"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Ferdinando Cotugno *
(22 novembre 2024) Le conferenze sul clima funzionano così: due settimane di performance e un giorno o due di verità così distillata e pura da fare male agli occhi. Quella parte è cominciata nel pomeriggio. Gli affaristi sono già tornati a casa, i lobbisti hanno influenzato quello che potevano influenzare, i padiglioni sono stati smantellati, i bar iniziano a chiudere, i volontari si fanno i selfie e iniziano a pensare a cosa faranno dopo. E tutti gli altri iniziano a negoziare per salvarsi la vita.
Poche ore fa è arrivata quella che probabilmente sarà la penultima bozza del New Collective Quantified Goal di COP29. Le bozze di solito esplodono alle COP come petardi, un minuto prima sono tutti tranquilli, in attesa di qualsiasi cosa possa svegliarci, un minuto dopo suonano le notifiche a tutti, tutte insieme. Poi si reagisce a seconda della propria prospettiva, tutti cominciano a correre, cercare fonti, spunti, letture, interpretazioni, esegesi, prospettive, è il punto in cui la gente qui tende davvero a perdere il controllo, è un momento sempre strano, e bello, e assurdo, e doloroso, perché vedi che sono anche spaventati, ci sono destini ultimi di nazioni e popoli in quelle bozze, anche in quelle dei soldi per il clima, che sono forse il più estremo dei destini ultimi. L'arca di Noè era gratis, ma era prima dell'economia di mercato.
Le COP sono un posto ideale per coltivare il relativismo: per due settimane tutti ragionano per assoluti incomunicabili tra loro, linee rosse invalicabili, poi in una notte, che potrebbe essere questa, le parti trovano un compromesso e accettano le circostanze date, come sempre fanno gli esseri umani. Non so come andrà di preciso, ma è plausibile pensare che chi deve dare, darà più di ciò che riteneva giusto. Chi deve ricevere, riceverà meno di ciò a cui avrebbe diritto, si tornerà a casa e si inizieranno a guardare i voli per il prossimo giro, quando a dio piacendo (non quello costantemente evocato a Baku) torneremo a parlare di riduzione delle emissioni, il vero motivo per cui siamo qui.
Stamattina, sono entrato a COP29 ascoltando i Belle and Sebastian, ormai febbricitante. Pensavo a come ogni anno ci diamo appuntamento in questa fiera dell'impossibilità di capirsi e del continuare, nonostante tutto, a provarci. Ho pensato a lungo che questo numero crescente, COP1, COP4, COP15, fosse una misura dei fallimenti, ventotto tentativi e ora il ventinovesimo. In parte è così. Però quel numero è anche la misura dell'ostinazione, la più specifica delle qualità umane: celebrare ogni anno una messa politica su un problema che non si può risolvere ma solo mitigare, cioè «attenuare, lenire». A ciò che non sei riuscito a lenire puoi solo adattarti e questi sono i confini della storia che raccontiamo, anno dopo anno.
Il dialogo multilaterale è davvero una fatica, ma è comunque un'opzione migliore degli altri e più violenti modi per risolvere gli attriti umani. Per certi versi a Baku non sta funzionando niente, ma per altri questo è l'unico pezzo di mondo che ancora funziona come dovrebbe. COP29 doveva finire oggi. Non è ancora finita, ci vuole ancora un po'. Forse non troppo. Vediamo a che punto siamo.
A che punto siamo. Pessimo (ma è normale).
A Baku rimangono circa ventiquattro ore, forse meno, per salvare non solo la COP29 ma un intero decennio di lotta ai cambiamenti climatici. La presidenza azera ha presentato la sua bozza alle parti per un nuovo accordo sulla finanza per il clima, una proposta che, se accettata, vincolerebbe i paesi fino al 2035. Sono stati finalmente esplicitati i numeri, quindi dopo due settimane di tatticismi si gioca a carte scoperte: il problema è che il nuovo obiettivo per i flussi di aiuti climatici è davvero troppo basso.
La bozza di testo finale sul nuovo obiettivo di finanza climatica prevede 250 miliardi di dollari all'anno da raggiungere entro dieci anni, forniti o mobilitati dai paesi sviluppati, attingendo a un'ampia varietà di fonti pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, da destinare alla mitigazione e all'adattamento (non quindi per i danni e perdite).
