"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Roberto Belloni, Mauro Cereghini, Francesco Strazzari *
(1 marzo 2012) Siria, Libia, Sud Sudan, Darfur, Afghanistan, Iraq. Sono le ultime crisi internazionali, in ordine di tempo, ad essersi guadagnate uno spazio di visibilità su giornali e televisioni. Ma molte altre si consumano senza ricevere altrettanta attenzione mediatica. La comunità internazionale nelle sue varie articolazioni - Onu, organismi internazionali, governi, organizzazioni non governative... - prova a intervenire in tutte le crisi, seppure con risorse insufficienti. Di questi interventi, della loro efficacia e dei loro limiti, si discuterà nel convegno "Conflitto, pace, costruzione dello stato e istituzioni locali", organizzato l'1 e 2 marzo a Trento dal Centro per la formazione alla solidarietà internazionale e dalla Scuola di Studi Internazionali dell'Università.
Il tema riguarda il futuro del pianeta. La Banca Mondiale stima che una persona su quattro nel mondo viva in stati ‘fragili,' stati cioè che sono intrappolati in un circolo vizioso di guerra, povertà e mancanza di efficaci istituzioni democratiche. Nei casi più estremi, questi paesi possono diventare stati ‘falliti', in altre parole stati che hanno perso il monopolio dell'uso legittimo della forza sul proprio territorio, non sono in grado di fornire servizi pubblici ai cittadini e non posseggono un'autorità legittimata a prendere decisioni collettive. Gli ultimi dati della rivista Foreign Policy, tra le fonti più autorevoli nella ricerca internazionale, mostrano come gli effetti della crisi economica e finanziaria scoppiata nel 2008 abbiano avuto gravi ripercussioni sulla stabilità politica di molti stati. Nel 2011 venti paesi, guidati da Somalia, Chad e Sudan, vengono classificati come in situazione ‘critica,' mentre altri diciannove, tra cui Uganda, Corea del Nord e Timor Est, sono considerati ‘in pericolo,' in una situazione cioè vicina al ‘fallimento.'
L'intervento internazionale all'interno di queste crisi avviene in molte forme, dalle missioni militari a quelle di sostegno civile, dalla cooperazione istituzionale a quella decentrata fino alle iniziative di solidarietà più diffusa. Ma obiettivi e modalità di tali azioni sono a volte difficili da conciliare. Dopo l'11 settembre l'accento messo dai paesi occidentali sulla prevenzione del terrorismo internazionale ha dato una forte impronta securitaria e d'interventismo, spesso armato, a molte missioni di pace. Altre zone di crisi invece, considerate meno strategiche, sono state relegate ai margini dell'interesse politico e lasciate alla sola assistenza umanitaria.
Eppure né la militarizzazione né l'umanitarismo emergenziale, da soli, possono dare risposte durature. Già dalla fine degli anni novanta il dibattito sulla costruzione della pace (peace-building) ha messo al centro dell'attenzione il problema della debolezza delle istituzioni statali, che vanno rafforzate in quanto cornice di produzione e regolazione dei beni comuni, della sicurezza e legalità e dello sviluppo economico. Il tema del peace-building ha dunque assunto la forma dello state-building, inteso come sforzo multilaterale e concertato fra una moltitudine di attori, statali e non, che assistono i processi di costruzione e rafforzamento delle istituzioni nei paesi in crisi. Difendere e ampliare gli spazi pubblici, dunque, e non solo colpire dittatori e terroristi che li limitano o soccorrere le loro vittime.
In questo quadro il dibattito italiano, segnato profondamente dalla riduzione delle risorse impiegate nella cooperazione allo sviluppo, si è mostrato talvolta distante dalla riflessione internazionale su come valutare efficacia ed efficienza degli interventi di pace. Per altro verso, l'Italia continua a caratterizzarsi per l'originalità delle proprie iniziative di cooperazione decentrata e di comunità, promosse da numerosi enti, associazioni ed organizzazioni locali secondo modalità di partenariato territoriale. Ma con la difficoltà spesso di unire la riflessione all'azione, privilegiando il fare sul campo all'analizzare con sguardo critico approccio ed effetti del proprio agire.
Il convegno che si terrà a Trento vorrebbe aiutare a colmare queste lacune. Da un lato raccogliendo quanti in Italia promuovono studi e ricerche sulle missioni di pace internazionali, e mettendoli a confronto con alcuni rappresentanti importanti del dibattito mondiale. Tra questi Stephan Massing, responsabile per l'OCSE del gruppo di lavoro su conflitti e stati fragili, e Thania Paffenholz ricercatrice tedesca che lavora per l'Istituto di studi internazionali e dello sviluppo di Ginevra. E d'altro lato facendo partecipare con un ruolo attivo esponenti di ong ed associazioni di volontariato, per un dialogo tra mondi che pur occupandosi degli stessi temi a volte poco si conoscono.
Il focus particolare dei due giorni sarà dedicato al ruolo delle istituzioni locali nei luoghi di crisi. Sono loro infatti l'intermediario decisivo tra lo stato centrale e i cittadini, così come tra le comunità locali e le dinamiche globali che le attraversano. A ben guardare è un tema che non riguarda solo le aree di conflitto nel pianeta, ma la nostra stessa Europa. Una ragione in più, per chi lo vuole, di partecipare ai lavori del convegno.
* per il gruppo di progettazione del convegno
0 commenti all'articolo - torna indietro