"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Massimo Cacciari
(7 febbraio 2011) Tutto sommato potremmo dire che dalla vera tragedia della fine della prima Repubblica siamo giunti alla farsa-pochade che conclude la mai nata seconda, e così consolarci. Per apprezzare il "salto d'epoca" basterebbe paragonare il discorso in Parlamento di Craxi alle auto-difese televisive di Berlusconi. Non c'entra nulla. Appunto. (...)
Lì un politico di razza, nel bene e nel male, che denuncia una crisi di sistema e, indirettamente, si appella ad un generale discorso "di verità", che avrebbe forse anche potuto aprire una nuova fase della Repubblica; oggi un privato, che vuole giustificare vizi privati, e che con ogni mezzo difende affari e interessi soltanto suoi. Lì partiti, organizzazioni di massa, radicati nella vita e nella storia del Paese, che vivevano la propria catastrofe nel destino dei loro leader; oggi una moltitudine di cortigiani, favoriti, cooptati che non possono (ancora) abbandonare il padrone per quanta voglia ne abbiano, e che trasformano il Parlamento non, come si diceva una volta, nell'anticamera dei partiti, ma nell'alcova di Arcore.
E tuttavia temo che le squallide vicende che siamo costretti a vivere abbiano un significato per certi aspetti ancora più drammatico di quelle di allora. Sarebbe forse utile alzare lo sguardo per coglierlo. So che è difficile farlo quando attraversi un pantano, o qualcosa di peggio. So che si corre il rischio di passare per quelli che vogliono parlar d'altro. Ma bisogna anche scommettere che questo Paese saprà tornare a ragionare di politica e sul proprio futuro.
Il berlusconismo, depurato da tutte gli evidenti "disturbi" di ordine psicologico che caratterizzano chi lo incarna, rappresenta la fase estrema di un processo generale di de-responsabilizzazione dell'agire politico. Il principio di responsabilità implica il "primato" dell'analisi, della definizione razionale di obiettivi e programmi, che si ritengono rispondenti, appunto, all'interesse comune, sulla base di trasparenti "calcoli" costi-benefici, e la messa tra parentesi di ogni altra finalità.
Ma questo modello è in radicale crisi da molto tempo. E di questa crisi il berlusconismo è un prodotto, non certo la causa. Le sue ragioni sono diverse, ma tutte radicate nell'attuale sistema: dalla formazione di blocchi economico-politici, dentro i quali è inevitabile collocarsi se si vuol competere sul mercato politico, alla fisiologica auto-referenzialità dei grandi apparati tecnocratici, dall'organizzazione della stessa ricerca, all'economia e alla finanza globali.
Di fronte a queste potenze, quella dell'agire politico tradizionale decade di minuto in minuto. E in proporzione diretta si accresce la funzione dell'annuncio, della promessa, della ricerca a breve del consenso, che può essere garantita solo dal possesso di importanti mezzi di informazione e manipolazione dell'opinione pubblica. L'immaginazione va allora "al potere". Il politico de-responsabilizzato non produce più né analisi, né programmi, e neppure utopie, ma narrazioni fantastiche, "spettacoli", "irresponsabili" per natura. Non si tratta di "bugie", ma di invenzioni. La scena ha realmente sostituito la realtà. Il mondo si è trasformato davvero in "volontà e rappresentazione". Chi ne è più intimamente convinto, saprà essere anche il più convincente nel trasmetterne l'immagine. Nessun "piano", nessun complotto, nessun "grande fratello" a dirigere la partita. Si tratta di processi intimamente connessi a questa fase del mondo occidentale e dei regimi democratici. È in gioco lo stesso principio della rappresentanza, poiché l'eliminazione di ogni "principio di realtà" ha come conseguenza logica l'idea di una "simbiosi" tra il politico e il suo rappresentato - idea che sta al fondamento di ogni demagogia e di ogni populismo.
Il potere politico tende allora a farsi immanente alla vita dell'individuo. Come il sistema produttivo è anzitutto produzione dello stesso consumo, così l'agire politico si fa mera produzione di consenso. Ogni altra finalità tramonta. Berlusconi, a modo suo, interpreta questo drammatico passaggio. Non ne è né inventore, né regista, ma piuttosto il perfetto burattino - quello ontologicamente legato alla sua scena, incapace anche solo di concepirsi fuori di essa. Qualunque sia la parte che è chiamato a recitarvi (e infatti le vorrebbe tutte per sé), per lui si tratta di vita, non di finzione. I costumi degli italiani erano forse i più disposti al mondo a condividere questo processo di de-responsabilizzazione dell'agire politico. Anche per questo non sarà affatto né semplice né breve risalire la china. E non raccontiamoci che basterà pensionare il signore di Arcore.
espresso.repubblica.it
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