Europa e Mediterraneo

Elezioni in Francia. Se vince il nazionalismo...
La grandeur

 

(7 dicembre 2015) Quando lo capiremo che innalzare le bandiere nazionali in un contesto che richiede visione globale e territoriale è una grande sciocchezza? Che il nazionalismo è stato il delirio del Novecento, ovvero del secolo degli assassini, nel quale sono morti in guerra un numero di persone tre volte maggiore che nei 19 secoli precedenti? Che rispondere con la Marsigliese al terrorismo significa guardare ad un contesto nuovo con lo sguardo rivolto ad un passato che ha lasciato una inquietante eredità? Che la “grandeur” è l'opposto del progetto europeo? Che la logica delle armi ha prodotto immani disastri nel mondo intero di cui oggi paghiamo le conseguenze? Che la sinistra guerrafondaia degli Holland e dei Blair (come del resto quella dei Chavez e dei Maduro) è parte del problema? ...

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Grecia, dal risultato elettorale una grande opportunità
Grecia, Europa

(20 settembre 2015) A spoglio elettorale in Grecia ancora in corso il risultato appare comunque inequivocabile, Syriza ha nettamente vinto le elezioni. Nonostante l'intransigenza di un'Europa che si è dimostrata subalterna agli interessi degli stati nazionali, la sfiducia crescente di un paese che è andato alle urne per tre volte in nove mesi, una crisi che impatta una società già ampiamente provata sul piano economico e sociale (e che ha conosciuto per settimane la chiusura delle banche), la scissione della parte più radicale del partito, nonostante infine l'esito di una estenuante trattativa in sede europea che ha imposto ai greci nuovi sacrifici, Syriza ottiene praticamente gli stessi voti in percentuale del gennaio scorso portando il partito di Tsipras a pochissimi seggi dalla maggioranza assoluta in Parlamento.

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Catalogna, la (non) vittoria degli indipendentisti e il crollo di Podemos. Ecco i perché
Catalogna, manifestazione indipendentista

I partiti favorevoli all’autonomia da Madrid hanno ottenuto la maggioranza dei seggi ma non dei voti fermandosi al 48 per cento. Mentre Podemos – per la prima volta – deve fare l’analisi di una sconfitta. Tanti gli errori e la linea pro referendum ma anti secessione non ha pagato. Alla creatura di Iglesias, in molti, hanno preferito la sinistra indipendentista del Cup, uscita vincitrice – insieme a Ciudadanos – dalle urne. Un'analisi del voto di Steven Forti.

di Steven Forti

(29 settembre 2015) Quelle di domenica scorsa in Catalogna non sono state delle normali elezioni regionali. In ballo c’era la questione dell’indipendenza di una delle più popolate e della più ricca regione spagnola (7,5 milioni di abitanti e 18% del PIL del paese). I partiti a favore della secessione hanno puntato tutto sul trasformare queste elezioni in un plebiscito a favore dell’indipendenza. Ed in buona parte ci sono riusciti. Lo dimostrano l’alta partecipazione (77%), la più alta della storia della Catalogna postfranchista, ben dieci punti percentuali maggiore rispetto al 2012, e la presenza di oltre 180 corrispondenti di giornali e televisioni straniere. Un fatto assolutamente inedito per delle elezioni regionali. Ma lo dimostra anche il pessimo risultato di Podemos, che si presentava all’interno della coalizione Catalunya Sí Que es Pot (“Catalogna Sí che si può”): la strategia del partito di Pablo Iglesias era infatti tutta giocata sul non schierarsi a favore o contro l’indipendenza e sul portare il dibattito elettorale dalla questione nazionale a quella sociale. Una strategia che non ha dato i risultati sperati.

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Acqua, una battaglia di lunga durata
Acqua del rubinetto

L'8 settembre scorso Il Parlamento Europeo, con 363 voti favorevoli, 96 contrari e 231 astenuti ha approvato la risoluzione proposta dall'eurodepuata irlandese del Sinn Fein Lynn Boylan che ha dato seguito alla petizione di iniziativa dei cittadini europei "L'acqua è un diritto"  (Right2Water). La risoluzione, che potete trovare in allegato, è un importante risultato a fronte di un processo di privatizzazione dei servizi idrici sempre più pericoloso e diffuso e che, nonostante l'esito referendario, investe anche l'Italia. Le considerazioni che seguono sono dell'amico Emilio Molinari proprio attorno all'approvazione da parte del Parlamento Europeo di questa risoluzione e al ruolo dei movimenti e della politica.

di Emilio Molinari

(15 settembre 2015) In questi giorni il PE ha votato una risoluzione sul diritto all’acqua che considero in netta controtendenza alle leggi del governo Renzi e sul piano internazionale al TTIP (Trattato transatlantico USA – UE). Non c’è stato nessun grido di vittoria e non so spiegarmi il perché. Pongo perciò una riflessione.

