bambini palestinesi.

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Il Vino di Cana
particolare - Paolo Veronese - Le nozze di Cana  (1562 – 1563)
«…il direttore di mensa chiamò lo sposo e gli disse:
“Tutti mettono (in tavola) prima il vino buono e poi,
quando son brilli, quello meno forte.
Tu (invece) hai conservato il vino buono fino ad ora”.
Così Gesù diede inizio ai miracoli in Cana di Galilea…»


L’idea di promuovere la produzione del Vino di Cana, antico villaggio della Galilea dove secondo la tradizione Gesù fece il primo miracolo nel mutare l’acqua in vino, evoca una grande suggestione che da sola potrebbe rappresentare insieme un segno di pace e di speranza per una terra che da troppo tempo non conosce pace. Ma un filo di speranza in un futuro di dialogo fra popoli diversi che decidano di convivere sulla stessa terra, in una stessa regione, questo non s’è ancora spezzato: proprio in quella che fu l’antica Galilea nasce un progetto che, se affonda nelle sacre scritture il fascino di un’immagine, cerca una risposta quanto mai attuale a una modernità globalizzata fatta di dominio, omologazione e violenza.

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Postmodernità

di Michele Nardelli

Uno sguardo strabico peri cogliere quel che – immersi nel proprio quotidiano – diventa più difficile mettere a fuoco…

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La questione morale del nostro tempo

Non so tenere il conto. Lo dico con il cuore pieno di tristezza ma davvero non ricordo – per quante sono state – le manifestazioni e le iniziative a favore della causa palestinese alle quali ho partecipato dall’inizio degli anni ’70 ad oggi. Mi descrivono, questo sì, l’impotenza e forse anche l’inutilità, di fronte alle drammatiche immagini di distruzione e di morte che vengono in queste ore da Gaza. Il mondo è cambiato, sono finiti i blocchi e caduti i muri, ma quella palestinese – come ricordava qualche anno fa Nelson Mandela – continua a rimanere “la questione morale del nostro tempo”.

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