"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Scontri sul confine de facto, nessuna relazione tra Mosca e Tbilisi, decine di migliaia di sfollati. E' ancora pesante l'eredità della guerra ''dei cinque giorni'', che ha visto coinvolte un anno fa Georgia, Ossezia del Sud, Russia e Abkhazia
di Maura Morandi *
da Osservatorio Balcani e Caucaso (www.osservatoriobalcani.org)
L'orologio segna qualche minuto dopo le 19.00. Il Presidente Mikheil Saakashvili appare in televisione. Si rivolge ai cittadini georgiani, "indipendentemente dall'origine etnica". Si rivolge a tutti i suoi compatrioti, compresi gli osseti, per parlare dell'escalation delle violenze sul confine amministrativo tra Georgia e Ossezia del Sud.
"La situazione intorno ed a Tskhinvali è peggiorata [...] Anche in questo momento, mentre mi rivolgo a voi, sono in atto intense sparatorie d'artiglieria, di carri armati, di sistemi auto-propellenti di artiglieria e di altri tipi di armi, inclusi mortai e lanciatori di granate". "Voglio dichiarare in piena responsabilità e confessare - continua Saakashvili con un tono molto serio e preoccupato - che alcune ore fa, in qualità di Comandante in Capo della Georgia, ho rilasciato un ordine molto doloroso che prescrive a tutte le forze di polizia georgiane di non rispondere al fuoco, anche nel caso in cui debbano affrontare intensi bombardamenti".
E' il 7 agosto 2008. Nella notte la situazione sulla zona di confine de facto tra Georgia e Ossezia del Sud precipiterà in modo definitivo, i violenti scontri a fuoco delle settimane precedenti si trasformeranno in un aperto conflitto armato tra Tbilisi e Tskhinvali. Poche ore dopo anche la Russia interverrà nelle ostilità a sostegno dell'Ossezia del Sud e ben presto un altro fronte si aprirà anche sul confine amministrativo tra Georgia e Abkhazia, l'altra regione che vuole la secessione da Tbilisi.
A distanza di un anno le ferite di questo ultimo conflitto, che ha segnato la Georgia ed il suo popolo, non si sono ancora rimarginate e le conseguenze per il Paese rimangono tangibili.
Le ostilità dell'agosto 2008 hanno causato in pochi giorni lo spostamento di circa 140mila sfollati, prima verso la cittadina di Gori e successivamente, con l'avanzata russa, verso la capitale Tbilisi e le sue aree periferiche. Finiti gli scontri armati e con il ritiro delle truppe russe, circa 110mila persone sono rientrate nelle proprie case a Gori e nei villaggi di quella che durante le settimane successive era diventata la "buffer zone", un'area-cuscinetto tra il confine de facto con l'Ossezia del Sud e Gori, occupata dalle milizie russe fino agli inizi di ottobre.
Oggi rimangono senza possibilità di rientrare nelle proprie case e nei loro paesi di origine circa 30mila persone, la maggior parte delle quali proviene dai villaggi georgiani dell'Ossezia del Sud. Per loro, lo scorso autunno, il governo georgiano ha costruito in brevissimo tempo circa seimila case, fondando veri e propri nuovi villaggi. Nonostante gli aiuti del governo, delle organizzazioni umanitarie e della solidarietà internazionale, queste persone rimangono in profondo bisogno di assistenza che possa aiutarle nel sostentamento e nell'integrazione sociale nelle nuove comunità.
Questi "nuovi" sfollati creati dalle recenti ostilità si vanno a sommare agli oltre 220mila profughi causati dai conflitti dei primi anni Novanta tra Tbilisi e Sukhumi e tra Tbilisi e Tskhinvali. Dopo quasi vent'anni, vivono ancora in condizioni critiche ed hanno un disperato bisogno di alloggi che siano vivibili e di assistenza economica e sociale che possa aiutarli a ricostruire le proprie vite lontane dai loro luoghi d'origine.
