"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Michele Nardelli
(1 luglio 2017) A voler capire, l'esito dei ballottaggi nelle elezioni amministrative di giugno ci racconta molte cose.
1. Indifferenza
L'astensione al voto ha raggiunto livelli a dir poco preoccupanti. Se quello dei Sindaci e delle amministrazioni locali è un ambito pubblico che ancora tiene nella considerazione dei cittadini (al sesto posto su 17 figure politico-istituzionali1), il fatto che abbia votato il 46 per cento degli aventi diritto ci dice del livello che ha raggiunto la crisi dell'attuale assetto democratico. Non è solo distanza, è invece insofferenza e forse anche indifferenza. Come se avessimo a che fare con istituzioni inutili delle quali si può fare anche a meno. Perché in fondo i luoghi delle decisioni sono altrove. Vi ricordate il Belgio rimasto senza governo per quasi due anni? Anche questo è la post-politica.
Ma insofferenza ed indifferenza non nascono da sole, sono i sintomi di un male più profondo che ha a che fare con quello che i partiti sono diventati, sotto il profilo della loro rappresentatività, su quello della capacità di comprendere ed interpretare il presente come di essere portatori di un progetto di società. Partiti sempre più verticali, progressivamente diventati macchine elettorali, intrisi di una cultura maggioritaria che ha trasformato il ruolo stesso delle istituzioni in proprietà di chi vince.
2. Roccaforti addio
Se la prima forma di mobilità elettorale è quella dal voto al non-voto, la fine delle appartenenze ha progressivamente fatto sì che il voto venga dato (e tolto) con grande fluidità. Se c'è un dato che salta agli occhi di queste elezioni amministrative è la definitiva scomparsa delle raccaforti elettorali. Genova “la rossa” elegge per la prima volta nella storia repubblicana un sindaco di destra. La città dell'antifascismo, la città dei Camalli (i lavoratori del porto) e dei ragazzi con le magliette a strisce2, la città di “Crêuza de mä” e delle tante creature di Fabrizio De Andrè, la città di Andrea Gallo e della Comunità di San Benedetto al Porto...
Città simbolo oggi piegate, come Sesto San Giovanni, chiamata un tempo la Stalingrado d'Italia per il ruolo avuto nella Resistenza al nazifascismo e successivamente per i numeri del consenso al PCI nel secondo dopoguerra, anch'essa finita nelle mani della destra.
No, nella società liquida non c'è più nulla di scontato. Dovremmo rifletterci, anche qui, in questa nostra terra dove l'anomalia che ci ha tenuti al riparo per quasi vent'anni dallo spaesamento è pressoché svanita nel nulla.
3. La scissione più grande
Dire che alla conta finale il PD si è affermato nei comuni maggiori dove si andava a votare, oltre a coprire di ridicolo chi fa simili affermazioni, vuol dire vedere solo quel che si vuol vedere. Basterebbe scorrere i dati comune per comune per comprendere l'esito di un voto che va ben oltre il suo riscontro oggettivo3. La sconfitta del PD e del centrosinistra incardinato attorno al PD è tale che richiederebbe una riflessione sulle scelte di fondo della sua classe dirigente. Riflessione che si sarebbe dovuta fare già nei mesi scorsi perché i segnali anche sul piano elettorale c'erano da tempo. Ma una leadership che si gioca tutto sul referendum costituzionale e dalla cui netta sconfitta non ne trae il minimo insegnamento dimostra di aver smarrito anche il minimo senso della realtà.
C'è stato il congresso nazionale, mi si risponde. E' vero, ma la scissione con più della metà degli iscritti del 2008 si era già consumata, lo stesso si può dire con una parte rilevante del gruppo dirigente che questo partito aveva contribuito a costruire. Così come con una parte significativa del suo elettorato. Se esaminiamo infatti lo storico del voto alle elezioni amministrative di Genova i dati sono impressionanti4. E poi che razza di congresso è quello dove la discussione congressuale nei circoli si svolge in un quarto d'ora dopo l'illustrazione delle mozioni? Già, dimenticavo che nella post politica il dibattito congressuale si svolge in televisione o sui social media, sono loro a decidere l'orientamento congressuale. Del resto, sempre per rimanere a Genova, il mutamento genetico del più grande partito della sinistra è facilmente riscontrabile nel voto dei quartieri, laddove quelli popolari a più forte tradizione di sinistra hanno tutti o quasi votato a maggioranza per il candidato sindaco del centrodestra. Che vince le elezioni malgrado l'impresentabilità della sua classe dirigente. Come non vedere che la rottura è profonda ed è insieme politica, culturale e di credibilità delle persone?
