"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini *
L’inchiesta giudiziaria che coinvolge amministratori, imprenditori e professionisti tra Trentino e Alto Adige ci impone una riflessione sulla fase storica che stiamo attraversando. Fin d'ora dobbiamo cogliere l’occasione per interrogarci sulla relazione ambigua tra potere politico e interessi economici. Un intreccio pericoloso, non nuovo purtroppo.
Ogni volta che un amministrator* è coinvolto in una vicenda di malaffare non è solo la sua figura a essere messa in discussione. E' la credibilità dell’intero sistema di gestione della cosa pubblica a subire un colpo, alimentando un sentimento di sfiducia che delegittima l'intero impianto della democrazia rappresentativa. I dati sull’affluenza alle urne sono lì a dimostrarlo, ma non sono i soli. Sempre meno cittadini credono che prendere parte al processo democratico faccia davvero la differenza, convincendosi anzi che quel campo sia irrimediabilmente impraticabile.
Tangentopoli – a inizi anni ’90, quando ero ancora meno che un adolescente – è stata in questo un punto di rottura decisivo. In quel frangente l'interesse economico non solo premeva su singole parti del mondo politico ma trovava sponda in ampia parte del sistema dei partiti, dentro una pratica strutturata di corruzione e collusione. Alla cosiddetta fine della Prima Repubblica non è seguita una fase di rigenerazione della proposta politica ma una sorta di stanca inerzia a cui abbiamo dato il nome "crisi della rappresentanza". Ce ne proviamo ad occupare da un po', con risultati alterni.
Con l'indebolirsi del ruolo dei partiti molte cose sono cambiate. Chi intende accreditarsi rispetto al potere amministrativo ha deciso di agire sui singoli piuttosto che sulle strutture collettive. Assistiamo quindi a un modello iper-individualizzato della politica, dove la figura del parlamentare, del governatore, del sindaco o dell’assessore diventano il punto di accesso per interessi che – sebbene più circoscritti che un tempo – non sono meno pericolosi.
Come l’acqua che individua sempre una via alternativa di fronte a un ostacolo, l'azione del capitale continua a esercitare la sua pressione sfruttando le fragilità, insieme politiche e culturali, dell'infrastruttura democratica.
Il disequilibrio nel rapporto tra politica e interessi economici emerge con particolare chiarezza nel settore edilizio/immobiliare. A partire dagli anni ’70 e '80, il ridimensionamento del ruolo del pubblico ha lasciato spazio a un’urbanistica che qualcuno arrivò a definire “contrattata”. Dando per scontata la necessità di agevolare l’intervento privato le amministrazioni si trovavano a negoziare direttamente con il capitale immobiliare, dentro un confronto sempre più sbilanciato a favore delle esigenze (spesso di carattere speculativo) di quest’ultimo.
In quella stagione sono state cementificate ampie porzioni di territorio, pianificando lo sviluppo delle città per addizione di volumetrie, estraendo da esse cospicui profitti e non curandosi troppo delle esternalità negative che ne derivavano. Anche dopo l’emanazione di leggi più restrittive – come la 15/2015 della Provincia di Trento – che mirano a impedire nuovo consumo di suolo il mantra per chi costruisce è rimasto per molti versi lo stesso. Velocità di esecuzione unita a semplificazione normativa (il caso del decreto "Salva Milano" è qui a ricordarcelo), massimizzazione dei profitti lungo tutta la filiera, come ci dicono anche le inchiesta sulle cave di porfido in Val di Cembra o quelle sulle infiltrazioni mafiose attorno agli alberghi nelle valli turistiche del Trentino.
La fase di pianificazione e sviluppo dentro la quale ci muoviamo oggi si caratterizza per l'emergere dello strumento dell'accordo urbanistico, per l'abitudine di operare per varianti in deroga al Piano Regolatore Generale e per il crescente utilizzo dei crediti di urbanizzazione, spesso attivati attraverso il passpartout di progetti per la rigenerazione urbana. Questi meccanismi - nati per garantire maggiore flessibilità e un'interazione migliore tra proposte del privato e interesse della collettività - rischiano se mal utilizzati di spostare un poco più in là il confine tra opportuno e inopportuno, o addirittura tra lecito e illecito. E' su queste linee di frontiera che il mondo della rendita (e i soggetti che la detengono) continua a tentare di accrescere l'estrazione di valore per pochi, prendendo il sopravvento su politica e amministrazione.
Per provare a invertire la tendenza occorre agire su due fronti, tra loro intrecciati.
Va rinforzato da un lato il tessuto delle organizzazioni politiche e sociali. I partiti e i sindacati, così come le associazioni di categoria, vanno abitati per restituire valore collettivo alla costruzione di senso comune, sia in termini di cura che di desiderio. È necessario un impegno costante da parte di comunità politiche capaci di anteporre l’azione del gruppo agli interessi personali, la costruzione di prospettiva alla gestione del presente. Occuparsi della Politica prima che siano altr* – magari peggio intenzionati – a farlo. La messa a disposizione paziente e generosa per la cosa pubblica deve in questo senso tornare a essere un pezzo importante della nostra esistenza, del nostro sentirci cittadin*. Sta tutta qui la questione morale di berlingueriana memoria, ancora valida come la grande ambizione di far parte di un corpo sociale dotato di passioni e di idealità tali da permeare le coscienze e determinare le politiche.
Contestualmente vanno resi trasparenti e partecipabili i processi che caratterizzano la vita amministrativa delle città. Dobbiamo aprire le istituzioni aggiungendo alla loro componente rappresentativa un più ampio ventaglio di strumenti dedicati alla partecipazione, rendendo protagoniste le comunità giorno per giorno all'ideazione, alla progettazione, alla costruzione e al controllo delle politiche pubbliche. Questo principio vale per l’urbanistica e per la transizione ecologica, per la pianificazione culturale e per la gestione degli spazi sociali, per la co-progettazione dei servizi di welfare e per l’organizzazione della cura dei beni comuni. È un cambio di prospettiva che non mira solo a migliorare l’efficienza amministrativa, ma a ridare vitalità al senso di appartenenza e coinvolgimento dei diversi soggetti sociali, trasformandoli in veri protagonisti (con onori e oneri) della vita democratica del proprio ambito di prossimità.
Luigina Mortari si riferisce a quella che chiama sapienza politica dicendo che "consiste nell'immaginare il mondo da abitare, nel tenere insieme la comunità, e tanto l'immaginare quanto il tenere insieme implicano il saper dialogare, che esamina in maniera larga e con profondità le questioni al fine di deliberare con saggezza. [...] A dar fondamento a questi atti cognitivi è la disciplina del pensare radicale, che si esprime nel problematizzare e nell'esercitare la critica."
Senza una tensione condivisa verso questa maniera alta di fare ed essere Politica rischiamo di consegnare le nostre comunità a una pericolosa deriva di disillusione, rabbia e frammentazione. Non ce lo possiamo permettere.
* consigliere comunale di Futura a Trento. Questo intervento è uscito giovedì 19 dicembre sul quotidiano "Il T"
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