"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere in tempi interessanti» 16
di Michele Nardelli
L'esito del voto di domenica 10 maggio offre motivi di riflessione per tutti, sempre che di riflettere se ne abbia la volontà.
Dovrebbe riflettere in primo luogo la coalizione che governa la nostra autonomia, sempre che ancora esista ed abbia luoghi condivisi di riflessione, cosa di cui dubito fortemente. Non solo per il suo presentarsi divisa a seconda delle convenienze locali, ma perché dimostra di aver smarrito il valore aggiunto di un progetto coalizionale per il Trentino.
Ha di che riflettere il PD del Trentino che, nel suo progressivo omologarsi al partito nazionale, non solo non sfonda ma dimostra di aver perduto la peculiarità che gli veniva dall’essere parte di una sperimentazione che ha permesso a questa terra di non essere preda dello spaesamento e della paura. Non c'è una visione del Trentino in relazione a quanto accade intorno a noi, non c'è un progetto per questa terra (tanto è vero che in questa tornata elettorale l’orizzonte provinciale proprio non c’è stato), non c'è un disegno politico in grado di guardare oltre e non c’è una classe dirigente … che non sia riconducibile al PD nazionale, al quale ci si aggrappa come ad una rendita di posizione (il selfie con Renzi ci dice molto di più di tante analisi), senza peraltro comprendere che si tratta di un consenso così volatile che com'è arrivato può altrettanto rapidamente svanire. L’idea della politica come “pensare da sé” sembra non sfiorare nemmeno il primo partito del Trentino e questo mi preoccupa più di ogni altra cosa.
Ci sarebbe di che riflettere per il PATT nel suo immaginare di trarre consenso dalla fortuita posizione di controllo del timoniere provinciale. Che – al di là delle dichiarazioni – c’è ma in misura molto ridotta rispetto alle aspettative, sia perché il proliferare del civismo elettorale non lo risparmia, sia perché l'idea del “partito di raccolta” in Trentino non funziona. Blok frei qui significa solo una cosa: eclettismo o, più banalmente, potere per il potere. Ho come l'impressione che la stagione delle stelle alpine stia già per svanire.
L'Unione per il Trentino in crisi lo era ancor prima di queste elezioni. Nonostante la sperimentazione del Cantiere civico democratico ed il radicamento territoriale di alcuni suoi esponenti ne abbiano attenuato gli effetti, ora si deve ripensare. Non sarà un percorso facile. Dellai saprà avere la pazienza che si richiede alla progettazione politica originale o preferirà invece adeguarsi allo schema imposto da una legge elettorale dove è ammesso solo vincere?
Dovrebbero pensarci su anche i Verdi, che non sanno rassegnarsi alla conclusione della loro parabola. Sopravvivere, in alcune circostanze, può esprimere la dignità di un'eresia, qui sembra solo la fine di una saga familiare.
Tutti insieme non dovrebbero ignorare il fatto che un cittadino su due non abbia esercitato il proprio diritto di voto, il che ci parla non solo della scarsa attrazione della politica (al di là delle percentuali, andrebbero analizzate le perdite di voti in assoluto come ci invita a fare Simone Casalini sul Corriere del Trentino), ma anche della solitudine con la quale ci si rapporta al difficile mestiere di vivere e all’incertezza del futuro. Una doppia sconfitta per chi crede nella politica come costruzione collettiva di senso.
Il campo di queste considerazioni un po’ cartavetrate è quello del centrosinistra autonomista in cui vorrei ancora seppure con fatica potermi riconoscere, ma buoni motivi per una riflessione li avrebbero un po' tutti, posto che l'approccio verso la politica abbia ancora a che fare con un po’ di onestà intellettuale.
In questo senso, due o tre osservazioni ancora le voglio fare. La prima riguarda la Lega, forse l'unico soggetto che in Trentino può vantare un seppur contenuto successo elettorale. Ho continuato a dire nel corso di questi anni, facendo ogni volta rizzare i capelli dei miei interlocutori, che la Lega rappresentava il fenomeno politico più moderno nel panorama politico italiano. Con questo non intendevo certo dare un giudizio positivo sul partito oggi di Salvini. Per modernità intendo infatti la capacità di rappresentare il rancore che domina questo tempo ed in questo la Lega, nonostante le sue vicissitudini giudiziarie, ha saputo interpretare più di altri la pancia profonda di un elettorato impaurito che vive in sottrazione verso il prossimo. Il centrosinistra prima l’ha sottovalutata considerandola un fenomeno da baraccone, poi ha scambiato il federalismo con l’egoismo sociale ed infine l’ha rincorsa sui temi della sicurezza legittimandola in virtù del fatto che le copie sono sempre peggio dell’originale. Il leghismo è un fenomeno europeo che risponde ad una parte non marginale delle nostre società che, considerato non negoziabile il proprio stile di vita, hanno scelto di essere in guerra. Inclusi ed esclusi, un fatto naturale. La tragedia è che una buona parte degli esclusi la pensano come loro.