C'è anche la cifra più ampia, quella di 1300 miliardi all'anno, tanto invocata da essere diventata un totem simbolico, anche se è stata proposta da tre tra gli economisti più esperti di clima al mondo (Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern).
La nuova bozza «invita» ad arrivarci, sempre al 2035, ma senza nessun obbligo, in un mix generico di finanza pubblica e privata, fornita da «tutti gli attori», una formula mai usata dall'ONU, che nessuno sa di preciso cosa voglia dire (banche? aziende fossili? tasse sui miliardari?).
La vera proposta dei paesi ricchi a quelli poveri è dunque di 250 miliardi, e solo di questa ha senso parlare, mentre i 1300 miliardi vengono menzionati in modo puramente aspirazionale, simbolico, come un auspicio più che come un impegno. Il testo è stato bocciato anche da Bhattacharya, Songwe e Stern, che avevano indirizzato il negoziato con il loro studio presentato all'inizio di COP29.
«La cifra di 250 miliardi è troppo bassa e non è coerente con il rispetto dell'accordo di Parigi, per il quale servirebbero almeno 300 miliardi all'anno entro il 2030 e 390 miliardi entro il 2035». Sono discrepanze numeriche ancora enormi, infatti i paesi in via di sviluppo hanno definito la proposta «noccioline».
Uno dei volti più simbolici di questa COP29, l'agguerrito diplomatico di Panama Juan Carlos Monterrey Gómez, ha reagito così: «L'assenza di una cifra per noi era uno schiaffo in faccia, ora ci state proponendo le briciole, ed è proprio come sputarci in faccia. A questo punto, ogni opzione è sul tavolo, compresa quella nucleare», metafora sgraziata (di questi tempi) per suggerire come la posizione dei gruppi dei paesi più poveri ora sia: «Meglio nessun accordo che un cattivo accordo», quindi lasciare la COP29 senza accordo finanziario.
Anche il capo delegazione di Greenpeace Jasper Inventor ha commentato: «Questo numero è completamente dissociato dalla realtà degli impatti climatici, è praticamente un oltraggio».
Nell'esagerazione nei toni c'è sicuramente una componente di gioco delle parti, ma al momento le prospettive non sembrano buone, frutto di un paese ospitante in difficoltà con la complessità del mondo e degli Stati Uniti esautorati dalla vittoria di Trump. Era da giorni che il negoziato si trascinava esausto, poi nella notte tra giovedì e venerdì c'è stato un lungo incontro informale tra Cina, Unione Europea e il gruppo AOSIS (i paesi insulari di Caraibi e Pacifico), nel quale si è provata a tracciare una linea comune, mentre l'alleanza climatica tra Africa e Cina sembra ancora impossibile da scalfire.
Questo sforzo ha permesso di tenere l'aereo in aria ed evitare lo schianto, non di farlo atterrare in sicurezza nei tempi previsti (in teoria si chiudeva oggi). Un esperto osservatore di questo tipo di dinamiche degli ultimi giorni di COP ha detto che questa bozza è stata lanciata alle parti per vedere l'effetto che avrebbe fatto: è stato pessimo, ma è almeno un testo su cui si può negoziare a oltranza, come sempre nelle ore convulse che chiudono una conferenza sul clima. «Non esiste un accordo con cui uscire da Baku che non lascerà l'amaro in bocca a tutti, ma siamo in vista di una zona di atterraggio per la prima volta», ha detto Avinash Persaud, uno dei diplomatici di clima più esperti.
Per arrivare a un risultato accettabile servirà probabilmente alzare la cifra dei 250 miliardi, prevedere dotazioni specifiche per due gruppi di paesi particolarmente vulnerabili (le isole e i least developed country, i più poveri di tutti). Dal testo è sparito anche il fondo danni e perdite, che continua a esistere ma anche a rimanere sotto-finanziato, una colletta volontaria con le briciole tra le briciole.
Nel frattempo, il testo è morbidissimo (per usare un eufemismo) sulla riduzione delle emissioni e i combustibili fossili: mentre un altro anno di crisi climatica è passato (il 2024 passerà alla storia come il più caldo di sempre e il primo sopra 1.5°C), gli impegni di mitigazione saranno tutti rinviati alla COP30 del Brasile.
* da Areale, newsletter settimanale di Domani.
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