Viviamo tempi in cui sembra impossibile opporsi alla potenza dei poteri economici. Tempi nei quali la gente si sente schiacciata dall’enormità dei problemi e dalla forza di quel 1% che detta le regole nel mondo, in cui si finisce con il non credere alla possibilità di resistere.

Spesso però, siamo anche noi, parte attiva della società civile, che alimentiamo questo senso d’impotenza, non valorizzando i risultati e le vittorie che produciamo. Spesso non ne cogliamo la portata politica e quindi non seminiamo la consapevolezza dei risultati. Sul referendum dell’acqua, continuiamo a sostenere che non ha spostato di una sola virgola la realtà di questo paese e per certi versi anche noi alimentiamo la frustrazione nel popolo. Misuriamo i risultati attraverso le nostre aspettative, non valorizziamo la realtà e cioè che il referendum ha bloccato l’ingresso dei privati nelle gestioni dei servizi idrici e questo, è un elemento di resistenza che oggi viene messa continuamente in discussione dal governo.

Il testo della risoluzione del Parlamento Europeo

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La realpolitik di Dayton
La realpolitik di Dayton

La soluzione di Dayton non può essere un esempio per altre situazioni di conflitto, avendo comportato la distruzione della società bosniaca e il saccheggio delle risorse del paese

 

di Zlatko Dizdarević

Signore e signori, cari amici,

sono testimone diretto del tempo e del processo in cui veniva creata nel sangue la nuova Bosnia. Ed ho creduto che il progetto del nuovo Stato - giacché quello di prima ormai non c'era più - avesse senso e possibilità. L'ho creduto anche rappresentando come Ambasciatore quello stesso Stato per dodici anni. Nel frattempo, però, ho anche imparato che la Bosnia Erzegovina spesso viene vissuta e raccontata in maniera completamente differente, sia nel paese che all'estero. Ecco perché penso che oggi abbia senso discutere di alcuni temi, nell'anniversario di uno Stato che non c'è, e che si fa beffe di qualsiasi normale concetto di statualità.

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Fermare gli insediamenti illegali e la rapina della terra palestinese, se si vuole parlare di pace!
Un\'immagine della costruzione del muro a Beit Jala

Dall'associazione "Pace per Gerusalemme" mi giunge questo appello che riprendo. Attraverso questa associazione il Trentino da molti anni ha avviato un'intensa attività di cooperazione con la comunità di Beit Jala (nei pressi di Betlemme), oggetto in questi mesi di una profonda lacerazione dovuta all'avanzamento del muro della vergogna. 

(20 agosto 2015) L’appello del sindaco Nicola Khamis (in calce) ci segnala che stanno procedendo i lavori di costruzione del muro di segregazione presso la città di Beit Jala (Cisgiordania, Palestina), nella zona tra Bir Onah e Cremisan.

Il governo israeliano prosegue la sua opera di colonizzazione illegale del territorio palestinese destinato, secondo la risoluzione Onu del 1947, alla formazione di uno stato per la popolazione araba ivi residente.

Lo fa costruendo illegalmente colonie e strade, occupando terreni agricoli, sradicando alberi secolari, creando condizioni di vita sempre più difficili per il popolo palestinese, ostacolando l’accesso ai luoghi di lavoro e ai servizi sanitari ed educativi. Il muro, infatti, non corre lungo il confine tra lo Stato di Israele e la Cisgiordania, ma penetra profondamente all’interno di quest’ultima.

