«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
«Benvenuta la vita». Con queste parole Emilio e Tina, più o meno tre settimane fa, hanno salutato l'arrivo nella nostra casa di Baloo, un cucciolo di pastore maremmano che vi ha fatto irruzione con la gioia di chi scopre la vita.
Se c'è un'espressione che forse più di altre può dirci di Emilio Molinari, credo sia proprio questa, benvenuta la vita. Potrebbe sembrare banale, perché certamente Emilio è stato, nel suo impegno sociale e politico, tanto anzi, tantissimo altro. Ma nel suo percorso umano che pure si intreccia indissolubilmente con quello politico, questo tratto – la gioia di vivere – emergeva più di ogni altro. Nell'affrontare le sfide sempre nuove che gli si presentavano davanti, nella curiosità con la quale si apriva al mondo, nella sensibilità del rinnovare il pensiero come nel non arrendersi alle patologie che di volta in volta si è trovato ad affrontare. Emilio amava la vita come pochi. Ha attraversato il suo tempo con la voglia di esserci e insieme di comprenderne i segni.
Basterebbe percorrere il suo tragitto per comprenderlo. Emilio è stato parte di una generazione nella quale un perito industriale della Borletti poteva divenire classe dirigente. Minoranza politica, s'intende, ma capace di declinare la condizione operaia con la conoscenza dei processi produttivi, la vita reale con lo sguardo sul mondo. E di trasferire questo sapere fin dentro le istituzioni della sua città, la Milano a cavallo fra gli anni '60 e '70, quel «laboratorio unico che produsse l'autunno operaio più lungo e il conflitto sociale più ricco» dove «si mischiavano volontà di cambiare e serietà, ideali forti con moderazione e ordine, fede e bisogno di cose concrete, ragionate, non urlate, non banalizzate in frasi ad effetto...»1. Era la milanesità che amava anche a dispetto dei tempi, straordinariamente raccontata da Enzo Jannacci in “Ohe! Sun chi”2, brano che nel nostro viaggiare ascoltammo con emozione.
Il Premio Nobel Giorgio Parisi, le politologhe Donatella della Porta e Nadia Urbinati, il farmacologo Silvio Garattini, lo storico dell’arte Salvatore Settis sono tra i 40 promotori di quest’appello che invita a votare per i 5 referendum su cittadinanza e lavoro dell’8 e 9 giugno 2025.
Siamo in un mondo segnato da instabilità e conflitti, siamo in un’Italia in declino, tra crisi economiche e fragilità sociale. L’incertezza sul futuro condiziona la nostra vita e colpisce in particolare le generazioni più giovani. Le regole che ci diamo, tuttavia, sono lo strumento che abbiamo per ridurre quest’insicurezza.
Negli ultimi anni le condizioni di incertezza e precarietà sono state aggravate anche da alcune politiche che regolano la nostra vita e il nostro lavoro. Diventare cittadini italiani è diventato più difficile per chi è di origine straniera. Le tutele del lavoro sono state ridotte, con effetti negativi sulla qualità dell’occupazione, sui salari, sulle disparità tra uomini e donne, sulla sicurezza sul lavoro. Politiche di questo tipo hanno alimentato la sfiducia, allontanato le persone dalla politica, aggravato la crisi della democrazia. Non è una deriva inevitabile. Le regole e le politiche possono essere cambiate per dare più protezione a chi vive e lavora in Italia.
di Tomaso Montanari *
Mio Dio, prendi tutto | e lasciaci vicino al nostro mare
qui | vicino alle tombe dei nostri cari | qui | e alle nostre case qui.
Non ci assentiamo, | rimarremo vicini.
Prendici se vuoi… lasciaci se vuoi | quando vuoi, come vuoi
non siamo lontani dall’occhio del tuo cuore |oppure…,
oh, Dio, | sii la nostra muraglia:
non sfuggiremo, quando scenderà la notte, | alla nostra morte.
Mai come in questo 2 giugno 2025 ci sente remoti da una Repubblica che dovrebbe ripudiare la guerra, ma ancora festeggia la sua Costituzione facendo sfilare i carri armati sulla via fascista dell’impero coloniale. Se il linguaggio tronfio e grottesco del potere appare di questi tempi ancora più ripugnante, è quello della poesia a restituirci dignità.
Perché, come scrive Franco Marcoaldi nella sua ultima, mirabile raccolta poetica (Una parola ancora, Einaudi): “L’unica cosa buona dell’assoluto | caos in cui siamo finiti | è la misera fine dei pigri | cliché dei tempi andati: il Bene, | il Male, la Patria, l’Occidente. | Parole passe-partout che ormai | non aprono piú niente. Parole | cieche, sorde, disossate. Buone | soltanto per tornei, marce, | caroselli, ridicole parate”. Semmai qualcosa è capace di ridare un senso a quelle parole vuote non si trova certo dalle parti della ripugnante parata del 2 giugno, no. Ma semmai a Gaza: dove il Male è visibile, a occhio nudo. E dove perfino la parola ‘patria’ può recuperare un senso.
