"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
In queste ore il confronto politico ruota attorno alla questione se sia giusto oppure un errore dar vita ad un governo di larghe intese. Perché in effetti quello che si va tessendo, peraltro con indubbia capacità di mediazione da parte di Enrico Letta, è un governo politico che potrebbe durare ben oltre il tempo necessario per una riforma del sistema elettorale.
La domanda insistente che corre in rete è se sia lecito, oltre che utile, fare un governo con il PdL dopo aver detto in campagna elettorale "mai con Berlusconi". Io stesso in questi giorni ho immaginato che l'unica possibilità per evitare di ritornare al voto con la stessa legge elettorale potesse essere un governo di scopo, ovvero un esecutivo a termine con alcuni punti qualificanti sui quali potesse esserci una convergenza di natura istituzionale. Incontrando, anche su questo piano, non poche perplessità.
Credo, a differenza di altri, che il ritorno al voto non sarebbe una sciagura, anche se il rischio di riprodurre una situazione di stallo in un Parlamento ancora più influenzato (almeno stando ai sondaggi) dal centrodestra è molto concreto. Ma non è questo che mi frulla per la testa in queste ore. Quel che mi preoccupa è il clima di lacerazione e una cultura di sinistra incapace di fare i conti con la realtà. E di elaborare quello che è accaduto in questo paese nel ventennio segnato dal berlusconismo.
La sinistra ha perso. Non perché ha vinto Berlusconi, ma perché non ha saputo essere portatrice di un progetto politico, sociale e culturale capace di affrontare le sfide cruciali del nostro tempo, prima fra tutte quella della sostenibilità di un modello di sviluppo già ben oltre il limite. Per uscire da questa sconfitta occorre un paziente lavoro di ricostruzione di un tessuto sociale e culturale che si è andato frammentando, fra spaesamento e solitudine. Richiede un cambio profondo, tanto sul piano del pensiero come su quello delle forme dell'agire politico. Nella capacità di leggere la realtà e di mettersi in sintonia con i territori. Nella consapevolezza dell'interdipendenza (e dunque della necessità di una visione almeno europea) e dell'urgenza di cambiare lo schema (nazionale) in cui si manifesta la dialettica democratica.
In assenza di una nuova sintesi culturale (che poi era l'essenza della nascita del Partito Democratico), temo che il confronto politico sia ridotto ad una contrapposizione fondata sulle categorie del Novecento creando un solco profondo che oscilla fra l'antagonismo e il tradimento. L'esito dello "zapaterismo" ci dovrebbe pure insegnare qualcosa, ma invece ho la sensazione che non s'impari mai nulla.
Dovremmo al contrario essere portatori di un disegno nel quale ognuno s'interroghi su quel che l'orizzonte ci fa intravedere, aver la capacità di guardare in maniera diversa ai temi che si pongono, non per difendere quel che abbiamo ma per provare ad affrontarli sulla base dei cambiamenti profondi con i quali abbiamo a che fare. Penso alla devastazione prodotta dal potere finanziario sull'economia reale, penso alla deregolazione del lavoro nel contesto della globalizzazione, penso ai cambiamenti climatici e agli effetti nella vita dell'uomo sul pianeta, penso al fatto che nel 2030 saremo in nove miliardi di esseri umani e alla necessità di rivedere stili di vita e consumi. Penso infine che se questo non avverrà sarà (ma in realtà è già) la guerra.
Se non sapremo fare questo, la frattura verticale nel corpo sociale (per altro non estranea secondo me alla cultura maggioritaria), non potrà che acuirsi secondo una contrapposizione tipica dello spaesamento, la difesa del proprio giardino in una lotta spietata di tutti contro tutti.
Non so se il tentativo di Enrico Letta saprà dare risposte e creare un clima nuovo di maggior coesione sociale. Di certo non strapperò tessere e non darò del venduto a nessuno. So piuttosto che la politica dovrebbe porsi queste domande, provando a fornire risposte non condizionate dalla ricerca del facile consenso ma che rispondano al principio di responsabilità.
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