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Podemos, la Grecia e l'autunno caldo spagnolo
Spagna

Quanto influirà la questione greca su Podemos e le speranze di cambiamento della sinistra spagnola? La sintonia tra Iglesias e Tsipras è stata una costante degli ultimi mesi, ma questa vicinanza può ora indebolire la “creatura” iberica nei due prossimi importanti appuntamenti elettorali autunnali? Intanto nei sondaggi è in leggero calo mentre cresce la fronda interna che chiede l’“unità a sinistra”. Un ragionamento sulla Spagna, tra conservazione e rinnovamento.

di Steven Forti *

(27 luglio 2015) Lo scorso 8 luglio al Parlamento europeo Pablo Iglesias è intervenuto affermando che “difendere oggi il popolo greco e il suo governo significa difendere la dignità dell’Europa”. Una frase che riassume bene la posizione di Podemos di questi ultimi sei mesi. Quel giorno Tsipras si trovava a Bruxelles: era la settimana di duri negoziati e di grandi speranze successiva alla vittoria del “No” nel referendum greco. La firma del “diktat” imposto da Schäuble e Merkel – con l’appoggio di Finlandia, paesi baltici e Slovacchia – il mattino del 13 luglio ha creato non poche difficoltà alla sinistra europea: c’è chi ha accusato Tsipras di tradimento, chi è rimasto senza parole e chi ha appoggiato comunque il premier greco, consapevole della complessità della situazione europea.

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Ritorno a Srebrenica
Potocari, Srebrenica

Le commemorazioni per il ventesimo anniversario del genocidio di Srebrenica si svolgeranno in una cittadina dove non vive più nessuno.

 

di Andrea Oskari Rossini *

 

(8 luglio 2015) “La linea era qui, a Zelenj Jadar. Questo era il check point dell'Unprofor, davanti c'erano i serbi e noi eravamo 20 metri più giù. Dritto arrivi alla Drina, a destra vai a Milići. Srebrenica è dietro di noi. Se questa linea saltava, i cetnici entravano in città.”

Percorro in macchina con Muhamed la strada fatta dall'esercito di Mladić nel luglio del '95. Quando a Srebrenica è arrivata la guerra, lui aveva meno di dieci anni. Il suo villaggio guarda il massiccio del Tara, e veniva bombardato direttamente dalla parte della Serbia, oltre il fiume. Ad ogni curva si ferma, e mi spiega cos'è successo in quel punto. “Là sopra è ancora tutto minato. Qui, a Kralja Voda, i paramilitari di Goran Zekić hanno incendiato tutto subito, nel '92. Si vedono ancora i resti del loro lavoro. Oltre la zona di separazione, a destra, ci sono le tombe dei soldati uccisi. Le trincee erano là sopra. La Serbia è là, un chilometro in linea d'aria.”

Sono passati vent'anni. Non sembrano così tanti, mentre Muhamed mi mostra i luoghi in cui ha vissuto da bambino. Un genocidio non finisce quando finiscono le uccisioni. Continua, con le domande che torturano i sopravvissuti e le ossa che continuano ad affiorare. “Vedi quell'altura? Da là è facile fermare i carri armati. Se blocchi il primo, hai chiuso la strada. Gli olandesi però, invece di difendere la città, ci hanno impedito di sparare. Sono stati complici nella caduta di Srebrenica, e nel genocidio.”

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Bosnia Erzegovina, si gioca col fuoco.
I certelli all\'ingresso della Republika Srpska

Entro il mese di settembre 2015 si svolgerà in Republika Srpska un referendum che assume un forte valore simbolico sull'integrità della Bosnia Erzegovina.

di Michele Nardelli

(17 luglio 2015) Su proposta del premier Milorad Dodik il Parlamento della Republika Srpska (una delle due entità della Bosnia Erzegovina) ha deciso con 45 voti favorevoli e 31 astensioni di andare al referendum nel prossimo mese di settembre sul potere della Corte Nazionale (la magistratura centrale della Bosnia Erzegovina) nel territorio della RS.

Non è ancora il referendum più volte richiesto da Dodik per l'indipendenza della RS, ma certamente questa consultazione popolare assume un forte valore simbolico, tanto è vero che ha scatenato una serie di dichiarazioni dai toni pesanti. Per Bakir Izetbegovic, rappresentante bosniaco musulmano all'interno della presidenza tripartita di Sarajevo, si tratta “dell'atto distruttivo più pericoloso dopo la firma degli accordi di pace di Dayton". Dodik ha risposto che “il referendum rappresenta un mezzo democratico per permettere al popolo della Repubblica Srpska di esprimere il proprio parere" e che “Bakir Izetbegovic rappresenta la minaccia più grande per la pace e la stabilità della Bosnia e della regione”.