4. Un'indicazione politica in senso pieno
Governare le città e i territori non è cosa facile. Sarebbe fin troppo semplice puntare il dito accusatore verso il neocentralismo che ha portato a continui tagli della finanza locale. Malgrado la sconfitta referendaria, l'assalto al Titolo V della Costituzione non si è mai arrestato, attraverso scelte che hanno sottratto competenze e risorse agli enti locali e alle Regioni. So bene che i primi a non volere assumere competenze (e responsabilità) nella gestione dei servizi e del territorio sono proprio i governi locali, ma questo investe un altro ordine di problemi, la qualità delle classi dirigenti. E che nella crisi della politica le Regioni sono talvolta diventate carrozzoni in mano a cacicchi arroganti e ignoranti, incapaci di autogoverno responsabile. Ma questa non può essere una buona ragione per demolire quel po' di federalismo che a fatica e fra mille contraddizioni si era costruito.
Per governare bene, oltre alle risorse, servono infatti idee, fantasia, relazioni, conoscenza del territorio, valorizzazione delle persone e dei loro saperi... Oltre al coraggio di dire di no alle lobby e di non seguire i poteri forti che comunque condizionano la vita economica e sociale di una comunità. Poi non è scritto da nessuna parte che a governare bene per forza i risultati elettorali debbano essere positivi, perché al ben governare deve corrispondere la crescita culturale della comunità, il suo grado di partecipazione e di consapevolezza.
Ciò detto, la sconfitta di chi era al governo delle città emersa con nettezza in questa tornata elettorale (16 amministrazioni su 25 Comuni capoluogo di Provincia hanno cambiato segno politico) ha certamente a che fare con questo insieme di difficoltà, ma non solo. Penso infatti che il voto misuri sempre un orientamento politico-culturale che ha a che fare con il vento che soffia in un paese e, considerata l'interdipendenza, in Europa e nel mondo. E' il vento della paura, del nazionalismo del “prima noi”, dell'esclusione. Un vento che, in assenza di pensieri forti in grado di contrastarlo, condiziona tutta la politica (Macron sui “migranti economici” insegna). Ed è pertanto un'indicazione politica a tutto tondo, a prescindere dai sistemi elettorali che ne possono attenuare o meno gli esiti.
5. I segni del tempo
Che corrisponda o meno al politicamente corretto non importa, ma i nodi che sono stati posti nel dibattito elettorale dalla destra rappresentano una risposta (tragica quanto si vuole) alle grandi questioni di questo tempo. Mi spingo a dire che, paradossalmente, la risposta più nitida viene dai populismi, interpreti veraci della fine dell'umanesimo. Sul fronte opposto, fermo nel migliore dei casi al keynesismo, manca invece capacità interpretativa e visione di futuro.
Sento dire da un esponente del governo italiano che la siccità non è più solo un'emergenza ma l'esito di cambiamenti climatici di natura strutturale. Ben venga una tale consapevolezza, ma il ministro Gian Luca Galletti è al dicastero dell'ambiente dal 2014 e in questi tre anni (ed altri prima di lui) avrebbe potuto agire di conseguenza: tanto per cominciare una grande iniziativa per il riassetto delle reti idriche e per il risparmio di questa risorsa (la cui gestione è stata spesso privatizzata, malgrado il referendum), affidandola agli enti locali e vincolandola a precisi riscontri. Lo stesso potremmo dire per un diverso modello agricolo capace di tener conto dei cambiamenti climatici, con la ristrutturazione dei sistemi di irrigazione che facilitano la dispersione ma anche con la diversificazione produttiva e la valorizzazione delle biodiversità. Oppure – per rimanere su questo terreno – proponendo un diverso modello turistico fondato sull'unicità dei territori invece di proseguire sulla strada che riduce la montagna o il mare a parchi gioco che omologano e banalizzano l'offerta turistica e che già oggi mostrano tutta la loro insostenibilità (penso ad esempio al consumo dell'acqua per l'innevamento artificiale).
Ma un analogo ragionamento lo si potrebbe fare per l'immigrazione rispetto alla quale l'approccio continua ad essere emergenziale e incapace di sbarrare la strada alla criminalità organizzata. Se invece di sostenere interventi militari come è accaduto in Libia, avessimo utilizzato queste risorse per favorire programmi endogeni di autosviluppo, non ci troveremmo in questa situazione.
O ancora. Sento parlare di ripresa economica, semplicemente inseguendo dati che non riescono a fotografare più niente. Siamo ancora lì a sperare nel cambio della congiuntura quando avremmo dovuto da tempo imparare che la crisi dell'economia è strutturale ed investe in particolare la sua progressiva finanziarizzazione. O forse pensiamo che la bolla del 2007/2008 si sia sgonfiata? Andatevi a leggere i dati relativi all'ammontare globale dei titoli derivati...