Il collasso del Birch ha cambiato, nel giro di poche ore, il volto di una delle più pittoresche valli del Canton Vallese. Grazie al sistema di prevenzione delle autorità locali, i 300 residenti del paese sommerso dalla frana sono salvi. «Il crollo è un campanello d’allarme per tutti i territori alpini», dice Vanda Bonardo di Legambiente. L'alta montagna infatti è sempre più instabile. Un manifesto chiede la protezione degli ecosistemi glaciali e delle popolazioni locali.
di Elisa Cozzarini
È crollato il ghiacciaio del Birch, alle 15.24 di mercoledì 28 maggio, e ha sepolto gran parte del piccolo centro abitato di Blatten, nel Canton Vallese. La Lötschental, descritta dal Touring club italiano come una tra «le valli più autentiche delle Alpi svizzere», ha cambiato volto nel giro di poche ore. Il fiume Lonza, ostruito dall’enorme massa di detriti, fango e ghiaccio, ha formato un lago. Le scosse sismiche provocate dal crollo, di magnitudo 3,1, sono state avvertite in tutto il Paese. Al momento, per la grande instabilità dei versanti, nessuno può accedere ai luoghi. Non si sa come potrebbe evolvere la situazione. Per le autorità elvetiche, il rischio è che la catastrofe sia solo a metà: ci sono ancora centinaia di migliaia di metri cubi di roccia instabile e resta il pericolo di colate detritiche su entrambi i lati della valle, secondo quanto riporta la Radiotelevisione svizzera.
di Michele Nardelli
Domenica 4 maggio si andrà a votare per l'elezione dei Sindaci e dei Consigli Comunali nella quasi totalità dei Comuni del Trentino. Tranne 9 Comuni (Ala, Borgo Chiese, Caldonazzo, Campodenno, Fiavè, Lona Lases, Mezzolombardo, Predazzo e Rovereto) in cui si è votato nel 2024 e 3 Comuni (Capriana, Luserna, Madruzzo) nei quali non è stata presentata alcuna lista, tutti gli altri andranno a votare.
Il primo dato che balza all'attenzione è che in ben 82 Comuni (pressoché la metà) è stata presentata una sola lista e in quel caso la sfida sarà il raggiungimento del quorum del 40% degli aventi diritto affinché le elezioni siano ritenute valide e non si ritorni al voto (con una sola lista, il quorum sale al 50% nei Comuni sopra i 5.000 abitanti, come nel caso di Baselga di Pinè, Mezzocorona e Predaia). Ma questo dato non può nascondere un elemento preoccupante, ovvero il venir meno di una necessaria dialettica politica che non sia relativa alle preferenze espresse verso i candidati consiglieri dell'unica lista presentata. Nella difficoltà di credere che nella metà dei Comuni trentini vi sia un comune sentire sul presente e sul futuro nella gestione dell'amministrazione locale, questo dato ci racconta piuttosto di un crescente vuoto politico che di certo non fa bene allo svolgersi del confronto democratico. Vorrei sommessamente notare che non è sempre stato così.
José Alberto Mujica Cordano è morto a 89 anni per le complicazioni di un cancro all’esofago, il 13 maggio. Parte del movimento di guerriglia uruguaiana Tupamaros, finì in carcere per dodici anni, due dei quali chiuso in un pozzo. Deputato, senatore, poi ministro dell’Agricoltura e nel 2010 presidente della Repubblica. Lascia un segno profondo e un’organizzazione politica che va oltre la personalizzazione
di Federico Nastasi
(15 Maggio 2025) Al Palacio legislativo di Montevideo c’è la fila. Le persone aspettano pazienti, col volto serio, chi con un fiore in mano, chi con la bandiera del Frente amplio (la coalizione di centrosinistra che governa l’Uruguay) sulle spalle.
“Non ho mai visto tanta gente piangere per un politico. Quando ho saputo la notizia, mi sono sentita orgogliosa per una figura così. E ho sentito paura: chi raccoglierà la sua eredità? Ha introdotto la parola amore in politica, amore per la vita, la natura, la semplicità. Speriamo di essere all’altezza”, dice Vanessa, mentre aspetta il suo turno per salutare José Alberto Mujica Cordano, Pepe come lo chiamavano tutti, morto a 89 anni per le complicazioni di un cancro all’esofago.
di Federico Zappini*
Pubblico l'ultimo capitolo di una conversazione elettorale che Federico ci ha proposto in queste settimane con il titolo “Stringiamo un patto? Facciamo la Trento giusta, insieme”. «All'ultima curva della campagna elettorale – scrive Federico – condivido con voi una piccola riflessione su uno dei temi che maggiormente mi ha coinvolto negli anni da consigliere comunale: l'urbanistica. Si tratta di quello che potremmo definire il fondamento su cui edificare (non solo materialmente, per fortuna) la città e la comunità del presente e del futuro. Un campo di confronto e di lavoro di enorme complessità, che rappresenterà però nei primi 12/18 mesi della prossima consiliatura una priorità ineludibile, un'urgenza ordinatoria e di visione di cui occuparsi».
Negli scorsi quattro anni e mezzo di amministrazione della città si sono moltiplicate le partite legate alla pianificazione cittadina, cercando di unire utopie alla necessaria concretezza. Nei prossimi ci serviranno comunità coinvolte e partecipi (amministrative, politiche, sociali e civiche) che insieme completino la strada complessa e insieme interessante iniziata nella precedente consiliatura. Le parole che ci devono guidare in questo percorso sono cura e giustizia, pianificazione e prossimità.
Questo perché sappiamo che le città sono quei luoghi in cui si possono generare coesione e benessere (individuale e collettivo) ma che rischiano di essere attraversate da crescenti faglie di disuguaglianza e solitudine. Possono fare stare bene, ma possono al contrario escludere, impaurire e uccidere. E’ sulle città che impattano (lo abbiamo sperimentato negli ultimi anni) diverse crisi, moltiplicando al punto di contatto tra esse gli effetti: crisi ambientale e crisi economiche, crisi demografica e crisi migratorie – in ingresso e in uscita -, crisi democratiche e crisi di senso.