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La nostra Europa
La nostra Europa
Edgar Morin, Mauro Ceruti

La nostra Europa

Raffaello Cortina Editore, 2013

 

"Mai nella storia d'Europa le responsabilità del pensiero e della cultura sono state così tremende"

«Dall'Europa è partita l'era planetaria, allorché i popoli europei intrapresero nel 1492 la conquista delle Americhe e la circumnavigazione del globo. E l'era palentaria è stata a un tempo occidentalizzazione e mondializzazione. Ma oggi l'Europa si è ristretta. Non è più che un frammento dell'occidente, mentre quattro secoli fa era l'occidente a essere un frammento dell'Europa. Non è più al centro del mondo  ed è stata confinata alla periferia della storia. E' diventata provinciale rispetto ai giganteschi protagonisti dell'età globale. E' diventata una provincia del mondo, sempre meno importante per peso demografico, forza militare, risorse energetiche e minerarie. Questa sua nuova condizione di provincia del mondo impone all'Europa di superare la sua attuale frammentazione in stati dotati singolarmente di una sovranità assoluta. L'Europa è obbligata a due conversioni, apparentemente contraddittorie, di fatto complementari: deve superare la nazione e deve riconoscere la propria condizione di provincia...»

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La vittoria del no, per l'Europa

(5 luglio 2015, ore 21.53) L'esito del referendum che emerge dallo spoglio dei voti in Grecia è ormai consolidato: il no vince con il 61%, un dato ben oltre ogni aspettativa. E' un'espressione forte di coraggio e di dignità che avrebbe meritato in piazza migliaia di bandiere dell'Europa, non della Grecia.

Lo scontro di civiltà? Volgare bugia
Siria

 

Lo storico Cardini: «Fondamentalismo coltivato dall’Occidente, l’Islam non è terrorismo». Una bella intervista di Erica Ferro sul Corriere del Trentino

 

(7 luglio 2015) «Davvero ignoriamo che la malapianta del fondamentalismo l’abbiamo innaffiata e coltivata per anni noi occidentali?». Franco Cardini, professore emerito di storia medievale all’Istituto italiano di scienze umane, se lo chiede sin dall’introduzione al suo ultimo volume «L’ipocrisia dell’Occidente. Il Califfo, il terrore e la storia», edito da Laterza.

Dietro lo scontro di civiltà, «volgarissima bugia», si nascondono, secondo lo studioso, interessi precisi, che poco o nulla hanno a che fare con la religione. «Il vero problema è la cattiva distribuzione della ricchezza, che crea l’impossibilità pratica della convivenza» sostiene. Lo storico ha presentato il suo saggio ieri sera a Vezzano con il giornalista del Corriere del Trentino e Corriere dell’Alto Adige Giancarlo Riccio.

di Erica Ferro, Corriere del Trentino

Professore, perché l’Occidente è ipocrita?

«Siamo abituati a circoscrivere l’Occidente non tanto descrivendone la sostanza, quantodelimitandone i confini e presentandone i nemici: se un tempo l’antagonista era il socialismo sovietico, oggi interlocutore avversario è considerato l’Islam. L’ipocrisia dell’Occidente, politicamente inteso, sta nel tentativo di far passare come assolute e metastoriche le ragioni di opposizione al fondamentalismo islamico, quando in realtà ne ha provocato la nascita».

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mercoledì, 3 giugno 2015 ore 00:00

Dalla Conferenza di Messina all'Unione Europea
1955, la Conferenza di Messina

 

1955 - 2015, il sessantesimo anniversario della "Conferenza di Messina"

Quattro giorni di celebrazioni, conferenze, dibattiti per celebrare il sessantesimo anniversario della Conferenza di Messina e per riflettere sull'Europa (e sul Mediterraneo) del nostro tempo.

 

La conferenza di Messina si tenne nel 1955, dal 1º al 3 giugno. Fu una riunione interministeriale dei sei stati membri della CECA. Parteciparono alla conferenza i ministri degli esteri dei sei paesi.

La conferenza, iniziata in un clima non particolarmente felice per la recente bocciatura da parte del Parlamento francese dell'accordo sulla CED (Comunità europea di difesa), proseguì non senza qualche difficoltà nei primi due giorni dei lavori, ma sorprendentemente il terzo giorno, alla conclusione della conferenza venne resa nota quella che viene conosciuta come "dichiarazione di Messina" (ovvero Risoluzione di Messina), attraverso la quale i sei paesi enunciavano una serie di principi e di intenti volti alla creazione della Comunità Europea dell'energia atomica (o Euratom) e di quella che diverrà, nel volgere di due anni con la firma dei Trattati di Roma del 1957, il Mercato Europeo Comune (MEC, poi CEE e quindi Unione europea).