Solo qualche esempio per dire che la crisi della politica è di sguardo, richiede nuove chiavi per interpretare i segni del tempo e nuove visioni di futuro. Quello che abbiamo non è il migliore dei mondi possibile e non possiamo limitarci a pensare che basta ricorrere alla Costituzione Italiana per trovare risposta alle grandi questioni del nostro tempo. Occorre un cambio di paradigma, anche per l'articolo 1 della Costituzione, ammesso e non concesso che il nostro riferimento debba continuare ad essere una dimensione fuori scala come quella nazionale.
6. Una sconfitta che viene da lontano
Voglio dire, in altre parole, che nello smarrimento di questi giorni misuriamo la cifra di una sconfitta che prescinde largamente da questa tornata di elezioni amministrative. Che pertanto non riguarda solo il PD o la compagine di centrosinistra al governo. O ciò che rimane della sinistra. Investe la politica in senso lato, ci riguarda tutti e chiama in causa la nostra capacità di dare risposte ad un contesto nel quale in gioco c'è il destino dell'umanità. Perché questa è la dimensione di riferimento, in una continua connessione fra il globale e il locale. Andando oltre «il vecchio umanesimo, narciso e povero di mondo tanto quanto la storia» come scrive Michel Serres5, per rompere le simmetrie di un tempo che non c'è più, inventando una pagina nuova nel cammino dell'umanità capace di riconciliare l'uomo con se stesso e con la natura.
Non c'è dunque un errore da correggere, c'è qualcosa di fondo che richiede tempi e spazi diversi da quelli incombenti dell'agenda politica. Capisco perfettamente l'obiezione che viene da chi mi dice che nel frattempo c'è una vita reale che richiede risposte puntuali. Ma tali risposte, in assenza di un cambio profondo dei nostri paradigmi, continueranno ad essere nel solco delle cose che ci hanno portati sin qui, che non funzionano più e che ci portano ad alzare le spalle quotidianamente di fronte alle tragedie che si consumano nelle tante facce della guerra mondiale in corso che – nonostante Papa Francesco – preferiamo non vedere.
7. La movimentazione e il cambio di paradigma
Potrei fermarmi qui. Ma dopo il voto amministrativo vedo in giro una grande movimentazione politica. Il Movimento democratici e progressisti, la Sinistra Italiana, “Possibile”, l'“Alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza”, il Campo progressista di Giuliano Pisapia... è un susseguirsi di soggettività politiche che nascono più o meno in relazione a delle figure di riferimento. E anche nel PD le minoranze e qualcuno nella stessa maggioranza renziana sembra intenzionato a riaprire il confronto e questo nonostante i colonnelli cerchino di chiuderlo seccamente dicendo che il candidato premier c'è già e si chiama Matteo Renzi.
In tutta questa movimentazione, mi permetto di dire di prevalente stampo politicista, cioè estranea ai processi sociali, manca però a mio avviso l'unica cosa che la potrebbe rendere interessante, il cambio di paradigma. Il che richiederebbe uno spostamento di prospettiva di non facile realizzazione in tempi brevi, sia per la radicale messa in discussione dei fondamenti positivistici dai quali è mutuato gran parte del pensiero politico moderno, sia per la difficoltà di ridisegnare un nuovo progetto sociale.
Sensibilità culturali pur rintracciabili nelle esperienze più avanzate di sperimentazione sociale e civile, ma in buona sostanza ancora prive di quella sintesi politica che qualcuno di noi aveva provato a rintracciare nella nascita del Partito Democratico.
E' questa del resto la ragione di fondo dell'esserci messi in cammino, in una solitudine politica che nell'incontro con altre solitudini prova ad inverare – nel confronto fra esperienze e pensieri originali – un nuovo disegno capace di indicarci qualche via di uscita dal XX secolo. Solitudini da rintracciare ovunque, dentro e fuori i corpi intermedi, con il senso di realtà e del limite con cui cerchiamo di accompagnare il nostro viaggio6.
1Vedi rapporto Demos 2016 - http://www.demos.it/a01341.php
2 Mi riferisco ai giovani genovesi che negli anni '60 diedero il via alle manifestazioni che impedirono lo svolgersi del congresso nazionale del MSI e portarono alla caduta del governo Tambroni, nato con l'appoggio esterno dei neofascisti.
3 http://www.repubblica.it/static/speciale/2017/elezioni/comunali/lista_comuni.html
4Nell'impossibilità di un raffronto a livello nazionale, è comunque interessante raffrontare lo storico dei voti alle elezioni comunali di Genova. Il PD in queste elezioni ha preso 43.156 voti. Erano 55.137 nel 2012, 89.337 nel 2007 (come Ulivo), 102.944 nel 2002 (come DS), per non dire dei 144.340 nel 1990 (come PDS), dei 186.390 del 1985 (come PCI) e infine dei 239.750 del 1976 (sempre come PCI).
5Michel Serres, Il mancino zoppo. Dal metodo non nasce niente. Bollati Boringhieri, 2016
6http://www.zerosifr.eu/
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