"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Mauro Ceruti
(7 giugno 2024) L'inanellarsi delle crisi, dal 2008 in poi (crisi finanziaria, Brexit, pandemia, guerra alle porte dell’Ue), ci dice drammaticamente che l’Europa è a un bivio: o diventa un’Unione sempre più politica, a partire dall’eurozona, o muore. E questo proprio nel momento in cui si rafforzano le correnti sovraniste e nazionalpopuliste che intendono bloccare il progetto di un’Unione politica.
Attenzione: questa volta non si tratta solo di euroscetticismo. Questi movimenti cercano di riabilitare un concetto “romantico” di nazione intesa come entità naturalistica, fondata sulla discendenza da un presunto stesso ceppo etnico. Questo pericolo di regressione ci deve rammentare che uno dei meriti storici del progetto dell’Unione europea è stato di voler superare non le patrie o gli Stati nazionali di cui si trattava di limitare i poteri, ma le due malattie che avevano portato l’Europa al rischio dell’autodistruzione: la purificazione etnica e la sacralizzazione dei confini.
Il progetto dell’Ue ha messo in campo una politica nuova dei confini: da fronti di contesa, i confini sono diventati poli di attrazione per cooperazioni economiche, ecologiche, turistiche, politiche, culturali.
Non a caso i problemi, e le guerre, sono nuovamente insorti quando si è inteso risolvere i conflitti etnici, religiosi o identitari con il paradigma del confine che separa, con contraddittori spostamenti dei confini stessi. Proprio per la sua storia ambivalente, l’Europa può essere laboratorio di innovazione istituzionale e culturale, per affrontare le sfide del “mondo globale”: governare i disordinati processi di globalizzazione economica; prospettare modalità di integrazione tra pubblico e privato, laddove hanno fallito sia il liberismo sia il dirigismo unilaterali; sviluppare la qualità della vita degli individui e delle collettività attraverso una riforma del welfare state; riannodare i legami sociali e valorizzare le specificità culturali; concepire relazioni sostenibili con gli ecosistemi; porre un termine all’età delle energie fossili e rendere economicamente produttive le energie rinnovabili; intervenire sul riscaldamento globale...
L’attuale Europa è burocratica, tecnocratica, econocratica. Certamente lo è diventata, inchiodata al dogma dell’ortodossia finanziaria, al prevalere della tecnica sulla politica. Eppure, insistendo su questo cahier de doléances, non si comprende che questo è proprio il risultato prodotto dall’Europa che non c’è.
L’Europa non è un territorio, ma è innanzitutto una civiltà, un’entità storica in continua metamorfosi, che affronta in forme sempre nuove una tensione ricorrente, e mai compiuta, fra unità e molteplicità. La tessitura della sua unità, nella pluralità, non è la sua debolezza, ma la sua forza, che può proiettarla ad agire secondo l’imperativo cosmopolitico kantiano: agire come se la cooperazione in Europa possa valere e applicarsi anche ad altri spazi della comunità mondiale. Insomma, laboratorio per un possibile governo cosmopolitico, multilaterale e policentrico. Ci dobbiamo sentire partecipi della costruzione di un’Europa umanista e culturale.
Nel suo discorso sul futuro dell’Unione europea alla Sorbona, del 25 aprile scorso, il presidente Emmanuel Macron ha parlato della necessità di cambiare paradigma di fronte alla drammatizzazione della storia, e di corrispondervi con un’Europa della potenza, della prosperità e dell’umanesimo. Ma attenzione: l’umanesimo europeo ha due volti. L’umanesimo europeo, con fatica, ha saputo demistificarsi e smascherare il suo volto oscuro, la propria pratica eurocentrica e occidentalocentrica. Ora, noi europei dobbiamo riconoscere l’insostenibilità di questo volto dell’umanesimo, e rigenerare il volto che ha esaltato il valore e la dignità di ogni essere umano. Dobbiamo perseguire una mondializzazione dell’umanesimo dei diritti umani, dei diritti delle donne, della libertà-eguaglianza-fraternità, della democrazia, della solidarietà, della pace.
Oggi l’Europa è sull’orlo dell’abisso. E lo è l’umanità intera. Sotto la spada di Damocle della guerra globale nucleare e del riscaldamento globale. Ma, di fronte alla possibilità inedita di autodistruzione dell’umanità, può e deve divenire fucina di un umanesimo planetario imperniato sulla coscienza della comunità di destino di tutti i popoli della Terra, e di tutta l’umanità con la Terra stessa. È in questo orizzonte che l’Europa può diventare un’Europa politica. Questa volta o si fa davvero l’Europa, oppure l’Europa muore.
da Avvenire.it
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