Spesso nei momenti difficili dei rapporti tra gli stati membri dell'Unione Europea è stato volto lo sguardo e l'attenzione verso quello spirito, lo spirito di Messina, che animò la conferenza ed i padri fondatori della Comunità Europea che a quella conferenza parteciparono.

Oggi, l’Unione Europea ha bisogno di un nuovo slancio, di affrontare le nuove sfide che la storia ha posto sul suo cammino. Soprattutto, ha bisogno di ripensarsi, partendo dalle sue radici culturali che affondano nel bacino del Mediterraneo con tutte le sue contraddizioni, ma anche con la sua storia millenaria.

Messina

Il programma

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Lettera aperta a Papa Francesco
Il ponte di Mostar quando venne abbattuto

 

Papa Francesco è a conoscenza del fatto che sarà ricevuto a Sarajevo dalle stesse persone che hanno dato il benvenuto e hanno glorificato i criminali di guerra?

Un gruppo di intellettuali bosniaci si rivolgono con una lettera aperta a Papa Francesco in vista dell'imminente visita in Bosnia Erzegovina

 

Caro Papa Francesco

Siamo profondamente incoraggiati dalla Sua prossima visita nel nostro Paese. Siamo rincuorati dall'annuncio della visita in quanto convinti che la Sua presenza  contribuira alla crescita di semi del bene e al consolidamento della fraternità e della pace, e ci siamo per questo motivo presi la libertà di rivolgerci a Lei. Come cittadini della Bosnia-Erzegovina, vorremmo condividere con Lei qualcosa che forse non sentirà dai nostri politici e funzionari. Ci rivolgiamo rispettosamente alla Vostra Santità per metterla a conoscenza di alcune questioni che riteniamo di cruciale importanza per la Bosnia-Erzegovina e per la gente che vi abita.

Catholic News Agency ha accompagnato l'annuncio della Sua visita con la seguente affermazione: "(Sua Santità) sarà presente in una nazione segnata da una grande diversità etnica e religiosa, che è stata utilizzata come un fattore chiave nella recente guerra nel Paese." Troviamo questa frase estremamente preoccupante e non corrispondente alla verità.

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24 maggio, la Spagna al voto: prova del nove per Podemos
Guernica

 

di Steven Forti *

(18 maggio 2015)  Il prossimo 24 maggio si terranno le elezioni amministrative in Spagna. Si voterà in tutti i comuni e in tredici regioni su diciassette. La situazione è di grande incertezza e, come si è visto negli ultimi mesi, il panorama politico è in continuo cambiamento, rendendo difficilissime le analisi sul lungo periodo. Le domande aperte sono dunque, in questo momento, molte più delle risposte che si possono dare.

Gli ultimi sondaggi

L’ultimo sondaggio del Centro de Investigaciones Sociológicas (CIS) realizzato a metà del mese di aprile ci presenta, per l’intera geografia spagnola, una situazione molto complessa. Podemos retrocede parecchio, passando dal secondo al terzo posto con il 16,5% dei voti (a gennaio aveva il 23,9%), e il bipartitismo pare tenere più del previsto, anche se non è più ai livelli del passato, quando sommava oltre l’80% dei voti: il Partito Popolare (PP) è dato infatti al 25,6% e il Partido Socialista (PSOE) al 24,3%. Entrambi perdono molti elettori, soprattutto il PP che nel 2011 aveva ottenuto il suo miglior risultato nella storia della Spagna democratica, sia nelle politiche generali di novembre sia nelle comunali e nelle regionali di maggio, con l’occupazione delle piazze e l’esplosione del movimento degli indignados.

Rajoy si sta giocando molto e le tensioni sono notevoli nella destra spagnola. Il PSOE ha salvato il salvabile dopo la forte crisi dello scorso biennio – alle europee del 2014 aveva ottenuto il peggior risultato della sua storia post franchista –, anche grazie alla vittoria nelle regionali andaluse del 22 marzo scorso. L’altra novità è l’entrata in scena di Ciudadanos, partito di centro-destra, che, secondo il CIS, otterrebbe il 13,8% dei voti (a gennaio era dato solo al 3,1%), piazzandosi stabilmente al quarto posto. Si indebolisce notevolmente Izquierda Unida (IU) data al 4,8% – è necessario il 5% per entrare in Parlamento – e scompare Unión Progreso y Democracia (UPyD) dell’ex socialista Rosa Díez data all’1,9%, in processo di disgregazione per l’affermarsi di Ciudadanos.

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