Una seconda osservazione riguarda la sinistra. Su facebook qualcuno mi spronava nei giorni scorsi a guardare in quella direzione. La cosa fa un po’ sorridere l’“antico rivoluzionario” (per usare l’ironica espressione che “Questotrentino” mi ha rivolto qualche settimana fa) che è in me. Osservo un’area politica che continua a non fare i conti con la fine di una storia e che, di volta in volta, si aggrappa ad un simbolo piuttosto che indagare sulla propria sconfitta. Il simbolo oggi è Tsipras e mi è pure capitato di sentire durante la campagna elettorale che a Trento dovremmo “fare come in Grecia”. Giuro che guardo a Syriza con simpatia, ma se (come ho fatto) vi prendete la briga di leggerne il programma politico (o le “Confessioni di un marxista irregolare” di Yanis Varoufakis) l’impressione che se ne ricava è quella di fare un salto all’indietro di mezzo secolo. Non una parola sull’economia sociale, non un cenno sulla cultura del limite, figuriamoci sull’autogoverno locale e sul federalismo. Quel simbolo non ha funzionato alle elezioni europee dove, nonostante la crisi greca assumesse una chiave paradigmatica, il quorum è stato raggiunto per miracolo. Tre eletti che poi si sono spaccati in quattro (visto che Barbara Spinelli ha deciso per una sua navigazione solitaria). Ma non è questo il punto. Ancora si scommette sull’uscita della sinistra dal PD e sulla creazione di un nuovo soggetto politico autenticamente di sinistra (nella realtà abbiamo visto semmai il processo contrario con la confluenza di una parte non indifferente di SEL nel PD renziano), senza mai chiedersi – invece di gridare al tradimento – se quello schema abbia ancora un senso oppure no. Il territorio? Lasciamo stare…
Una terza ed ultima considerazione riguarda questa mia stessa disamina, questo sguardo “antipatico” verso la politica che c’è. Detesto il rancore e, per altro verso, non voglio chiamarmi fuori dalle responsabilità che sono anche mie. Ho cercato nel corso degli anni, in larga misura inascoltato, di porre la necessità di alzare lo sguardo nell’interrogarsi su questo cruciale passaggio di tempo che chiama in causa il pensiero prima ancora che l’agire, la capacità di interpretare quel che accade prima ancora che il tentativo di dare qualche risposta assennata. Ho provato a farlo dentro il PD del Trentino ma il terreno era inaridito dalle dinamiche del potere (laddove piccolo non è necessariamente bello); dando vita ad un luogo di indagine sulle parole come “Politica responsabile” utile ma che ai più appariva naїf; cercando di declinare in maniera diversa il nodo cruciale fra guerra e pace per far uscire dai propri stanchi rituali quelle pur importanti sensibilità ma invano, tanto forte era l’attrazione verso i profeti del bene e del male. Da ultimo, dando fondo alla passione politica che ancora mi rimane, cercando di scompaginare i pensieri (prima della politica) con la proposta dell’associazione “territoriali#europei”, per ritrovare il bandolo della ricerca e della sperimentazione politica originale che – negli anni in cui il buio ha governato questo paese – hanno fatto diversa questa terra. Difendere l’anomalia, pur senza tacere delle criticità. Apriti cielo… i talebani si sono scatenati, come sempre accade quando le famiglie si disfano, i poteri forti sono in pericolo e i pensieri si mettono in gioco addentrandosi nel terreno del sincretismo. Ma anche qui “la fretta del concretizzare” ha rischiato di farci perdere il filo, presi ad arginare con il proprio corpo il declino della politica come se la sua crisi avesse a che fare solo o prevalentemente con l’agire delle persone. Elaborare la sconfitta non significa correre dietro agli errori, quanto piuttosto interrogarsi sull’autobiografia di questo paese e delle nostre stesse comunità.
In questo, l’esito del voto di domenica, mi rafforza nella convinzione che occorra lavorare sui fondamentali, nell’indagare con più accuratezza su quel “non più e non ancora” che, come scrivevo nei giorni scorsi, rappresenta un possibile aforisma per descrivere il nostro tempo.
(i dati finali li potete trovare in http://www.elezionicomunali.tn.it/)
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