In politica interna, la dirigenza del Paese sta attraversando un periodo difficile. In seguito alla guerra, il Presidente Saakashvili è stato pesantemente criticato dall'opposizione per le sue scelte in politica interna ed estera. Alcuni dei suoi precedenti alleati sono passati all'opposizione ed hanno fondato movimenti di dissenso alle autorità al potere. E' il caso di uno dei leader della Rivoluzione delle Rose ed ex Presidente del Parlamento, Nino Burdjanadze, che oggi è una delle più fiere opponenti di Saakashvili e fondatrice del "Movimento Democratico - Georgia Unita". Un altro illustre esempio è quello di Irakli Alasania, già Rappresentante Permanente della Georgia presso le Nazioni Unite al momento della guerra di agosto poi dimessosi all'inizio di dicembre 2008, che in luglio ha fondato il partito "La nostra Georgia - Democratici liberi".
Dal 9 aprile l'opposizione ha intrapreso una lunga serie di manifestazioni di piazza davanti al Parlamento, alle quali hanno partecipato migliaia di cittadini georgiani che ritengono Mikheil Saakashvili responsabile dell'ultimo scontro con l'Ossezia del Sud e ne chiedono le dimissioni. Dimissioni, però, che il Presidente georgiano in carica non ha nessuna intenzione di rassegnare.
Dopo il conflitto dello scorso agosto, le possibilità per Tbilisi di ristabilire la propria autorità su Sukhumi e Tskhinvali si sono fatte remote. Dopo dieci giorni dall'accordo preliminare di cessate il fuoco negoziato dall'Unione Europea - rappresentata dal Presidente francese Nicolas Sarkozy - tra Georgia e Russia, il 26 agosto 2008 la Federazione Russa ha riconosciuto ufficialmente l'indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud. Primo passo che nel corso dell'ultimo anno ha condotto a relazioni più strette e solide in campo economico, politico e militare tra Mosca e le due regioni separatiste.
Allo stesso tempo le relazioni tra Mosca e Tbilisi si sono deteriorate fino alla rottura. In risposta al riconoscimento dei governi di Sukhumi e Tskhinvali, la Georgia ha chiuso le relazioni diplomatiche con la Russia ed i rappresentanti diplomatici hanno lasciato rispettivamente Mosca e Tbilisi. Pochi giorni dopo la Russia ha stabilito relazioni diplomatiche ufficiali con Abkhazia e Ossezia del Sud.
Le esercitazioni della NATO che si sono tenute in Georgia lo scorso maggio non hanno fatto altro che deteriorare il clima tra Mosca e Tbilisi. La prima, infatti, non ha visto di buon occhio un addestramento militare NATO nella zona vicina al confine amministrativo con l'Ossezia del Sud a meno di un anno dagli ultimi scontri ed in risposta ha rafforzato le relazioni militari con Abkhazia e Ossezia del Sud.
Nonostante, quindi, la situazione sul campo rimanga tesa e complessa, ben due missioni internazionali che operavano in Georgia da oltre quindici anni con il mandato di monitorare le zone di conflitto hanno dovuto chiudere i battenti e lasciare il Paese. In poco più di sei mesi, infatti, la Russia ha posto il veto sull'estensione delle operazioni di monitoraggio dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) nella regione secessionista dell'Ossezia del Sud e della Missione degli Osservatori delle Nazioni Unite in Georgia (UNOMIG) in Abkhazia.
Con la chiusura delle missioni ONU e OSCE l'unica presenza internazionale a rimanere in Georgia con il mandato di monitorare la situazione nelle aree di conflitto è la Missione di Monitoraggio dell'Unione Europea (EUMM), istituita dagli accordi di pace dello scorso settembre e composta da circa 250 osservatori disarmati. La Missione, però, nonostante abbia il mandato di osservare la situazione in entrambe le regioni secessioniste, non ha accesso né in Abkhazia né in Ossezia del Sud e può lavorare solo nelle aree adiacenti al confine amministrativo con le due regioni.
Oggi, 7 agosto 2009, a distanza di un anno dall'inizio delle ostilità, la tensione nelle zone dei confini amministrativi tra Georgia e le due regioni secessionisti - in particolare quello con l'Ossezia del - rimane alta. A ridosso dell'anniversario del conflitto iniziato nella notte tra giovedì 7 e venerdì 8 agosto 2008, provocazioni e violenze si verificano da entrambe le parti. La pace in Georgia rimane ancora lontana.
*Programme Officer, UNHCR Georgia. Le opinioni espresse nell'articolo sono da attribuirsi unicamente all'autrice e non riflettono necessariamente la posizione dell'UNHCR
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